Si conclude la serie Showtime creata dal duo Safdie/Fielder con Emma Stone. L’estetica di David Lynch unisce una strana e bellissima commedia. Un po' noir, un po' metatelevisiva e un po' sci-fi
Su Paramount+ è visibile la prima stagione di The Curse prodotta da Showtime e A24. La serie è ideata da Nathan Fielder (The Rehearsal) e Benny Safdie (Oppenheimer), nello show anche attori insieme al premio Oscar Emma Stone.
Il trailer – The Curse
Realismo in soggettiva – The Curse
Nel fare la recensione dei primi episodi di The Curse circa due mesi fa ci si chiedeva se l’estetica derivativa sarebbe arrivata ad una messa a punto strutturale e identitaria. Era subito parso abbastanza interessante il lavoro di Safdie e Fielder. Un lungo episodio non autorizzato di Twin Peaks che si interfacciava con una ricerca forsennata dell’inquadratura misteriosa, rivelatrice, seppur nascosta. The Curse non solo si dimostra un progetto altamente interessante ma anche e soprattutto qualcosa di unico nel panorama seriale. Difficilmente si può reperire nella tv post-moderna un prodotto così straniante che si prende il suo tempo per cimentarsi in idee in quel dato momento incapibili ma che attengono alla filosofia della serie. Perché The Curseè una serie che fa della filosofia il suo eccellente marchio di fabbrica. Una filosofia della televisione e del rapporto tra le persone.
Tutto è finzione in Tv
La storia ruota attorno a una coppia di sposini Asher e Whitney, aiutati dal loro regista Dougie, che cercano in tutti i modi di farsi comprare il loro show da qualche network. I due protagonisti sono dei benefattori apparenti, degli immobiliaristi della tv che tentano forsennatamente di vendere, o meglio offrire, gratis case ecologiche e architettonicamente innovative per la classe povera. Messicani, indigeni e afroamericani su tutti. Ma il loro vero intento è una ricerca frenetica del bisogno di fama. Fin da subito è avvincente e centrato il discorso che Safdie e Fielder articolano. Tutto è finzione nella tv soprattutto, quella che The Curse prende di mira.
L’obbiettivo abbastanza palese si dimostra essere quello di irridere i mezzi docu-seriali come Fratelli in Affari di Jonathan e Drew Scott. Ma il punto è molto più profondo e riguarda la tecnica di ripresa impiegata. Perché la serie è totalmente inquadrata in soggettiva e semi-soggettiva. Ogni momento dei protagonisti, sia Asher, Whitney che il loro amico regista, viene ripreso dall’obiettivo della cinepresa. Dando la sensazione che il Grande Fratello non si spenga mai e sia un continuo flusso di vita analizzato sotto la lente. Inscenando una forma televisiva che fa apparire reality perpetuo il davanti e il dietro della la telecamera.
La superstizione e il dispositivo matrimoniale
Il filosofo americano Stanley Cavell nel suo scritto La commedia hollywoodiana del rimatrimonio pone in essere il tema della ricerca della felicità che vediamo nel corso della serie tra il personaggio di Fielder e della Stone. L’amore per loro è una sfida. E il dispositivo matrimoniale quasi subito diviene una gara rispetto a chi dei due è più abile a fronteggiare il mezzo televisivo. E l’insistenza di Whitney di far vedere le scene scartate ad Asher sottolinea proprio questa strana esigenza di non riuscire a bastarsi da soli e di non essere all’altezza dei propri traguardi. Ma come sottolinea Cavell, la validità del matrimonio esige la disponibilità alla ripetizione, e quindi la conseguente disponibilità al rimatrimonio.
Una serie capolavoro
Difatti ciò è ampiamente documentato alla fine del penultimo episodio. Asher esce dallo stallo della fine del matrimonio, promettendo un cambiamento immediato. Riprendendo l’azione matrimoniale lì dove era stata interrotta. Bloccata e messa in pericolo dalla superstizione che lega fin da subito il rapporto altalenante dei due protagonisti. Una maledizione che, partendo dalla iettatura iniziale ad opera di una innocente bambina, ossessionerà Asher a tal punto da ripensare le proprie colpe matrimoniali. E il colpo di teatro tra la sci-fi e il surrealismo grottescamente sfrenato del finale risponde ad un desiderio di The Curse e di Fielder di far balzare la palla avvelenata sempre nelle mani di Asher. E nel suo paradossale libero arbitrio.
David Lynch andata e ritorno
Appena si vede The Curse il primo riferimento è per il cinema di Lynch e il suo Twin Peaks. Durante tutta la serie siamo immersi in questi tappetini sonori tra una scena e l’altra che riprendono fortissimamente il mood musicale di Angelo Badalamenti. Una similare disturbante claustrofobia che rispecchia i due mondi. Per David Lynch quello della fittizia città montana, per Fielder e Safdie una satira no-sense e grottesca mediante il vetro graffiato degli immobili del duo Asher/Whitney.
The Curse è una serie strana nell’accezione più positiva del termine. Difficile da inquadrare in un genere e in uno schema preciso. Angolata nella messa in quadro, così come si espone a diverse letture meta televisive e soprannaturali affrontate nel corso di tutti i dieci episodi.
Anno: 2023
Durata: 50'
Distribuzione: Paramount+
Genere: dramedy
Nazionalita: Usa
Regia: Nathan Fielder e Benny Safdie
Data di uscita: 10-November-2023
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