Christiane F., autrice del cult Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, è stata capostipite di una generazione. Il cinema tedesco, fin dalle origini, è stato altrettanto influente e determinante per la cinematografia mondiale. Quando queste due pietre miliari si incontrano non può che originarsi una colonna portante destinata a generare una pletora di eredi nell’audiovisivo globale. Ecco un’analisi storiografica del cinema tedesco che ha portato al cult Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino e ha dato il via a quel filone cinematografico che tratta la tossicodipendenza.
Il cinema tedesco: un breve excursus storiografico
Dal 1918 all’avvento del nazismo, la cinematografia tedesca fu seconda solo a quella hollywoodiana per dimensioni, innovazione e influenza sul mercato internazionale. Le correnti artistiche arrivarono anche al cinema e quella più emblematica fu senza dubbio l’Espressionismo.
L’Espressionismo, nato nei centri culturali tedeschi, emerse prepotentemente tra ansie, tensioni e nevrosi collettive, rispecchiando lo spirito del popolo.
Deformazione anti-realista e rifiuto di qualsiasi canone naturalistico sono gli stilemi del genere. La magia, l’ipnotismo e il Male costituiscono i pilastri narrativi. I personaggi, spesso outsider affetti da psicopatologie, si muovono all’interno di scenografie stilizzate e stranianti, con una recitazione esasperata.
Il film più iconico del periodo è Il gabinetto del dottor Caligari (1920) di Robert Wiene, seguito da Il Dottor Mabuse (1922) di Fritz Lang e Nosferatu (1922) di Friedrich Wilhelm Murnau. Tutte e tre le pellicole parlano di paure, oscurità, confini che svaniscono tra bene e male, luce e buio, vita e morte, verità e illusione.
Segue, nel 1924, L’ultima Risata di Carl Mayer, che mette in scena la tristezza e l’alienazione sociale.
Nel 1927 Fritz Lang dirige un altro film che rimarrà per sempre nella storia del cinema: Metropolis. In questo caso le ansie sono legate alla modernità, all’urbanizzazione, in un dispotico futuro che anticipa 1984 di George Orwell, in cui gli esseri umani sono ridotti a surrogati delle macchine.
Nel 1931 tornano la morte e il terrore con M – Il mostro di Dùsseldorf, sempre di Fritz Lang, anticipando un mostro ben più reale che nel 1933 fu nominato cancelliere: Adolf Hitler.
Durante gli anni del nazismo, come è noto in qualsiasi regime totalitario, la Germania produsse opere di propaganda politica. Tuttavia degno di nota è Olympia (1938), di Leni Riefenstahl, resoconto dei giochi olimpici di Berlino del 1936.
Nel 1945, in seguito alla sconfitta tedesca, la Germania venne divisa tra le forze occidentali, a ovest, e l’Unione Sovietica, a est. Con il clima di Guerra Fredda tra USA e URSS le tensioni aumentarono, fino al 1961, in cui i tedeschi della Germania Est costruirono un muro di divisione fra le due sezioni di Berlino.
Tra il 1962 e i primi anni Ottanta si sviluppò il Nuovo cinema tedesco, in opposizione a quello “dei padri”. Nel 1965 venne fondata la Commissione per il giovane cinema tedesco che finanziò quasi due dozzine di film low budget, spesso girati in ambienti reali e con attori esordienti.
Queste produzioni descrivevano la Germania contemporanea come terra di matrimoni falliti, sesso promiscuo e contestazione giovanile.
In questa corrente si inserisce Wim Wenders, rappresentante di un cinema che pone al centro dell’attenzione personaggi maschili in viaggio, all’interno di narrazioni apparentemente asettiche. È il caso di Alice in The Cities (1974), Alice nelle Città nella traduzione italiana, in cui il protagonista vaga ed erra attraverso panorami e immagini contemplative.
Nel 1989 cadde il muro di Berlino e l’onda d’urto sconquassò l’intera società tedesca, colpendo anche il cinema. Nel corso di tutti gli anni ’80, però, la cinematografia mondiale fu influenzata dal clima drammatico e di tensione della Guerra Fredda.
Il cinema degli anni ‘80
Il cinema degli anni Ottanta segna la fine della New Hollywood e l’avvento dei film d’azione, della commedia americana e della fantascienza, che riflettono le ansie e le paure del decennio.
