In occasione dell’uscita in sala, giovedì 1° febbraio 2024, del divertente Una bugia per due, abbiamo avuto il piacere di intervistare il regista e interprete, Rudy Milstein, che ci ha raccontato qualcosa in più circa il progetto e la sua visione della società odierna.
Rudy Milstein | Intervista al regista di Una bugia per due
Come è nata l’idea del film e quali sono stati i modelli di riferimento?
Volevo fare una commedia su quanto sia difficile essere una brava persona in società. E su quanto possiamo comportarci male per raggiungere alcuni obiettivi ed essere accettati dalle persone che ci piacciono. Sulla forza del gruppo e sulla pressione dello sguardo degli altri.
Ma volevo che fosse una commedia!
Come tutti i film che amo: da Woody Allen ad Agnes Jaoui, Julie Delpy, Judd Appatow, Ernst Lubitsch, Billy Wilder e le commedie italiane degli anni Settanta, che parlano di vita, di questioni sociali, ma con umorismo e malinconia.
Qual è stata la sfida più grande? E la scena a cui è maggiormente legato?
I produttori hanno cercato di finanziare il film durante il periodo del Covid, nonostante la chiusura dei cinema. Trascorsi due anni così, ci hanno detto che nessuno voleva vedere un film con un personaggio malato di cancro. Nonostante io abbia garantito che si trattava di una commedia, non volevano correre il rischio. Così non avevamo i soldi per il film, ma ciò ha dato un’incredibile energia alla troupe e al progetto: ognuno era lì affinché il film esistesse, tutti volevano raccontare quella storia.
Sono legato a ogni scena, perché ricordo come l’abbiamo costruita, ciascuna di esse. Come abbiamo gestito le riprese di ogni singola cosa, nonostante la mancanza di risorse, ma attraverso l’immaginazione e il duro lavoro.
Una risata salverà il mondo
Come è riuscito a trovare il perfetto equilibrio tra commedia e dramma?
Ma grazie! Come in tutti i film che amo, e come nella vita vera, giusto? Nella realtà affrontiamo drammi molto spesso e a volte l’unica cosa che ci rimane è il nostro senso dell’umorismo.
Quando ho scritto il film non pensavo alla commedia, pensavo alla verità di ogni personaggio, al suo percorso e alle sue emozioni. Volevo che fossero reali.
Sono tutti ispirati a persone che conosco.
Sapevo quale situazione sarebbe risultata divertente, ma all’epoca non ci pensavo. L’unica cosa che mi domandavo era “Sembra vero? Il personaggio può affrontarlo? Come reagirebbe nella vita reale?”. E poi la commedia è arrivata durante la scrittura dei dialoghi.
Crede che ridere di questioni delicate possa cambiare o migliorare la nostra vita?
Certo, perché talvolta non abbiamo altra scelta. Sono cresciuto in una famiglia in cui era proibito piangere, fare drammi.
I miei nonni erano ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale.
Loro hanno vissuto quel dramma, quell’orrore. Sono andati in Germania durante gli anni Sessanta per le vacanze e dicevano alla gente “Abbiamo vinto! Siamo Vivi! Dove sono i vostri fo***ti nazisti?!”.
Nel film, ho riso di quelle persone che non sapevano come reagire dinanzi a chi è malato di cancro. Mio fratello ha il cancro, un mio amico lo aveva (si chiamava Julien, come il personaggio del film) e non sapevo come parlare con loro. All’inizio gli parlavo come se stessero morendo, con un po’ di attenzione, come se stessi parlando a un bambino piccolo e fragile. Loro si sono arrabbiati, chiedendomi di parlargli normalmente.
Ho realizzato che nessuno ci insegna come parlare alle persone malate, è un tabù.
Ho fatto il film anche per istruire me stesso. Molti spettatori sono venuti a ringraziarmi per averli fatte divertire così!
La visione della società secondo Rudy Milstein
Come vede la società? Ha una visione ottimistica?
