Elisa Wong è una delle new entry della terza stagione di Doc in onda tutti i giovedì su Rai1 dall’11 gennaio, insieme a Giacomo Giorgio e Laura Cravedi. L’attrice interpreta Lin Wang, una dei nuovi specializzandi, una ragazza di origini cinesi, nata e cresciuta a Milano. A parlarci del personaggio, della partecipazione a Doc e soprattutto dell’importanza di una rappresentanza artistica per la comunità cinese è stata la stessa Elisa Wong.
– Foto di copertina di Virginia Bettoja –
Elisa Wong in Doc 3
Qual è stata la prima impressione che hai avuto una volta ottenuta la parte e com’è stato entrare a far parte di Doc, una serie conosciuta e apprezzata da un vasto pubblico?
Quando ho ricevuto la notizia che mi avevano presa non mi sembrava vero per cui ho avuto una fase di negazionismo totale. E così anche dopo, avendo conosciuto tutti i membri del cast, continuavo a non realizzare e a non capire. Poi ho realizzato che stava accadendo davvero, quindi è stato bellissimo. Sono entrata a far parte di una famiglia che, nonostante fosse già formata, è stata disponibile sia a livello umano che professionale, come guida. Per esempio Pierpaolo Spollon è il nostro tutor nella serie, ma lo è anche nella realtà.
Per quanto riguarda il mio personaggio è molto carino e dolce. In un primo momento la conosciamo poco perché è più riservata e timida rispetto agli altri colleghi. Poi avremo modo di esplorare di più il perché di questo: è una scelta consapevole il fatto di non voler condividere troppo. Avremo modo di conoscerla meglio successivamente.
Basandosi solo sulle prime due puntate sicuramente il tuo è il personaggio nuovo con il quale si entra più in sintonia ed empatia. E credo tu sia stata brava a trasmettere questo con degli sguardi che nascondono più di quanto si possa pensare (vediamo solo un accenno alla tua vita familiare).
Anche nella situazione famiglia si vede la dolcezza del mio personaggio con la madre, in un certo senso una dolcezza anche quasi artificiale. Ma si capisce solo in un secondo momento, quando viene svelato perché c’è questa tensione a casa che dovrebbe essere il luogo dove si è più rilassati, dove si è sé stessi. Per il mio personaggio questo non accade, a casa non si sente libera. Ma con la sorella, essendo coetanee e vivendo la stessa esperienza da seconda generazione, c’è un’intesa maggiore. Con lei si vede esce fuori un lato meno dolce. Esce un po’ la sorella maggiore più “severa”.
L’uso della lingua
Visto che hai fatto riferimento all’argomento volevo chiederti qualcosa sulla lingua. Com’è (stato) essere portavoce anche in questo senso? Quanto è reale/verosimile quello che viene mostrato? Perché in questo modo, secondo me, si evidenzia da una parte la differenza tra le due generazioni e dall’altra il fatto che tu rappresenti un ponte/tramite tra la comunità cinese e quella italiana.
A proposito di questo l’intento era costruire un personaggio che potesse dare un racconto reale che riflettesse le seconde generazioni.
Per quanto mi riguarda, oltre alla felicità di prendere parte a questo progetto, c’è anche una rappresentanza più verosimile possibile. In tantissime famiglie con fratelli e sorelle si parla in italiano e con i genitori in dialetto. E poi a volte c’è una barriera linguistica con i genitori perché non si riesce ad esprimere qualcosa con la stessa lingua.
Quindi è stato molto bello essere portavoce di questo in Doc. Poi con la mamma del set c’è una scena in cui viene fuori il dialetto ed è stato un momento divertente e significativo perché casualmente abbiamo scoperto di provenire dalla stessa città e quindi di avere lo stesso dialetto. Un aspetto che dava un tocco di autenticità alla scena e tutto per puro caso.
Foto di Virginia Bettoja
E poi è stato bello anche poter dare voce a una comunità sempre molto presente, ma non dal punto di vista artistico ed è un peccato perché, col fatto di non vedere tanta rappresentanza artistica in questo mondo, si tende a sfavorire questa scelta, questo percorso di vita. Si prediligono altre scelte perché sembrano valori più tangibili.
Modelli di riferimento per Elisa Wong
In questo senso con il tuo personaggio sei il simbolo di una comunità che, per fortuna, ultimamente ha una maggiore rappresentazione rispetto al passato. Hai dei modelli di riferimento per questo? Oppure ti senti te stessa un modello di riferimento, una portavoce per altri che magari vogliono percorrere questa strada?
Devo dire che ho avuto la fortuna di avere un papà che si è sempre occupato della parte più sociale della rappresentanza della comunità. Ha cercato di far sì che la nostra comunità non venisse dipinta attraverso stereotipi. E io, di conseguenza, anche da piccola, ho sempre avuto una vocazione forte sul tema dell’identità e della rappresentanza.
Avendo scelto questo percorso, un po’ per caso un po’ per fortuna, sento di poter contribuire a dare un’immagine diversa da quella che i media solitamente raccontano ed è importante perché tra le nostre generazioni uno si sente quasi costretto a dover scegliere un certo tipo di mestiere perché non ci sono riferimenti. Diventa difficile anche trovare un mentore.
Speriamo che Doc aiuti in questo senso. Mi viene in mente, per esempio, anche la scena dove viene spiegato che in Cina si dice prima il cognome del nome. Si tratta di un modo che può aiutare anche a conoscere aspetti che normalmente non si conoscono.
Secondo me sì, anche perché il pubblico non è neanche abituato e prende la tv come un riferimento della realtà.
Per esempio, prima di questo ammetto di aver fatto ruoli stereotipati, come la massaggiatrice o la ristoratrice anche perché quelli erano i ruoli per molto tempo. Non c’era possibilità di essere presa in considerazione per altri ruoli. Purtroppo c’è ancora questo problema, ma spero che con Doc si possa fare un passo in avanti.
Altri ruoli per Elisa Wong
Collegandomi a tutto quello che hai detto e guardando alla tua filmografia è quasi inevitabile citare Zero, la serie Netflix che, forse più di tutte, tratta queste tematiche rendendo protagoniste comunità che solitamente sono relegate a ruoli secondari.
Secondo me Zero è la serie per eccellenza da questo punto di vista. Una serie in cui il regista ha cercato di buttare giù tutti i muri e i preconcetti esistenti di una serie italiana. E aggiungendo anche l’elemento del sovrannaturale che adesso sta andando tantissimo. Forse, per certe cose, è stato troppo avanti coi tempi.
Foto di Virginia Bettoja
Invece che chiederti dei tuoi progetti futuri, ti domando che effetto ti ha fatto arrivare sul grande schermo consapevole di aver preso parte a un prodotto per il piccolo schermo. Cioè com’è stata l’anteprima speciale al cinema dei primi episodi di Doc?
Completamente inaspettato. Una sorpresa per tutti, tra l’altro a conclusione del set. Ed è stato il primo anno che è stata organizzata una cosa del genere.
Cinema e sogni
Prima abbiamo parlato di modelli di riferimento. Adesso ti chiedo il tuo cinema di riferimento. C’è qualche autore che ti piace particolarmente? E/o qualcuno con il quale ti piacerebbe poter lavorare?
Io dico sempre Christopher Nolan ed è un sogno, ma sono anche molto legata al cinema asiatico, quindi anche Wong Kar–wai sarebbe un grande sogno. E poi anche in Italia con Paolo Sorrentino. Insomma c’è l’imbarazzo della scelta.
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli