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In Sala

I bambini di Cold Rock

Julia Denning è un’infermiera che vive nella cittadina di Cold Rock, dove si nascondono segreti inquietanti. Tredici bambini sono scomparsi senza che nessuno abbia mai scoperto nulla. I cittadini del luogo credono che un umo misterioso detto “The Tall Men” sia il responsabile di tali sparizioni. Quando anche il bambino di Julia svanisce nel nulla, la donna vuole scoprire a tutti i costi la verità…

Pubblicato

il

 

Anno: 2012

Distribuzione: Moviemax

Durata: 100’

Genere: Thriller/Horror

Nazionalità: USA, Canada

Regia: Pascal Laugier

 

Il titolo aveva un’assonanza con qualcosa che mi evocava bei ricordi. Bellissimi e inquietanti ricordi. Lessi un po’ la trama: bambini scomparsi, un collegamento fra le vittime, inquietanti segreti, Cold Rock. Sì, ecco cos’era: Picnic a Hanging Rock. Il collegamento mi rese euforico: se non altro, in mezzo alla spazzatura del nuovo horror, mi sarei anche accontentato di un soggetto copiato da uno dei più grandi capolavori della cinematografia. È proprio su questo (scomodissimo) paragone che incentrerei il giudizio critico su questo film. È ovvio che qualcuno potrebbe obiettare su questa scelta con argomentazioni, più o meno valide, che spazierebbero da una presunta incomparabilità fra i due film a un’accusa di volere “sparare sulla Croce Rossa”. E quel qualcuno avrebbe anche ragione. Ma dopo che vedi pellicole come I bambini di Cold Rock, di che cosa vuoi parlare? Vuoi parlare del nulla? Sforiamo nella filosofia, per I bambini di Cold Rock? Parliamo di Picnic a Hanging Rock. Quello era un film in grado di terrorizzare senza mostrare; la gente che scompare costituisce da sempre un’idea folgorante per la nascita di un soggetto cinematografico, ma la differenza sta nel trattare un tema simile con i guanti da chirurgo o con una pala da pizzaiolo. È questa la differenza che può intercorrere tra un Peter Weir e un Pascal Laugier. Nel film di Weir (tratto dal romanzo di Joan Lindsay), del 1975, una delle ragazze scomparse viene trovata sulla collina, svenuta, ferita e con i piedi stranamente puliti: ecco quali sono i particolari di una trama che può toglierti il sonno la notte. Del film di Laugier, invece, mi resterà impressa la figura di un cane  rompiscatole che non si capisce da dove spunti fuori e perché sia così arrabbiato. Oppure il fatto che una comunità di cittadini viva praticamente in un campo nomadi, senza un vero ospedale, senza servizi, senza attività commerciali (a esclusione di un bar) nel 2012. Inoltre è inspiegabile come mai, in un paesino grande quanto un monolocale in pieno centro, dopo una trentina di casi di sparizioni, non sia ancora arrivato l’esercito o Iron Man. Il vero problema della sceneggiatura di Laugier è costituito dall’inverosimiglianza di alcune soluzioni e dal modo fin troppo didascalico ed esplicito con cui viene spiegato il mistero dei bambini scomparsi (con tanto di frecciata alla “burocrazia americana”). Due i punti di forza: la struttura del film è interessante, con i fatti che avvengono quasi subito e tutto il resto del film incentrato a svelare la reale identità dell’Uomo alto (The Tall Man, il titolo originale del film), e il modo in cui viene continuamente capovolta, per tutto il secondo tempo, la percezione di chi sia realmente il cattivo della storia. La location è suggestiva ma, a meno che il regista non abbia piantato da solo ogni singolo albero della cittadina di Cold Rock, eviterei di annoverarlo fra i suoi meriti. Se non per queste (poche) qualità menzionate, il film non si discosta molto dalla mediocrità in cui versa il genere horror di questi tempi, e certi registi dovrebbero riflettere molto sulle potenzialità dell’inespresso e sulla forza inquietante che il perturbante esercita sull’individuo, quando non si manifesta con un cappellino a cono, una trombetta e una manciata di stelle filanti, urlando Buuu!!! sulla soglia della porta.

Riccardo Cammalleri

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