Grazie al Rome International Documantary Festival (RIDF) abbiamo avuto modo di seguire le Masterclass di alcuni autori e figure importanti del cinema del reale. Questi incontri sono organizzati e gestiti dal festival stesso che li rende gratuiti e aperti al pubblico. Le Masterclass hanno lo scopo di indagare le tecniche e le modalità con cui sono realizzati i documentari.
Regia e rapporto con i personaggi nel Cinema Documentario e di Finzione è il titolo della Masterclass tenuta dal regista Leonardo Di Costanzo, autore con cui la nostra redazione aveva già avuto modo di conversare per un’intervista. L’incontro aveva come tema la differenza di lavoro e di relazione con il regista tra gli attori sociali e gli attori professionisti, ma si è andati oltre questo. Di Costanzo ha raccontato della sua carriera, delle sue scelte e del passaggio al cinema di finzione. Si è dibattuto sull’etica, sulle difficoltà e sulle contraddizioni che un prodotto del cinema del reale si porta inevitabilmente dietro. Un’ora e mezza in cui l’autore campano ha espresso il suo amore verso il cinema del reale, ma anche tutti i dubbi e le domande che si è posto e continua a porsi su questo mezzo espressivo troppe volte sottovalutato.
Chi è Leonardo Di Costanzo
Leonardo Di Costanzo è un autore che ha iniziato la sua carriera all’interno del cinema del reale. I suoi documentari vengono presentati e premiati nei più importanti festival internazionali. Realizza opere come A scuola (2003) e Cadenza d’inganno (2011). Successivamente decide di approdare al cinema di finzione iniziando una nuova fase della sua carriera, ma rimanendo comunque molto vicino a certi strumenti del cinema del reale. Il suo primo film di fiction, L’intervallo (2012), esplicita molto bene questa unione di mezzi espressivi che caratterizza anche le pellicole successive. L’ultimo film a cui ha lavorato è Ariaferma (2021), presentato fuori concorso alla 78esima edizione del festival del cinema di Venezia. L’opera ha vinto diversi premi tra cui il David di Donatello come miglior sceneggiatura originale e miglior attore protagonista con Silvio Orlando.
I diversi tipi di attori

Leonardo Di Costanzo racconta quella che è stata la sua esperienza con il documentario. Ha iniziato in Francia realizzando quello che viene definito direct cinema. Il direct cinema cerca di riprendere la realtà senza alcun tipo di artificio (voice over, musica etc.) e di fare il cinema con le persone che si incontrano.
Come diceva Godard, il cinema diretto è quella forma di cinema che ti costringe […] a fare il miglior cinema possibile nella situazione in cui ti trovi a vivere.
Questo riguarda inevitabilmente anche gli attori. Leonardo Di Costanzo ne distingue di tre tipi: l’attore sociale, l’attore non professionista e l‘attore professionista. L’attore sociale è colui che viene chiamato a interpretare se stesso all’interno di un documentario e che viene quindi filmato mentre vive la sua quotidianità.
Con attore non professionista si intende invece una persona che viene chiamata per interpretare un personaggio che in qualche modo gli assomiglia. Il regista fa l’esempio di prendere un barista vero per interpretare un barista. Questo perché c’è per Di Costanzo una sapienza del gesto e una memoria del corpo che sarà percepita dalla macchina da presa.
L’attore professionista è colui, come dice Di Costanzo, a cui puoi affidare anche i ruoli più ignobili. Il suo lavoro è quello di interpretare personaggi che sono distanti da lui.
La difficoltà di dirigere diversi tipi di attori

Questi tre tipi di attori sono estremamente diversi tra loro e di conseguenza anche la loro direzione e il modo in cui bisogna lavorarci. La sfida per Leonardo Di Costanzo è riuscire a rendere omogeneo un modo di recitare. Molti film falliscono proprio in questo, nell’integrare tra loro queste paste recitative.
All’attore sociale ad esempio non si può chiedere di fare dei gesti ignobili, perché interpreta se stesso e quel gesto andrà ad influire sulla sua vita per sempre. L’attore non professionista invece si differenzia in maniera netta dall’attore sociale. Questo viene chiamato per interpretare un ruolo che è allo stesso tempo vicino ma lontano da chi è realmente. Pensiamo ai due giovani attori de L’intervallo, che interpretano dei personaggi lontani da loro, che però conoscono perché sono i loro amici o persone vicino. L’attore professionista invece deve creare, deve costruirsi un percorso che lo avvicini al ruolo che deve interpretare
Questo produce un altro suono, produce un atteggiamento del corpo, produce una pasta recitativa diversa dalla pasta recitativa che produce quello che interpreta quasi se stesso
Cadenza d’inganno e il rapporto tra autore e personaggio

