Dopo Oliver è il film scritto, diretto e interpretato da Dan Levy. Il giovane artista, al suo debutto alla regia di un lungometraggio, è conosciuto anche per la serie Schitt’s Creek. Levy porta sullo schermo una storia legata alla propria malinconia, come in una catarsi esperienziale per lui indispensabile.
La storia che ho deciso di raccontare è, dunque, estremamente personale. Avevo bisogno di farlo. Ne è venuto fuori un film sull’amicizia, sulla perdita e su tutto il caos che ne deriva quando la verità è qualcosa che hai evitato per gran parte della tua vita. È divertente e dolceamaro al tempo stesso ma mi ha aiutato a superare il mio dolore: spero che faccia lo stesso effetto ad altre persone. (Dan Levy)
Il lavoro è presente sulla piattaforma Netflix a partire dal 5 gennaio 2024 e vede la partecipazione di Luke Evans, attore dichiaratamente gay e spesso impegnato in ruoli queer, come in Our son (2023).
Marc e il suo dolore, fra amicizia e brutte sorprese
La storia è quella di Marc, sposato con Oliver, che rimane vedovo durante la notte di Natale. Mentre le settimane passano, Marc cerca di ricostruirsi la vita grazie anche al supporto dei suoi due migliori amici, Sophie e Thomas.
A un anno di distanza, Marc scopre che il marito aveva una relazione parallela a Parigi. Coglie così l’occasione per andare nella Ville Lumière e ciò lo porterà ad affrontare sia i fantasmi del passato che le incongruenze della relazione con gli amici di sempre.
Una narrazione che mescola una serie di trame già viste e riviste: dalla drammaticità della scena della morte di Oliver, che richiama Amici, complici, amanti (1988), alla scoperta postuma del tradimento, argomento di innumerevoli film, fra cui Le fate ignoranti (2001).
Le problematicità di un film autoreferenziale
In questa opera l’aspetto primario è la necessità del regista/autore di esprimere le proprie inquietudini. Del resto, lo stesso regista non ne fa mistero, dichiarandolo nelle interviste. Questa spinta egocentrica porta la storia a una moltitudine di punti deboli.
Sulla parte tecnica c’è davvero poco da dire. Ed è un peccato, perché le persone coinvolte sono professionisti con capacità riconosciute e ampiamente dimostrate. La fotografia di Ole Bratt Birkeland, che ha lavorato in Judy (2019), è oramai la riproposta di ciò che vediamo da mesi, ovvero ambientazioni sature di rosso e ciano, penombre, effetti che danno un senso interessante le prime volte che li osservi ma la cui reiterazione non aiuta.
Le scenografie di Alice Normington sono così “televisive” che spiace vedere il lavoro di una capace professionista, che ha in curriculum lavori come Suffragette (2015), così ridimensionato. Stresso discorso vale per Julian Day, passato dagli sfarzi di Bohemian Rhapsody (2018) e Rocketman (2019) alla mestizia di Dopo Oliver. Rob Simonsen, invece, viene svilito dalla play list che Levy pare avere a cuore e che, in tal senso, danno una ragion d’esistere al film stesso, che ne diventa il videoclip.
È vero che tutto deve essere asservito al racconto e al regista, e questi maestri lo hanno fatto pienamente. Ma dispiace vedere potenzialità riconosciute messe alle strette da un lungometraggio tutto sommato modesto. Perché, alla fine, quest’opera serve più come autoanalisi a Levy che a donare emozioni allo spettatore.
Una narrazione senza approfondimenti e banale
Il critico Edoardo Sanguineti ha sempre combattuto contro i film che non lasciavano nulla di nuovo, la cui emozione era scontata. È sempre andato contro la cinematografia di Vittorio De Sica, giusto per fare un esempio. In questo caso specifico, Sanguineti avrebbe obiettato rispetto a tutte le risorse sprecate per un lavoro così raffazzonato.
