Arf di Simona Cornacchia e Anna Russo è un lungometraggio di animazione disponibile al cinema dal 25 gennaio. Il film è prodotto da Genoma Films in associazione con Margutta Studios e Showlab S.r.l. e in collaborazione con Panebarco. E’ un racconto delicato liberamente ispirato al libro di Anna Russo ‘Il baffo del Dittatore‘, uscito nel 2010 con Mursia.
In occasione dell’uscita al cinema del film abbiamo intervistato le due registe per saperne di più su Arf, dalle prime idee all’animazione, dalle bozze agli ostacoli incontrati nel corso della produzione. Ecco cosa ci hanno raccontato Simona Cornacchia e Anna Russo.
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Innanzitutto volevamo chiedere: quando avete iniziato a pensare ad un adattamento cinematografico del libro di Anna “Il baffo del dittatore”?
Quando io ho scritto il libro, l’ho da subito pensato come un’animazione. Già sapevo dentro di me che sarebbe diventato un film d’animazione. Considera che il libro ha quasi dieci anni e io ne parlai subito con Simona e le dissi “Dobbiamo farcela, prima o poi ce la faremo. Accadrà”. E in effetti così è stato. Quindi è pensato proprio in quei termini.
Quindi è stato subito un “Vogliamo che sia un film d’animazione?”
Sì, immediatamente, il messaggio è veramente forte e molto importante quindi ha bisogno di più forme di comunicazione. Il libro non bastava e un cartone animato era proprio la sua destinazione.
Volevo chiedere se aveste pensato, magari in un certo momento, di realizzarlo come un live action piuttosto che un film d’animazione. Però da come mi dite è stato subito immaginato così.
No, un live-action mai, perché c’era bisogno della magia che Simona ha aggiunto con l’animazione e che solo lei poteva creare. Quindi sì, era era proprio quella la sua destinazione.

Infatti volevo chiedervi: il film è tratto dal libro ma ci sono delle differenze. Come è stato apportare le modifiche necessarie di passaggio dal libro alla cinematografia?
È doloroso a tratti. E’ un passaggio piuttosto difficile perché devi togliere parti a cui magari eri affezionato o che già immaginavi. Molte cose in realtà sono costose, lunghe da realizzare. Anche il ritmo di un libro e di un film sono differenti e richiedono un adattamento. Per quanto riguarda la parte esecutiva ci sono stati ulteriori tagli ahimè. Ma l’esperienza insegna anche a riconoscere i propri limiti e quelli degli altri: quando metti insieme l’equipe e il budget, sai cosa potrai fare e cosa no. Il mio obiettivo era aggiungere ed eventualmente rifare, a fine produzione, qualora fosse avanzato tempo, quindi ho ragionato a rovescio e a step, garantendo l’essenziale per poi arricchire alla fine. Invece è stato già un miracolo completare l’essenziale. Fosse per me rifarei metà film correggendo, cambiando aggiungendo… ma purtroppo non è stato possibile.
E’ stata una scelta quasi obbligatoria, responsabile, nei confronti di tutti. Avendo avuto più tempo e più mezzi, sarebbe stato bellissimo mantenere anche la parte più onirica del libro, sarebbe diventato davvero un immaginario potente, anche se forse per un target più adulto. Rimane l’amarezza di non aver potuto fare tutto al massimo del potenziale. E’ sempre un po’ frustrante, ma fare un film di animazione è lungo e costoso. Nella vita si devono fare i conti con quello che si ha, il passo lungo quanto la gamba consente, non di più, altrimenti si casca, tutto potrebbe bloccarsi e ci rimetterebbe anche tutto il resto dell’equipe. Ma ripeto, è una prova anche questa. E devo ringraziare tutti per aver avuto anche solo l’opportunità di fare un film! Nel nostro piccolo siamo contente. E’ una nostra prima, un esordio, vediamo dove ci porterà.

E’ andata molto bene come esordio! Ora scendiamo un po’ nei dettagli dell’animazione. Volevo chiedervi, c’è uno stile particolare a cui vi siete ispirate? Se posso azzardare, a volte i disegni somigliano molto a quelli che potrebbero essere quelli di un bambino. Che ne dite?
Verissimo. Ci sono una serie di ragionamenti di partenza. Sempre finalizzati ad efficacia e semplificazione: innanzitutto, il rischio più grande in animazione sono le camminate e al secondo posto le mani. Rischio poiché solitamente vengono male. Da qui la decisione di abbattere il problema togliendo la prospettiva: in uno spazio empirico, se i movimenti non seguono perfettamente una logica, diventa un linguaggio, non dà fastidio o per lo meno ci si abitua. Fare tutto in poco tempo significa anche optare per un’animazione semplice, chiara e pulita. Se ci deve essere uno sforzo deve essere finalizzato alla narrazione o ad una scena importante.
C’è stato tanto lavoro di strategia tecnica, lo ammetto. Ho dovuto pensare ai problemi in anticipo, prima di scontrarmici, abbiamo molti cani, animazioni a quattro zampe, molti soldati: sarebbe stato terribile gestire decine di camminate in prospettiva, un incubo! E poi adoro Cartoon Saloon, che usa immagini piatte, empiriche. Ma prima ancora è di per sé il disegno primordiale di un bimbo ad essere assente di prospettiva o per lo meno è interpretata a modo suo, la impari solo in un secondo momento, ma i primi scarabocchi sono bidimensionali. Anche tutti i miei primi disegni di bambina conservati da mamma, sono buffi, di profilo, ma in fondo chiarissimi.
Quindi c’è un po’ tutto, un linguaggio riconoscibile a qualsiasi età, una convenienza, una strategia. In più ci sono le contaminazioni di una vita, dal momento che adoro Cartoon Saloon, è ovvio che queste cose si percepiscano. Come anche la mia passione per Tim Burton che in qualche personaggio scappa fuori. Chiamiamoli omaggi, ogni tanto vengono da sé. Anche per alleggerire i toni, e creare leggerezza, vista l’ambientazione così delicata.

