Opera prima di Michael Haneke e parte integrante della raccolta a lui dedicata da IWONDERFULL (sul sito di IWONDERFULL e su IWONDERFULL Prime Video Channel), Il settimo continente è disponibile sulla piattaforma dal 16 gennaio. Un film – primo capitolo della così detta “trilogia della glaciazione” (seguiranno Benny’s Video e 71 frammenti di una cronologia del caso, entrambi presenti sul canale) – che contiene già in sé tutti gli elementi distintivi della poetica del suo autore.
‘Il settimo continente’: la trama
Tre anni (1987, 1988, 1989) nella vita e nelle vicissitudini di una famiglia borghese composta da padre, madre e figlioletta. Un’esistenza apparentemente normale, cadenzata da attività banali e ripetitive, da cui comincia a emergere, però, un malessere senza nome. Una crepa, fatta di silenzi, bugie e scoppi di pianto improvvisi, destinata ad allargarsi quando la famiglia, con la scusa di un imminente viaggio in Australia, si rinchiuderà in casa cominciando, metodicamente, a distruggere ogni cosa.
Questione di sguardo
È un esordio che pare già contenere al suo interno un’intera idea di cinema, quello di Michael Haneke. Perché tutto, ne Il settimo continente, sembra dialogare già con i film che verranno dopo. Quei film che renderanno lo sguardo raggelato, cinico e spietato dell’autore austriaco immediatamente riconoscibile. È proprio questo congelamento emotivo, questa apparente oggettività della macchina da presa – segno più visibile di un’estetica sempre un passo avanti rispetto all’elemento narrativo – a comporre il primo capitolo di quella che diventerà comunemente nota come “trilogia della glaciazione”.
Una serie di film volti a smantellare la quotidianità (borghese) svuotata di senso. Uno stato di cose senza alcuno scopo se non quello di perpetrare un sistema basato su azioni meccaniche e ripetitive, emblema di una vita ridotta a puro schema, a terribile e desolante routine.
L’orrore della routine
Sono infatti l’orrore della routine e il tormento dietro le apparenze a caratterizzare la parabola esistenziale della famiglia protagonista de Il settimo continente. Una progressiva e metodica discesa nell’abisso messa in scena dal regista attraverso ellissi e omissioni. Privando la vicenda di qualsiasi elemento chiarificatore, di qualsiasi dramma o motivazione. Come se gli intenti suicidi del capofamiglia Georg e della moglie Anna fossero una diretta e naturale prosecuzione di quella non-vita fatta di repressione e sentimenti implosi.
È proprio qui, nella quotidianità, nei riti e nelle azioni ripetitive (la sveglia, la colazione, l’autolavaggio) di una classe sociale allo sbando, che si innesta dunque lo sguardo spietato e raggelato di Haneke. Uno sguardo che dà voce a un mondo in cui, attraverso un collage di dettagli, frammenti e inserti di montaggio, sono le cose, nella loro sfacciata insignificanza, a diventare protagoniste assolute della scena. Un mosaico desolante restituito e messo in crisi dal regista nei tempi e nei modi di un cinema che genera angoscia soprattutto attraverso l’attesa. Nella drammatica consapevolezza che l’unica utopia (le immagini irreali di un’Australia trasfigurata) ancora possibile per la classe media è l’annullamento.
Una poetica “scandalosa”
Erede di quel cinema antiborghese che, da Pasolini a Ferreri, cercava lo shock e la provocazione per smuovere le coscienze, Haneke porta così alle estreme conseguenze il suo assunto, correndo il rischio di sembrare compiaciuto. Eppure, nella totale mancanza di affetto e pietas per i suoi personaggi – quasi alieni o automi per i quali pare impossibile provare empatia –, più che sadismo da parte dell’autore sembra esserci altro.
Quello che interessa realmente al regista, a torto o a ragione, è infatti scuotere lo spettatore. Risvegliarlo da quell’apatia e quell’alienazione che vede riflessi sullo schermo. Portandolo a essere, finalmente, un soggetto attivo. Un’idea di cinema che tornerà nei film a venire (toccando il punto di non ritorno con Funny Games) ma che qui è già pienamente formata e matura. Primo tassello di una poetica “scandalosa”, forse persino compiaciuta, ma mai gratuita e fine a se stessa.