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La ricerca della verità nel documentario con Giuseppe Schillaci

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Grazie al Rome International Documentary Festival (RIDF) abbiamo avuto modo di seguire le Masterclass di alcuni autori e figure importanti del cinema del reale. Questi incontri sono organizzati e gestiti dal Festival stesso che li rende gratuiti e aperti al pubblico. Hanno lo scopo di indagare tecniche e modalità con cui sono realizzati i documentari. 

Giuseppe Schillaci è stato uno degli ospiti invitati. La sua Masterclass, Vite reali o immaginarie, si è interrogata sul concetto di verità all’interno del cinema documentario. Una materia estremamente complessa e difficile da trattare. Come afferma lo stesso Schillaci all’inizio della sua masterclass:

“In fondo, anche i sogni non esistono; eppure cosa sarebbe il cinema senza la materia onirica? La memoria esiste? Non è tangibile, ma come facciamo a immaginare un cinema senza tutto il carico di memoria e di immagini o anche la valenza di un ricordo potenziale, cioè il cinema come ricordo potenziale di qualcosa”.

Chi è Giuseppe Schillaci?

Giuseppe Schillaci è regista e scrittore. Il suo primo film, The Cambodian Room – Situations with Antoine D’Agata’ (2009, diretto insieme a Tommaso Lusena de Sarmiento) vince il Premio della Giuria alla 27ª edizione del Torino Film Festival. Dirige poi Cosmic Energy nel 2011 e Apolitics Now! Tragicommedia di una campagna elettorale del 2013. Nel 2022 esce la sua ultima fatica, Il Modernissimo di Bologna. Oltre a lavorare nel mondo del cinema, Schillaci scrive per il blog letterario italiano Nazione Indiana e per le riviste francesi Atelier du Roman e La revue Littéraire. Nel 2010 è uscito il suo primo romanzo, L’anno delle ceneri, edito da Nutrimenti Edizioni, candidato al Premio Strega di quell’anno e finalista al Premio John Fante.

Il cinema vérité

Schillaci inizia disegnando una genealogia di quello che viene definito cinéma vérité o, in italiano, cinema d’osservazione,  fondato sull’idea di riprendere la realtà senza alcun tipo di artificio. L’osservazione della realtà senza filtri e nessuna scrittura. C’è dunque l’idea di una verità che esiste e che la macchina da presa riesce a catturare, ma ovviamente non è così. Esisteno infatti il punto di vista della macchina da presa, la visione del regista, la scrittura del montaggio e altri elementi che vanno a costruire una possibile verità.

Il concetto di verità è molto relativo. Però è interessante il processo che porta alla costruzione della verità per l’autore, per il regista

Questo processo richiede ovviamente del tempo e un’idea di come la storia può essere raccontata per rimanere vicini a quella verità che il regista si è creato.

La verità de Il Modernissimo di Bologna

Due citazioni hanno in qualche modo guidato la creazione de Il Modernissimo di Bologna di Schillaci. La prima è di Italo Calvino e recita così:

Nei tempi brevi delle nostre vite tutto resta lì angosciosamente perenne. Le prime immagini dell’eros e le premonizioni della morte ci raggiungono in ogni sogno. La fine del mondo è iniziata con noi e non accenna a finire. Il film in cui ci illudevamo di essere solo spettatori è la storia della nostra vita.

C’è dunque un parallelismo tra la vita e i film. 

L’altra è invece del filosofo Stanley Cavell che scrive

Come fa il cinema a riprodurre un mondo così magico? Non lo fa presentandoci letteralmente il mondo ma permettendoci di contemplarlo senza essere visti

Questa suggestione ha suggerito a Schillaci l’idea di creare un personaggio che racconta la sua vita con un unico grande sguardo in soggettiva. Il Modernissimo di Bologna infatti racconta vicende realmente accadute ma attraverso lo sguardo di un unico personaggio fittizio che racconta la sua vita. Il film di Schillaci unisce quest’idea del personaggio immaginario al cinema d’osservazione di cui abbiamo parlato prima, ma anche all’uso creativo degli archivi. Ha un ricco lavoro di ricerca che, come sottolinea il regista siciliano, è già un lavoro creativo dal momento che presuppone delle scelte.

Verso il finale del film il discorso sulla verità porta con sé anche un problema di carattere etico che si lega ai prodotti audiovisivi. Per Schillaci è infatti doveroso non prendere in giro lo spettatore, ma avere rispetto. Per questo motivo alla fine del film sente l’esigenza etica verso se stesso e lo spettatore di rivelare la falsità del narratore. Schillaci dà la possibilità di svelare il sotterfugio che sta dietro la costruzione del film. Lo fa attraverso frasi che fa pronunciare al suo narratore poco prima che scorrano i titoli di coda:

Io sarò qui ad aspettarti con una vecchia cinepresa in mano. La stessa con cui ho girato quei pezzi della mia vita che adesso ti affido. In fondo il cinema serve proprio a questo, no? A celebrare la vita, le tante vite, anche quelle mai veramente vissute come la mia.