Sempre restando sulla parte grafica, io immagino che sia stato molto più importante che in qualsiasi altro film prestarle attenzione, soprattutto perché il nostro protagonista non parla e quindi avete dovuto trovare altri modi per comunicare. Attraverso le immagini, i suoni, i colori. Che che mi dite?
Eh sì, questa assenza del linguaggio parlato è geniale nell’idea di Anna, ribadisce e dimostra il concetto che non servono le parole per trasmettere sentimenti, per trasmettere empatia. Molti cortometraggi vengono girati proprio senza dialoghi, questo li rende internazionali: immagine suono e azione sono universali. La parola invece è suddivisa in tante differenze, a seconda delle nazioni. Per non parlare dei dialetti. Per questo, eliminando tanti dialoghi ci siamo concentrati su una comunicazione dei personaggi a gesti, primordiale.
Non è stato particolarmente complesso pensare alla mimica di Arf, forse avere avuto sempre animali intorno a me aiuta, un po’ abbaia, annusa, si gratta con gli arti posteriori, si arrampica, sa correre a quattro zampe ma anche a due, poiché fa anche cose da bambino, usa le mani prensili, poi un dito nel naso… infine impara la prima parola.
Anche l’opzione di cani e animali parlanti non ci è piaciuta, è irreale. Abbiamo dovuto trovare una maniera per riempire questo silenzio: con i suoni della natura, le musiche e dettagli che servissero ad arricchire i personaggi caratterialmente.
Nel libro, ad esempio, c’era un narratore che si intrometteva nella storia e diceva la sua. Nel cinema è un po’ diverso.
Sì, lì c’è proprio la voce aulica di Dickens. Fare come nel libro ci sarebbe piaciuto, a me sarebbe piaciuto. Però ripeto, nel trovare soluzioni a volte ti ingegni e tiri fuori istintivamente comunque qualcosa di altrettanto valido. Quello era un lavoro in più che abbiamo semplificato, e funziona lo stesso. I silenzi in questo film sono importanti , a volte hanno il peso del vuoto e della desolazione. Altre, sono pura contemplazione della pace e dei suoni della natura.

Un’altra cosa che abbiamo notato del film è che il nostro protagonista Arf è l’unico che non parla la lingua degli umani e paradossalmente è l’unico che ha un nome. Considerando questo particolare c’è un motivo per cui il dittatore non è mai chiamato per nome?
Sì, perché tutto quanto è stato sublimato rispetto alle valenze storiche effettive. In realtà il film è atemporale e astorico, cioè tutti gli elementi sono dei pretesti, degli accenni simbolici di qualcosa di tremendo che è accaduto nel corso della vita del mondo, però non volevamo soffermarci esattamente su quell’argomento lì: soltanto assumerlo come simbolo. Lui si chiama Arf perché è così che la sua mamma, abbaiando, lo chiamava. Quindi rimane Arf, il suono di un abbaio.
È bello che non vi siate concentrate su quel preciso periodo della storia, ma su di uno fittizio per prenderlo come esempio. Una lezione per tutti quanti.
Ecco perché abbiamo anche cambiato i capelli al dittatore, come fosse una caricatura più generica e non necessariamente Hitler. E non lo abbiamo chiamato Fuhrer perché dopo sarebbe stato di nuovo specifico. Anche se ci sono i campi e ci sono i pigiami a righe, volevamo rimanere vaghi. Città non ben identificate; né i mezzi né le divise militari sono fedeli al tempo, ma assomigliano solamente. Tutto questo consente di rendere il film adatto sia ai giorni della memoria sia a tutte le situazioni terribili accadute e tuttora in corso. Non è solo un film per ricordare la Shoah. La memoria è importantissima e necessaria, ma bisogna ricordare che l’orrore e l’assurdità sono in tutte le guerre.
Di per sé Arf non è un film solo sul tema della guerra: le tematiche toccate sono molteplici, si può parlare con i più piccoli di temi come la famiglia, l’amicizia, la generosità verso l’altro, mentre per le classi un po’ più grandi, la storia e le persecuzioni. Purtroppo non solo per i giorni della memoria poiché è attuale. Magari fosse solo un brutto ricordo passato.