Nel 2011 esce Cadenza d’inganno, l’ultimo documentario di Di Costanzo. Il film nasce con l’intenzione di riprendere il punto di vista degli adolescenti. In particolare il regista voleva raccontare di quei ragazzi che si ritrovano in una situazione di fragilità sociale, emotiva, familiare.
Volevo proprio raccontare quest’età difficile, questo camminare su un filo
Di Costanzo trova un ragazzo, Antonio, che corrisponde a ciò che stava cercando. L’accordo era che per due o tre giorni a settimana il regista l’avrebbe seguito mentre questi viveva la sua vita. Di Costanzo si rende però conto che questa cosa per Antonio non era così agevole come crede. L’attore sociale, nel momento in cui accetta di fare un film, cerca di adeguarsi a quello che immagina sia il desiderio di chi lo sta osservando e filmando.
Questo è il limite dell’attore sociale. Il grosso limite del documentario. Quando uno vuole essere filmato io non lo filmo; questo avevo imparato.
Dopo circa un paio di mesi Antonio non si presenta più agli appuntamenti e le uniche risposte che riesce ad ottenere Di Costanzo sono quelle molto evasive della mamma. Il progetto resta quindi incompiuto.
Otto anni dopo Antonio richiama e chiede a Di Costanzo del film, gli chiede di finirlo venendo a filmare il suo grande matrimonio. Nonostante i dubbi, Di Costanzo decide di andare a girare l’evento ma senza l’intenzione di finire realmente il film. Comincia però a interrogarsi sui motivi di quel comportamento. Perché Antonio lo ha chiamato dopo anni di assenza? E col tempo Di Costanzo inizia a vedere qualcosa di più in quelle azioni
L’ho visto come un atto di ribellione. Come uno straordinario atto di ribellione da parte di un personaggio oggetto di un documentario che si costruisce con lo sguardo di un altro, cioè io.
Anche se i film si fanno insieme all’attore sociale alla fine chi ha il potere è sempre il regista, l’autore. E nonostante Di Costanzo fosse pieno di attenzioni nei suoi confronti, con nessuna intenzione di criminalizzarlo o spiarlo dal buco della serratura, alla fine Antonio si ribella al fatto di essere usato dal regista. È lui a decidere cosa deve raccontare della sua vita.
E questa cosa è stata un atto bellissimo di ribellione che solo Gennarino, come diceva Pasolini, poteva avere. Questa ribellione è la volontà di non farsi imprigionare all’interno di un meccanismo che, per quanto lungimirante e pieno di buone intenzioni, appartiene comunque a un gesto autoritario da parte di qualcuno nei confronti di un altro
Questa consapevolezza trascina Di Costanzo in una crisi che lo farà smettere di girare documentari, almeno finché non sarà riuscito a trovare con il cinema una risposta a questo problema.
Leonardo Di Costanzo e il documentario
Nonostante la sua carriera abbia subito una svolta verso i film di finzione, Di Costanzo continua a pensare che il documentario sia un mezzo espressivo importante. Questa importanza è data da ciò che il cinema del reale richiede e ha bisogno per essere realizzato. Di Costanzo rintraccia quattro elementi fondamentali: disponibilità, rapporto col mondo, ascolto e scelta. È il rapporto con il mondo, la ricerca del cinema nella vita che rende il documentario un mezzo importante che va conosciuto anche da chi fa il cinema di finzione.
La vita. Quello che ci circonda. Quello che succede nel bar, quello che succede col tassista, quello che succede negli uffici, alla posta, in università… La realtà nel suo divenire è il più grande sceneggiatore che c’è.
Questo perché la realtà è in grado di stupirci costantemente, a volte anche più di quello che potrebbe fare un prodotto di finzione. È per questo che Di Costanzo continua a fare un grosso lavoro di ricerca, creando un serbatoio di storie che poi utilizza per realizzare i suoi film.
È proprio per seguire la realtà e i fatti nel loro svolgersi che i documentaristi si ritrovano a improvvisare, o come afferma il regista campano:
Nel documentario siamo tutti come dei musicisti di free Jazz. É questa la differenza tra il cinema documentario e la finzione.
Si è in qualche modo sottomessi a quello che offre la realtà. Nel documentario la sceneggiatura, così come il film, è in continuo divenire e non si può scegliere di seguire una strada ben delineata. Il cinema di finzione, come evidenzia Di Costanzo, poggia su uno spartito molto preciso. Basti pensare che alcuni autori si scrivono persino quelli che saranno i movimenti di macchina. Questa solidità è per un autore di documentari come Di Costanzo qualcosa di improponibile. Le riprese sono un momento creativo dato dall’incontro con il direttore della fotografia, l’attore e le altre persone presenti sul set e continua ad esserlo anche nei suoi film di finzione.