Attraverso la risata, l’orrore o l’avventura, i prodotti audiovisivi di questa decade raccontano una società frammentata e un essere umano altrettanto spezzato, al limite della follia e della psicosi, profondamente solo, reduce delle guerre, dei regimi totalitari, della profonda desolazione che permea il mondo intero.
Di quegli anni sono:
Shining (1980) di Stanley Kubrick;
Toro scatenato (1980) di Martin Scorsese;
Venerdì 13 (1980) di Sean S. Cunningham;
Blade Runner (1982) di Ridley Scott;
La cosa (1982) di John Carpenter;
Scarface (1983) di Brian De Palma;
Terminator (1984) di James Cameron;
C’era una volta in America (1984) di Sergio Leone;
Stand by me (1986) di Rob Reiner;
Velluto blu (1986) di David Lynch;
Full Metal Jacket (1987) di Stanley Kubrick;
Batman (1989) di Tim Burton;
L’attimo fuggente (1989) di Peter Weir;
In questa decade si inserisce, nel 1981, un film destinato a segnare la storia: Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, tratto dall’omonimo romanzo dell’autrice tedesca Christiane F.
Christiane F.: capostipite di una generazione
Christiane Vera Felscherinow, nota soprattutto con lo pseudonimo di Christiane F., è una scrittrice e musicista tedesca, autrice del cult Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino. Il libro è una biografia scritta insieme ai giornalisti Kai Hermann e Horst Rieck, che descrive con crudo realismo l’infanzia e l’adolescenza dell’autrice nel contesto urbano di Berlino Ovest, tra tossicodipendenza e prostituzione. Il testo destò scalpore in tutto il mondo, fu tradotto in molte lingue e divenne il controverso simbolo della generazione vittima dell’eroina.
Dal libro fu tratto un film divenuto anch’esso cult generazionale: Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino (1981), diretto da Uli Edel con la colonna sonora di David Bowie. Anche il film si dimostrò un enorme successo commerciale e, insieme al libro, elesse Christiane F. Simbolo della cultura giovanile degli anni ’80.
Chi è Christiane F.
Christiane Felscherinow è cresciuta in una famiglia disfunzionale. All’età di sei anni, si trasferisce a Berlino Ovest. I primi anni della vita berlinese sono terribili: problemi finanziari, padre violento e frustrato, un contesto sociale deprimente e di prospettive desolanti. I genitori divorziano e la sorella, Annette, decide di andare a vivere con il padre. Christiane rimane con la madre e con il suo nuovo giovane compagno, Klaus.
Nel 1974, all’età di dodici anni, inizia a sperimentare le droghe, insieme alla sua nuova amica Kessi. Le due insieme fanno uso di hashish, droghe sintetiche (metaqualone, LSD, efedrina) e psicofarmaci (diazepam), soprattutto nel centro giovanile della Chiesa Luterana di Gropiusstadt.
In seguito, la loro vita sociale comincia a gravitare intorno alla discoteca Sound, nella parte di Berlino tristemente nota per essere un centro nevralgico di spaccio di eroina e prostituzione giovanile.
A quattordici anni assume per la prima volta l’eroina. Inizia così la sua doppia vita, tra le mattine a scuola e i pomeriggi passati a procacciarsi l’eroina alla “stazione dello zoo” a Charlottenburg.
Ben presto inizia a prostituirsi in compagnia delle amiche e del suo ragazzo, tossicodipendente e sex worker con clienti gay.
Assisterà alla morte di amici e fidanzati. Tenterà il suicidio per overdose. Nel 1977 la madre riuscirà a salvarla allontanandola da Berlino e mandandola a vivere dalla nonna e dalla zia in un paesino di campagna vicino ad Amburgo.
Tutti questi fatti sono raccontati nel libro, pubblicato nel 1978, e nel film.
Christiane F. e la vita dopo il successo
Nel 1981 esce la trasposizione cinematografica, Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, e negli anni successivi Christiane recita in due film della scena berlinese, Neonstadt (1982) e Decoder (1984).
A partire dal 1984 comincia il lento oblio del suo personaggio pubblico. Dopo un periodo in Svizzera, nel 1985 torna a Berlino e ricade nel tunnel della tossicodipendenza e della prostituzione, scomparendo dalla scena e dai rotocalchi.