Dan Levy scrive una storia in cui non viene indagato nulla: né il dolore per la morte di un compagno né il rapporto amicale che diventa quasi simbiotico fra Marc e gli amici di sempre. L’autore rimane invischiato in quello che abbiamo già visto in Schitt’s Creek, ovvero una serie di gag inframmezzate da situazioni più o meno drammatiche, che dovrebbero essere il momento di una riflessione profonda. Eppure, la ragione prima di questa opera è la sua volontà di districarsi dal personaggio di David Rose.
La maggior parte delle persone pensa che io sia semplicemente un comico. … mi piacerebbe far capire che la personalità di David Rose non è la mia. Condividiamo l’aspetto esteriore ma non come siamo nel nostro animo. (Dan Levy)
Dopo Oliver è un insieme di questi sketch, uniti con situazioni che servono solo da collante ma che non apportano nulla di nuovo. La scena del funerale è l’esempio più evidente, ma il film è pregno di questi momenti.
Neanche la scoperta del tradimento o il confronto con l’amante del marito diventano momenti significativi, ma tutto viene lasciato cadere in una banalità sottolineata da un uso scolastico della macchina da presa. È facile giocare con frequenti inquadrature a piano medio per cercare di evidenziare le emotività espressive, ma queste hanno buon gioco se si ha davanti la lente Al Pacino o Meryl Streep.
Il peccato veniale dei coprotagonisti
Ruth Negga, già candidata all’Oscar come miglior attrice protagonista nel 2017, si ritrova a fare l’amica beona, sentimentalmente instabile e dalla spiccata ironia. Sophie è un personaggio riuscito solo perché Negga non interpreta il personaggio, ma lo vive come se il film fosse un momento di svago.
L’amico morigerato, Thomas, è interpretato da Himesh Patel che non ha la stessa forza di Negga, né attorialmente né per il personaggio che deve interpretare. Stessa cosa dicasi per Arnaud Valois, imprigionato nel ruolo della nuova fiamma di Marc, relazione che non viene mai sviluppata e che serve come pretesto per una scena al Musée de l’Orangerie – del resto, quale concierge non riesce a farsi aprire un museo, in piena notte, per farlo visitare a un amico depresso?
Le tre scene con Celia Imrie, attrice d’esperienza, servono ancor di più, ove ce ne fosse necessità, di mettere in risalto le debolezze del testo. Infine, comprensibilissima la volontà di Luke Evans di partecipare a pellicole queer, in qualità di portabandiera, ma forse dovrebbe ponderare meglio le proprie scelte che, altrimenti, rischiano di inficiare i messaggi portati avanti con lavori come Our Son, ad esempio.
Cosa può regalare Dopo Oliver allo spettatore
Questo film di Dan Levy non è certo un film queer: la relazione fra Marc e Oliver è semplicemente un pretesto per affrontare altre tematiche – l’amicizia? La riscoperta di se stessi? O forse il significato della morte? In questo periodo sono usciti film e serie tv a tematica molto meglio realizzate. Spoiler Alert (2022) affronta, in maniera più efficace, la perdita di un amore e Compagni di viaggio (2023) fa lo stesso, anche se con modalità narrativa differente.
Dopo Oliver è un film adatto a chi non ha voglia di pensare troppo, chi vuol essere preda di un facile sentimentalismo, a tratti stucchevole. È un film poco impegnativo, per chi è abituato a scrollare su Tiktok, a chi è con amici e parenti ed è portato ad accompagnare la visione con continui commenti. Bisogna solo essere consapevoli che i cento minuti che impiega Levy a propinarci la sua visione sulla morte e a farci intendere quale sia la sua profondità umana non ci verranno mai restituiti.
Dopo Oliver
Anno: 2023
Durata: 100'
Distribuzione: Netflix
Genere: Commedia, Drammatico, Sentimentale
Nazionalita: Stati Uniti
Regia: Dan Levy
Data di uscita: 05-January-2024
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