Dopo essere stato il film di chiusura all’80esima edizione del Festival del Cinema di Venezia il 4 gennaio arriva su Netflix La società della neve, il nuovo film del regista spagnolo J. A. Bayona (Marrowbone, Jurassic World – Il regno distrutto) dedicato al celebre disastro aereo del 1972. Un film potente ed emozionante che al sensazionalismo morboso contrappone una narrazione attenta ai sentimenti e all’empatia. Elogio di un’umanità capace di fare squadra anche nei momenti più bui.
‘La società della neve’: Trama
Il 13 ottobre 1972 il volo 571 della Fuerza Aerea Uruguaya diretto a Santiago del Cile si schianta sulla Cordigliera delle Ande. A bordo ci sono 40 passeggeri e cinque membri dell’equipaggio, la maggior parte dei quali appartenenti alla squadra di rugby uruguayana Old Christians e ai loro famigliari. I sopravvissuti rimarranno in balia degli elementi per 73 giorni, ricorrendo a scelte estreme come il cannibalismo per sopravvivere.

Un racconto di fantasmi
È a suo modo una storia dell’orrore quella raccontata ne La società della neve. Una storia di morti viventi, di revenants tornati con un monito, di fantasmi, persino. Perché nell’ultimo lungo di Bayona – terza trasposizione cinematografica di un disastro oramai entrato nell’immaginario collettivo – al centro di tutto c’è il senso di un’umanità e di un amore che va oltre la morte, che sopravvive persino alla ferocia degli elementi e all’indifferenza della natura. Non è un caso, del resto, che il film decida di affidare il ruolo di narratore proprio a una delle vittime del disastro, come se in questa storia di solidarietà e resilienza non ci sia davvero differenza tra vivi e morti, tra chi si è salvato e chi non ce l’ha fatta.
Spirito di squadra
D’altronde, è un mondo sospeso, quello in cui si ritrovano catapultati i protagonisti della vicenda. Una realtà “altra” dove i confini quasi si sfaldano e in cui la vita pare impossibile (“Qui gli estranei siamo noi”), schiacciata da una natura soverchiante e indifferente che appiattisce ogni cosa. Fino a rendere difficile persino capire la differenza tra tragedia e miracolo.
Vivi e morti. Tragedia e miracolo. È tutta giocata sull’ambiguità di questi opposti La società della neve. Un film che guarda a uno dei disastri aerei più famosi della storia senza sensazionalismo ne morbosità, mettendo al centro del suo discorso lo spirito di solidarietà e la compassione di un gruppo di persone sole contro una realtà ostile. Una comunità improvvisata (una società, appunto) capace di fare squadra e lavorare insieme in un contesto disumano e terribile.

Uno sguardo empatico
Una sfida, questa, che il regista spagnolo vince soprattutto grazie al suo sguardo, scegliendo, cioè, cosa mostrare e come mostrarlo. È così che nel film a diventare fondamentali sono soprattutto i dettagli e quello che sottendono. Uno sguardo pudico e rispettoso che non muta nemmeno di fronte al tabù del cannibalismo. Relegando quell’orrore necessario al fuori campo o al fuori fuoco, filtrato da un finestrino, riflesso da un paio di occhiali, soffocato dalle lacrime di chi riconosce in esso un sacrificio enorme.
Liberato da una morbosità che sarebbe stato facile assecondare, La società della neve si prende così tutto il tempo che gli serve per costruire la sua vicenda umana, riuscendo, grazie a una buona gestione della tensione e a una capacità notevole di creare empatia con i suoi personaggi (sempre autentici e lontani dall’essere, come spesso accade in questi casi, semplici funzioni narrative), a coinvolgere fino alla fine. Fino a un epilogo che sa di catarsi ma che porta anche con sé la consapevolezza di un sacrificio indicibile. Perché la salvezza, ci dice il film, è possibile solo se collettiva, solo se (ci) riguarda tutti. Sopravvissuti e vittime. Loro e noi.