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Mubi Film

‘Vita da bohème’, malinconia d’artista firmata Kaurismäki

Un lungometraggio di Aki Kaurismäki basato sullo stesso romanzo che ispirò ‘La bohème’ di Giacomo Puccini e con cui il regista finlandese si emancipa dal mito operistico per un piccolo affresco drammatico e raffreddato sulla precarietà esistenziale dell’essere artista

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Disponibile su MUBI all’interno della rassegna dedicata ad Aki Kaurismäki, Vita da bohème (1992) è il nono lungometraggio nella carriera del cineasta finlandese, dopo i consensi di critica per Ho affittato un killer (1990). Per Kaurismäki il film fu il coronamento di un sogno lontano, quello di adattare per il grande schermo Scènes de la vie de bohème di Henri Murger, un progetto coltivato fin da giovane ancor prima di intraprendere il percorso registico.

Pubblicata nel 1851 in Francia e costituita più da episodi interconnessi che da una struttura romanzesca tradizionale, l’opera di Henri Murger segue le vicissitudini spensierate di bohémien squattrinati nel Quartiere Latino di Parigi. In particolare, com’è noto, la storia di uno di questi personaggi, Rodolfo, innamorato di Mimì, sarà al centro della Bohème di Giacomo Puccini.

Un successo  lirico imperituro che Kaurismäki ha voluto dimenticare, scavalcando anche lo spirito originario del testo letterario, per affondare il suo sguardo partecipe e distaccato, senza contemplazione romantica, nella malinconia di traballanti vite votate all’arte, dove, oltre alla morte, si insinuano anche l’incomprensione e la ritrosia della società capitalista verso le aspirazioni artistiche dell’individuo.

Sinossi

A Malakoff, appena fuori Parigi, stringono un’amicizia in circostanze improbabili tre artisti spiantati, Marcel Marx, scrittore a tempo perso: il pittore di insuccesso Rodolfo con il suo cane Baudelaire e l’eccentrico pianista Schaunard. Nella vita di Rodolfo entra Mimì, una tabaccaia dai sentimenti incostanti. Quando l’uomo viene espulso dalla Francia perché privo di passaporto, i due amici intervengono in suo soccorso conservando i suoi quadri e adottando il cane.

Ritornato finalmente città, Rodolfo ritrova Mimì, ma la relazione naufraga per volontà di lei, mentre anche la vita sentimentale di Marcel  con la sua compagna va a rotoli. Il tempo scorre, sempre in gravi ristrettezze economiche, e neppure il ritorno di Mimì da Rodolfo sarà consolatorio, perché la donna è colpita da una fatale malattia.

Una Bohème controcorrente

Dimenticate Puccini, il grandeur operistico, la Parigi più ispirata ed effervescente, la “gelida manina” , la “soave fanciulla”, il freddo, la soffitta e altri motivi ormai popolari. Niente melodramma (almeno non nell’accezione più canonica) né trasporti finemente sentimentali. Se Vita da bohème si apre con uno scorcio poetico sui tetti di Parigi d’altri tempi, dopo i titoli di testa immersi nel bianco e nero evocativo e morbido del fidato Timo Salminen vediamo profeticamente uno dei due protagonisti rovistare tra la spazzatura e scivolarci sopra.

Così nei 102 minuti della pellicola (un minutaggio inconsueto per Kaurismäki, da sempre propulsore di un cinema conciso e pregnante) si snoda un Leitmotiv tematico che soggiace a ogni sequenza, quello del trascinamento della propria esistenza tra i raggiri del destino (citato da uno dei personaggi anche in greco, ananke), in balia della volubilità altrui, del disadattamento sociale perenne e sotto la scure della malattia e della morte.

Su questo spaccato chiaroscurale di andamento rapsodico e corale ombreggia anche la precarietà del lavoro intellettuale e artistico. Anzi, con un umorismo acre ma sempre rispettoso dei suoi personaggi, Kaurismäki trasfigura il pittore, lo scrittore e il pianista di Vita da bohème in artisti incompiuti o di dubbio talento, ancora più svantaggiati di fronte alle logiche del mercato, alle ragioni di (s)vendita monetaria e agli umori implacabili del pubblico.

Vite al vento

Su una materia narrativa che opera sullo scarto dagli illustri predecessori letterari e musicali, Kaurismäki imprime il suo stile già unico e identitario già nel 1992, elaborando con compiutezza quella poetica formale ed espressiva che si manterrà fino ai giorni nostri, fino al toccante e magistrale Foglie al vento, ora in sala.

Calibrata posizione della macchina da presa, sobrietà drammaturgica, piani minimalisti ma intensi, dialoghi surreali, ironia sulfurea e soprattutto un’idea di recitazione atonale e astratta, che vede qui il prediletto e compianto Matti Pellonpää come interprete capofila. Un Kaurismäki quindi coerente con se stesso e al contempo diverso, più schivo verso la partecipazione simpatetica con suoi stralunati emarginati, per trascinarci sul versante più accartocciato, incompreso e malinconico dell’idolatrato vivere bohèmien, in un quadro d’insieme più lucido e pessimista che emozionale e speranzoso.

Immagini perdute per un cinema ritrovato

Eppure non latita la fascinazione verso questo prosciugato microcosmo di umili e sconfitti che il regista finlandese sa avvolgere con il suo manto estetico nostalgico e vagamente struggente, nutrito di cinema, letteratura, pittura. Da Jean Renoir e dal realismo poetico francese di Marcel Carné alla Nouvelle Vague (con il cameo, nei panni di un ricco committente, Jean-Pierre Léaud), dall’impressionismo a Le illusioni perdute di Honoré de Balzac, Vita da bohème non nobilita né affranca con l’arte il vissuto dei protagonisti, ma intensifica il piacere del nostro sguardo.

Difficile infatti restare indifferenti, pur nell’amarezza di fondo del racconto, a questo mondo, anch’esso perduto, di bistrot fumosi, pranzi frugali, decadenti alloggi condivisi, sodalizi artistici, tabaccherie vintage, taverne di concerti rock. Vita da bohème è un’incursione poco amena tra nuvole perenni in una Parigi autunnale, nella trasfigurazione iconica (e sognante) di un patrimonio ormai archetipico di autori e opere che rifulgono con discrezione in questa contemplazione laconica e anticonformista di vite errabonde.

 

Vita da bohème

  • Anno: 1992
  • Durata: 102'
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Francia
  • Regia: Aki Kaurismäki