La verità di The Cambodian Room – Situations with Antoine D’Agata

Passando ad un prodotto interamente ascrivibile al cinema d’osservazione, Schillaci inizia a raccontare del suo film The Cambodian Room – Situations with Antoine D’Agata.

La verità in questi prodotti non è legata alla ricerca di una verità storica. I personaggi che vengono filmati sono persone reali che hanno una propria storia e un proprio sguardo soggettivo su di essa. Dov’è la verità? E dove va cercata? Sono le domande che ci possiamo porre. e sono quelle che Schillaci ha dovuto affrontare proprio per The Cambodian Room – Situations with Antoine D’Agata.

Il film tratta del fotografo Antoine D’Agata, una persona che quindi lavora con le immagini e costruisce la sua vita e se stesso attraverso quelle immagini. È un personaggio dunque con un forte senso di autorappresentazione. Proprio l’autorappresentazione è un elemento a cui bisogna prestare attenzione, poiché può entrare in forte conflitto con quella che è l’idea del regista. Inoltre era necessario non farsi schiacciare dalla visione del personaggio, bisognava cercare e mantenere un proprio punto di vista. Questa riflessione ha accompagnato tutta la realizzazione del film. C’è bisogno di piccoli espedienti per uscire da questo impasse tra l’autorappresentazione dell’artista che conosce bene il mezzo delle immagini e il regista che deve raccontare una storia su di lui tramite le immagini.

Schillaci ci mostra quindi una sequenza, tra le più importanti del film in cui 

viene rivelata la relazione sia tra il fotografo e la donna con cui convive e fotografa, sia rispetto a questa idea dell’autorappresentazione e del mio ruolo in quanto regista, in quanto altra camera che osserva lui che fa immagini

Questa sequenza riprende un litigio tra la donna e Antoine molto importante per la verità che Schillaci e Tommaso Lusena de Sarmiento stavano ricercando. In pochi minuti Antoine rende esplicito il suo intento nei confronti della ragazza, ovvero, fotografarla per fare soldi. Questa idea così cinica permette da una parte la rottura della quarta parete, mostrando quello che stanno facendo i due registi italiani. Si rivela una sorta di parallelismo tra le intenzioni dei due autori e quelle di Antoine. Dall’altra questa dà la possibilità ai due autori di mostrare chiaramente, in termini non moralistici, la relazione tra i due, ovvero la tra un uomo occidentale che si sposta in Oriente per fare delle foto che poi vende in Occidente e la donna fotografata. 

Non abbiamo eluso la questione. Non l’abbiamo neanche risolta, perché, secondo me, è irrisolvibile; è il paradosso e la contraddizione di questo personaggio, era anche quello che ci piaceva raccontare

La verità di Apolitics Now – Tragicommedia di una campagna elettorale

Apolitics Now – tragicomedia di una campagna elettorale è per Schillaci il suo instant movie. Il regista fu affascinato dai vari personaggi che parteciparono alla corsa per diventare sindaco di Palermo nel 2012. In questo caso la questione della verità si poneva su un piano diverso. Perché la rappresentazione che questi personaggi volevano dare di se stessi aveva uno scopo: ricevere consenso e voti. La loro immagine e il loro modo di apparire nel film hanno quindi un fine preciso e da regista Schillaci inizia a ricercare un modo per andare oltre questo apparire cercando di trovare la (sua) verità.

Solo dopo aver iniziato a girare, il regista siciliano si rende conto che questa ricerca della verità passa per dietro le quinte degli spettacoli che stava filmando.

Il film inizia proprio con un dietro le quinte di uno dei tanti candidati: il generale Pappalardo. Fin da subito viene ripreso a casa sua, cercando di capire chi è e come costruisce la sua drammaturgia. Pappalardo ci accompagnerà per tutto il film e svilupperà la sua narrazione lungo tutta la campagna elettorale, passando da candidato ad alleato per salire infine in coda sul carro del vincitore. Disegnando una parabola che diviene sempre più tragicomica. E che si esplicita nei discorsi violenti che inneggiano a una rivoluzione di una delle candidate, ma che sono in sostanza vuoti e fatti a un pubblico che non c’è. 

L’autorappresentazione fine a se stessa. Non c’è un momento, non ci sono delle persone, è solo un provarci. E questo provarci era per me la verità. Apolitics Now, ovvero è come se la politica avesse perso ogni sostanza, ogni valore.

Schillaci poi aggiunge:

Nella mia ricerca su questo terreno molto spinoso perché pieno di cliché […] è stata più che altro questo lavorare dietro le quinte e rendere conto del nulla che c’è dietro. […] Cercando un registro leggero per rendere ancora di più lo spettacolo che c’è dietro la rappresentazione.

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