Opera prima dell’austriaca Jessica Hausner, candidata alla Palma d’oro 2023 per Club Zero, Lovely Rita è un film di formazione femminile datato 2001. Questo crudo racconto è ora in streaming su MUBI per la rassegna Prima i Primi, dedicata ai primi lungometraggi di registi famosi a livello internazionale.
Lovely Rita: di cosa tratta
Rita (Barbara Osika) è una giovane quindicenne della periferia di Vienna che studia in una scuola femminile cattolica. Emarginata, inadatta e incompresa sia dagli adulti che dai suoi stessi coetanei, la ragazza fatica. Vorrebbe essere qualcun’ altra, scappare da tutto: ha, infatti, una tendenza a mentire costantemente, a saltare la scuola, ad auto-isolarsi e a trasgredire sessualmente. La realtà in cui vive le va stretta, ma non riesce neanche a crearsene una propria. Sullo sfondo, una critica alla tipica famiglia austriaca piccolo borghese e a una società che dà troppo peso alle convenzioni religiose.
Questo senso d’inquietudine pervade la narrazione, il personaggio e l’ambiente circostante. Lungo la storia, Rita deve affrontare rapporti scostanti con i genitori, che la rinchiudono in una bolla severa fatta di critiche ed obblighi. Scappa dalle lezioni con le suore ed è incapace di comunicare anche con i suoi coetanei. Sfoga la confusione nella scoperta della sua sessualità, sperimentando i piaceri del corpo con un suo coetaneo e un adulto sconosciuto. Difficile definire la narrazione, a causa delle costanti contraddizioni alla base del personaggio, psicologicamente immorale e incomprensibile.
Gli attori non sono professionisti. Scelta che definirà gran parte della carriera della Hausner. La periferia viennese sembra starle a cuore e, similmente ad altri autori austriaci, come Haneke o Seidl, la classe media nazionale rappresenta un focus costante a partire da quest’opera prima. Attraverso artificiosità e ambiguità, la regista dà vita a un esordio scioccante, che segnerà una carriera contro la morale conservatrice e omologante tutt’oggi presente. Molte delle scelte direttoriali di Lovely Rita simboleggiano la linea professionale della regista austriaca, che si distingue per le sue narrazioni torbide, in bilico tra il documentario e la finzione attraverso immagini e silenzi vuoti evocatori dell’ordinarietà della vita reale.
Psicosessualità e cinismo
Come immersa nell’acido, la storia si dipinge di cinismo e distacco. Una caratteristica che permea la personalità di Rita, che contraddice, in modo ironico e acuto, il titolo dell’opera. Con Lovely Rita, di fatto, si preannuncerebbe una ragazza giovane e amorevole, ma in realtà nasconde un animo ribelle e si trova vittima di un mondo che non conosce luce. Quest’ultimo è, di fatto, feroce, sconvolgente e duro, ma privo di toni. Proprio come il film.
Il padre è freddo e distante, e la madre incapace di creare qualsiasi tipo di legame con lei. L’unica caratteristica che ne rende il rapporto è la sua natura severa e restrittiva, incapace di comunicare in altro modo e considerare Rita una persona a sé stante, capace di intendere e di volere. La ragazza è, in realtà, emotivamente immatura. Aspetto che complica ulteriormente la sua vita sulla sfera sessuale. Cerca attenzioni altrove, stressando un ragazzo fragile della sua età e cadendo in trappola delle avances di un uomo adulto. Nell’opera della Hausner la sessualità è un mezzo di autoconoscenza e distacco.
Rita ricorda Lady Bird, ma è più amara e immorale, meno emotiva, e ancor più anaffettiva per quanto riguarda il rapporto materno. Tuttavia, nel complesso, similmente all’opera di Gerwig, la narrazione e caratterizzazione del personaggio femminile sono vuote, anche se non necessariamente in maniera negativa. Questo vuoto si deve alla necessità e al dovere di non giudicare, esprimersi o limitare ciò che la protagonista al centro tenta di comprendere. Agisce per conto suo, forse a volte un po’ fuori personaggio, poiché è labile la linea che differenzia le azioni tipiche di una ragazzina confusa da quelle di un’adulta disastrata.
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Una narrazione femminile forte ma limitata
In un racconto dalle immagini fredde ed artificiali, la fotografia si divide tra il realistico e il fittizio, rendendo impossibile per l’audience trovare una soluzione ai suoi mille paradossi. Il film sembra avere le sembianze di un documentario, ma i movimenti della macchina da presa risultano bruschi e talvolta esagerati, avvicinandosi così alla finzione di un film. Zoom alternati nei momenti di suspense, colori sgradevoli e silenzi assordanti: è come se la regista cercasse di sviare, confonderci, ma crea in questo piccolo spazio vertiginoso un senso di conforto. Questa illogicità alla base della storia non è che frutto della realtà, è verità esaltata e melodrammatica, figlia di un realismo amaro.
Questo andamento confusionario è voluto, soprattutto la sua mancanza di soluzione. C’è qualcosa d’inspiegabile alla base dell’animo umano, ed è giusto che venga reso in un film così realistico, mentre il suo sguardo scruta ovunque voglia, documentando e compiacendosi del caos che trasuda da tutte le parti. E Rita, come da tradizione immemore del mondo, cercando di fuggire dalla sua prigione ne finisce in un’altra. Man mano si sfocia nel macabro, il suo aspetto amorale prende le redini, ma dà luce ad una narrazione femminile incompiuta. Non si domanda perché della sua condizione, della sua persona, si concentra di più sull’effetto che sulla causa.
Annoiata, silenziosa e cinica, Rita cerca in tutti i modi di distaccarsi dalle convenzioni, dai limiti e dalla noia sociale a cui è costretta. L’ambiente benestante, iper-religioso e conservatore che la circonda non è altro che un limite alla sua libertà femminile, obbligandola a scoprire tutto da sola. I suoi impulsi hanno la meglio, e come un animale affamato di sensi e libertà rendono il suo personaggio estremamente egoista. Come opera prima, Lovely Rita preannuncia il forte desiderio della regista di criticare e sconvolgere il mondo. Dall’andamento nevrotico, enigmatico e inquietante, il film definisce l’atteggiamento e lo sguardo pericoloso della Hausner, la quale non ha paura di rischiare per scoprire i lati più cupi e malsani dell’animo umano.