Nel gennaio 1986 viene condannata a dieci mesi di carcere e, rifiutando il piano di rieducazione, accetta la detenzione.
Tutto ciò che accade dall’uscita della biografia al 1995 viene raccontato nel documentario Spiegel (1995).
Nel 1996 dà alla luce un figlio, con cui si trasferisce in una cittadina del Brandeburgo contigua alla periferia meridionale di Berlino.
Tra il 2005 e il 2006 escono diverse interviste rilasciate dai quotidiani berlinesi e dalle emittenti televisive tedesche in cui Christiane dichiara che, se non fosse stato per il figlio, nato dopo due aborti precedenti, sarebbe sicuramente morta.
Nell’estate del 2008 le autorità cittadine le sottraggono la custodia del figlio undicenne a causa di una ricaduta nell’eroina.
Sempre nel 2008, la madre, intervistata per la prima volta, dichiara in un reportage di Spiegel TV che il successo del libro e del film sono stati la rovina della figlia. Dopo il successo finanziario, infatti, Christiane avrebbe avuto accesso illimitato alla droga, ricadendo inevitabilmente nella tossicodipendenza.
Il 10 ottobre 2013 Christiane F. pubblica il suo secondo libro: Christiane F. La mia seconda vita. Rimasto nei bestseller per quasi un anno, il libro rilancia la sua figura pubblica, narrando la storia di Christiane dagli anni ’80 in poi.
Quello che emerge è il ritratto di una donna nomade, che non è mai riuscita ad allontanarsi definitivamente dal mondo della droga. L’elemento essenziale è però il rapporto con il figlio, che incontra ogni settimana.
Christiane non fa più uso di eroina, ma continua ad assumere metadone, psicofarmaci e droghe leggere.
Nel febbraio 2021 esce su Amazon Prime la miniserie televisiva tedesca Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino creata da Annette Hess, remake moderno dell’omonimo bestseller e del cult cinematografico.
Nel maggio 2023 Christiane si trasferisce in una piccola fattoria, progettando di vivere finalmente lontana dalla droga.
Viviamo in una società che adora l’ebbrezza e disprezza il tossicodipendente
Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino (1981)
La trama del film è la vita della sua protagonista. Uli Edel mette in scena la dipendenza, l’amore, il dolore, il sesso, la corruzione morale e il degrado psicologico che permea ogni aspetto della vita di Christiane, assuefatta dall’eroina.
Lo squallore è anche urbano: Berlino è una città lugubre, fredda e triste. La stazione ferroviaria è il luogo della desolazione totale, della perdita, del desiderio malato. La discoteca Sound è brulicante di suoni e di eccitazione, un luogo magico in cui si può essere eroi per una notte, come canta David Bowie in sottofondo con Heroes.
La famiglia è un nucleo destrutturato, Christiane è un elemento degenerato alla deriva, in una reazione chimica letale. È un personaggio solo, lontano, inizialmente curioso verso quel mondo di cui poi diventerà totalmente dipendente, in un vortice fuori controllo.
La droga è vista inizialmente come rito iniziatico, passaggio necessario per sentirsi parte del gruppo. Il gruppo però non è mai un’entità positiva: è un rifugio in cui assopire la propria fragilità, senza alcun confronto costruttivo.
L’incapacità di disintossicarsi, la spirale di autodistruzione inevitabile, l’ineluttabilità della droga. Ecco cosa ci racconta Christiane F. nella sua autobiografia cruda e spietata. Questo film, così come il libro, è una wake up call alla generazione dei padri e delle madri di quei ragazzi persi degli anni ’80.
Gli eredi cinematografici
Dal cinema drammatico degli anni ’80, e in particolare dall’eredità di Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, sono nati una serie di prodotti audiovisivi cult sul mondo della droga, della tossicodipendenza e del disagio giovanile.
Accanto a prodotti esaltanti e scanzonati come Blow (2001), American Gangster (2007), Limitless (2011) e The Wolf of Wall Street (2013), troviamo pellicole molto più drammatiche e impattanti che portano sullo schermo i retroscena, il lato oscuro della luna.