Dipende dal giorno! (ride, ndr.) C’è molto da fare, un sacco di cose vanno male, e sono convinto che con la solidarietà, l’aiuto reciproco, la gentilezza, possiamo farcela. Affrontando i problemi in maniera diretta, parlando delle cose che non vanno bene. Questo è quando sono ottimista, dico a me stesso che tutto è possibile!
E poi, a volte, quando vedo che tante cose vanno fatte e i nostri politici non fanno nulla, che sorgono estremismi di ogni genere, che non c’è più partecipazione, mi dispero. Mi dico che la nostra società non durerà ancora a lungo.
Io non ho soluzioni, spesso non so cosa fare e non sono sicuro di quale sia la cosa giusta da fare, non ho l’animo del rivoluzionario. Tutto quello che posso fare è parlarne e provare a far sì che la gente ne rida. Il titolo francese del film è Non sono un eroe, perché il protagonista vuole essere una brava persona, ma non sa cosa fare.
È l’eroe del film, ma non è per niente un eroe!

L’invisibilità può essere una maledizione o un’arma segreta. Ma cosa ne pensa del detto “Il fine giustifica i mezzi”?
È spaventoso! Mi spaventa vedere certe persone pronte a fare qualsiasi cosa per sopravvivere, per avere successo. Nel film, il protagonista è pronto a fare qualsiasi cosa per piacere ai suoi genitori, per sedurre il suo capo.
Ma non volevo giudicare, perché spesso anche io mi faccio queste domande!
Volevo scrivere questa storia proprio perché ho paura dei miei impulsi. Siamo programmati per sopravvivere, siamo allenati, sin da piccoli, ad andare avanti nella società, a guadagnare soldi, ad assicurarci il comfort, ma quanto lontano possiamo spingerci?
Talvolta firmo petizioni, per esempio per salvare il pianeta, e la sera stessa mi faccio un bagno e dimentico di differenziare i rifiuti. Volevo parlare di queste contraddizioni, perché tutti le abbiamo ed è meglio parlarne e provare a riderci su.
Chi è Bruno, il personaggio interpretato da Rudy Milstein in Una bugia per due
Quali sono le differenze e le somiglianze col suo personaggio? E perché ha scelto proprio di interpretare Bruno?
Bruno è cresciuto senza emozioni, in seguito a un ictus. E io ero un po’ così! Da teenager ho scoperto che avevo troppe emozioni che andavano in ogni direzione, molte più del comune! E, ovviamente, i miei coetanei mi prendevano in giro.
Così le ho spente, forzandomi a essere un pezzo di legno, perché era più pratico essere come tutti gli altri.
Fingere di sentire quello che sentivano gli altri al momento giusto. E ciò mi ha permesso di essere accettato. Il film parla anche di questo, del posto che questa società dello spettacolarizzare dà alle vere emozioni. Mio padre, da medico, era devastato quando perdeva un paziente. Poi ha accettato di vivere a fianco della morte, ha dovuto desensibilizzarsi.
Il personaggio interpretato da Clémence Poésy parla di questo: è costretta a desensibilizzarsi per accettare certi affari immorali. Hélène (Geraldine Nakache) ha troppe emozioni, così tante che nessuno la prende sul serio. Louis (Vincent Dedienne) ha delle emozioni ma non sa che farsene. Bruno diventa così la coscienza di Louis, il quale pensa di star aiutando Bruno a provare qualcosa, quando in realtà è l’opposto.
Volevo interpretare Bruno perché il personaggio era davvero complicato sulla carta: poteva apparire molto cattivo, o stupido, o psicopatico. Sapevo esattamente dove doveva essere per evitare tutto questo, dal momento che l’ho scritto io.
Ho pensato che avrei sprecato meno tempo a farlo io stesso, piuttosto che a spiegarlo! (ride, ndr.)
Da spettatore, che tipo di cinema preferisce?
Io amo provare emozioni! Tutti i tipi di emozione! Amo i buoni film horror per esempio, le commedie che parlano di persone vere che provano cose reali, Non mi piace quando un regista mi dice cosa dovrei pensare, o quando dovrei ridere e piangere.
Mi piace avere la scelta!
*Salve sono Sabrina, se volete leggere altri miei articoli cliccate qui.