Proprio a te Simona volevo chiedere, ti era mai capitato per le mani un personaggio come Arf?
Nella mia esperienza ci sono molte produzioni internazionali e non, ma in genere i cast erano più quelli composti da una combriccola di amici. Non c’era un individuo singolo e l’animazione puntava molto al concetto di squadra, di comunità.
Arf viene separato dalla sua famiglia ma poi se la cava perfettamente e ne crea addirittura altre, se ci pensiamo. Poi per lo più mi sono capitati progetti con ambientazioni fantasy, futuristici e tecnologici, forse questo è il primo così terribilmente realistico e poetico insieme. Mi sono comunque trovata più a mio agio con questo tipo di cinema, più lento e realistico come timing. Mi diverte questo esercizio, il saltare da un progetto a un altro completamente differente: è il bello di questo mestiere.
Oggi l’animazione ha dei ritmi frenetici, si fanno cose completamente differenti, quindi per me è stato un ritorno ai ritmi e stili degli anni ’80 e ’90 rivisitati in chiave attuale. Altra coincidenza: mentre eravamo in fase di concept del personaggio, è uscito Wolfwalkers proprio di Cartoon Saloon, con una bambina lupo con la pelliccia.
Avevo disegnato Arf in maniera davvero simile: era racchiuso in una palla di pelo, poi ho aggiustato il tiro inserendo curve e forme un poco più grafiche. Il libro è precedente, le storie differenti, ma è inevitabile pensare alla coincidenza del bimbo con la pelliccia. E non dimentichiamo che esistono anche Tarzan e Mowgli de “il libro della giungla” e chissà che altro, insomma era durissima essere originali. Succede continuamente in animazione che inventi ma poi qualcuno lo sta facendo insieme a te o esiste già ma non lo sapevi. L’importante è non copiare spudoratamente ma anche essere totalmente originali è difficilissimo, a volte serve anche fortuna. Arf è stato davvero una creazione fatta d’istinto, con poca ricerca.
A te Anna volevo chiedere: tu, da mamma del libro, sei soddisfatta di come è uscito il film alla fine?
Sono soddisfattissima, per me Arf è un capolavoro. E’ un miracolo essere riusciti a farlo, essere riuscite a portarlo a termine. Questo è per buona parte merito di Simona, perché si è presa un carico mostruoso addosso. A me il film piace tantissimo e quindi sono contentissima. Non abbiamo mai avuto scontri perché quello che pensa una lo pensa l’altra e viceversa. Ragioniamo come un unico cervello: è così da sempre. Abbiamo lo stesso tipo di sensibilità, quindi funziona benissimo.

C’è qualcosa che vorreste dire a chi sta andando in sala a guardare Arf per la prima volta?
Arf è un viaggio abbastanza buffo, divertente. Non ci sono scene violente. Le tematiche dure e difficili sono implicite, non mostrate, o mostrate con sintesi e delicatezza. Non si vede la guerra, c’è solo la gente impaurita, poi la città vuota. Subito dopo la gioia e la leggerezza, ci sono molti giochi di contrasti sia visivi che narrativi. I bambini non vengono spaventati, né dalla tematica, né dalle immagini. Tutto rimane garbato. E poi credo, come detto prima, che il film attivi la curiosità per tante tematiche, come l’importanza di una qualsiasi forma di protezione o famiglia, il gruppo, il rispetto per l’altro e per se stessi, la spontaneità. Alla comunicazione, che può essere non legata necessariamente alla parola. C’è tanto di cui parlare.
Ognuno avrebbe potuto concentrarsi su qualcosa di diverso, dalla storia all’animazione e i colori, e sarebbe stato comunque splendido.
Sì, in un film ci sono sempre mille aspetti che bisogna saper guardare, come in un quadro. Abbiamo la storia, le musiche, la composizione, le citazioni, la recitazione dei personaggi eccetera… Più cose funzionano insieme, meglio arriva al pubblico. Una parte importante di cui non ho accennato, ma è doveroso farlo, è stata la fase del compositing, una fase di post produzione in coda a tutte le lavorazioni che consente di gestire effetti, luce e ombra, polvere e fumo, stelline e lucciole. Per questa fase mi ha aiutato una società di Ravenna ed una a Roma. Sono stati determinanti per impreziosire il tutto. Parlo sempre di un pugno di persone ma eccezionali!
Come ultima cosa ti chiederei, Simona, se vorresti dire qualcosa che non ti ho chiesto, condividere qualcosa sul film che non hai avuto l’occasione di dire.
Un’altra curiosità… per non annoiare anche lo spettatore adulto e stimolare tutte quelle argomentazioni con i più piccoli, ho inserito citazioni e un po’ di simboli, a volte nascosti, altre ben visibili, ma magari non ci si fa caso, come i germogli e le farfalle che hanno un certo tipo di significato. Ci sono tanti riferimenti al Liberty, all’Art Déco. Le fisionomie dei personaggi stesse hanno un significato, come gli occhi vuoti dei soldati… non voglio svelarle tutte. Dopotutto deve essere una visione divertente e ludica anche per gli adulti!

Simona Cornacchia e Anna Russo, registe del film
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