Amore tossico (1983), esperimento italiano di Claudio Caligari, in cui il tema centrale è la dipendenza dall’eroina dei giovani degli anni ’80. Un gruppo di tossicodipendenti romani trascorre le giornate tra Ostia e Roma, consumando stupefacenti e commettendo piccoli crimini per procurarsi la dose quotidiana. Gli attori sono eroinomani o ex tossicodipendenti, scelta che causò numerosi problemi durante le riprese. Caligari racconta una vita ripetitiva, senza futuro e senza speranza.
Trainspotting (1996) di Danny Boyle, manifesto cult tratto dall’omonimo romanzo di Irvine Welsh. Ambientato a Edimburgo, racconta le vicende di giovani eroinomani che cercano continuamente di disintossicarsi ma ricadono regolarmente nella spirale della droga, che ne definisce vite e rapporti sociali. I protagonisti sono iconici e si trasformano in simboli giovanili che abbracciano più generazioni, accompagnati da frasi che diventano aforismi emblematici. È un film sulla tossicodipendenza ma anche sulla società, sul consumismo e sulla disperazione che permea il disagio giovanile.
Requiem for a dream (2000) di Darren Aronofsky, anch’esso tratto da un romanzo omonimo di Hubert Selby Jr.. Il regista esplora le psicosi e le nevrosi umane attraverso la dipendenza dall’eroina. Lo sguardo è su una generazione persa e senza speranza, ma soprattutto senza possibilità di redenzione. Un film che non perdona e non salva nessuno, soprattutto la società colpevole.
Paradiso + inferno (2006), diretto da Neil Armfield, con Heath Ledger e Abbie Cornish. I due protagonisti condividono un amore totalizzante, che li condurrà all’abuso di sostanze stupefacenti. Una storia dolorosa e intima suddivisa in paradiso, purgatorio e inferno, che terminerà con il baratro dell’eroina.
Non essere cattivo (2015), sempre di Claudio Caligari, che gira una sorta di sequel di Amore tossico ambientato negli anni ’90, con Alessandro Borghi e Luca Marinelli.
Beautiful boy (2018), di Felix Van Groeningen, con Steve Carrell e Timothée Chalamet, basata sui romanzi autobiografici di David Sheff e suo figlio Nic. Un padre vive la caduta nel tunnel della droga del figlio, tra continue ricadute. Il focus è sui rapporti affettivi e sul dolore che genera la tossicodipendenza.
Le serie TV
Tra gli eredi audiovisivi del filone, anche la serialità può vantare alcuni pilastri del genere.
In questa categoria, non può non venire alla mente Euphoria (2019-), serie cult con Zendaya e Jacob Elordi che racconta il difficile percorso di disintossicazione della giovane protagonista, tra sesso, amicizia, amore, traumi e ovviamente droga.
Un’altra serie cult che mette in scena i due lati della medaglia è Breaking Bad (2008-2013). Da un lato abbiamo Walter White (Bryan Cranston), genio della chimica che diventa milionario grazie alla produzione e allo spaccio di anfetamina; dall’altro Jesse Pinkman (Aaron Paul), giovane tossicodipendente che affronterà una drammatica parabola tra morte e sofferenza a causa del business.
Anche l’italiana Gomorra (2014-), tratta dall’omonimo romanzo di Roberto Saviano, racconta le gesta di una serie di spacciatori e camorristi, concentrandosi però sull’aspetto criminale e malavitoso.
The Wire (2002-2008), prodotta da HBO, è un altro pilastro nel mondo della serialità. Ambientata a Baltimora, racconta con realismo e crudezza lo spietato confitto tra la polizia e le attività criminali legate al traffico di stupefacenti.
Infine, impossibile non citare Narcos (2015-2017), ennesimo cult con Pedro Pascal che racconta la storia di Pablo Escobar e del cartello di Medellìn, attraverso guerre tra clan e scontri con la polizia.
È immensa l’eredità lasciata da Christiane F. e dal suo dramma personale, così come l’influenza esercitata dal cinema tedesco, dalle origini ad oggi.
Christiane F. è stata un personaggio simbolo, capostipite di un filone narrativo troppo spesso soffocato. È stata l’elefante nella stanza della generazione madre di quegli anni ’80 che ha messo al mondo quei figli così soli e incompresi. Quei ragazzi dello zoo di Berlino vivono oggi nella memoria collettiva grazie alla coraggiosa autrice.
Film sulla droga. Non solo Christiane F.