Il nuovo film di Stefano Sollima con, tra i vari interpreti anche Silvia Salvatori, è dal 14 dicembre nelle sale. Adagio, già presentato alla Mostra del cinema di Venezia, arriva al cinema con Vision Distribution.
Un cast quasi interamente maschile fatta eccezione per una presenza femminile, quella di Silvia Salvatori. L’attrice, oltre ad Adagio, è anche in altri titoli. Tra questi la serie Circeo e il film campione d’incassi C’è ancora domani. A Silvia Salvatori abbiamo fatto alcune domande su questi ruoli, così diversi eppure così simili.
– Foto di copertina di Barbara Ledda –
I tre personaggi di Silvia Salvatori
Inizio col chiederti com’è stato svestire i panni di un ruolo per entrare in un altro e poi in un altro ancora nel giro di pochissimo. È vero che è il mestiere dell’attore però sei stata molto brava perché nel giro di poco, almeno sullo schermo, sei riuscita a portare avanti tre personaggi molto diversi, ma anche molto simili. Da Circeo a C’è ancora domani per arrivare ad Adagio.
Più o meno tutti e tre i personaggi si sono concentrati nel 2022, un’annata per me indimenticabile e bellissima. Sono tre ruoli che sono in tre storie diverse, ma sono come sempre, nel nostro mondo femminile, molto collegate.
Foto di Barbara Ledda
C’è ancora domani è un film manifesto di Paola Cortellesi. E per il mio ruolo della Sora Elvira, Paola, che mi conosce bene, ha disegnato questo mio essere fuori dal coro, come comare del cortile. La situazione a Roma anche quando ero adolescente era quella: tutti sapevano tutto. La sora Elvira mi ha regalato una sfaccettatura molto bella perché, nonostante al cinema risulti la cattiva perché attacca il personaggio di Delia, in realtà la Sora Elvira vede lontano, denuncia i fatti, quell’omertà con cui ancora facciamo i conti. Anche se, dopo, è pronta a far sedere accanto a sé la figlia di Delia nel momento in cui la protagonista sta prendendo nuovamente delle botte. C’è comunque quella solidarietà che era fatta di quotidianità, di sapere che essere donne era sicuramente più faticoso. Una comunione che non esiste più. La Sora Elvira è una donna a sua volta graffiata, ma mi ha regalato molto di più.
Poi sono passata a una donna importante che è Maria Causarono, avvocato del Circeo. Sono fiera perché la serie è stata scritta da tre donne e credo che lo sguardo femminile sia necessario per raccontare aspetti che ci riguardano.
Infine sono arrivata a Silvia con Adagio di Stefano Sollima che stimo tantissimo (stimavo già tantissimo il padre, Sergio Sollima anche perché, venendo da una famiglia di cineasti, sono cresciuta un po’ con i film di genere che mi hanno formata).
Quindi sono tre donne vicine a me con aspetti che mi riguardano e spero possano portarmi, ognuna a suo modo, fortuna. Poi Sollima porta bene, un po’ come Re Mida (ride, ndr) e io sono l’unica donna in mezzo a un cast d’eccezione: sono la quota fucsia del film.
Tra Circeo e C’è ancora domani
Andiamo per ordine. Parto dai ruoli dell’avvocato nella fiction Circeo e della Sora Elvira in C’è ancora domani. Due ruoli che, soprattutto alla luce delle notizie dell’ultimo periodo, sono ancora più importanti. Si sta parlando tanto di insegnamento e di educazione. Quanto può il cinema educare? E quanto possono farlo due titoli come questi?
Certo che il cinema può e deve educare. Penso ai film di genere. L’ho citato prima e lo cito nuovamente, Sergio Sollima, con Corri uomo corri, Faccia a faccia. Ma anche il western stesso era comunque una continua metafora del bene e del male e del viaggio come ricerca. Questo genere di film raccontava la complessità della vita. Il cinema e l’arte tutta è la salvezza degli esseri umani.
Foto di Barbara Ledda
Io ho iniziato questo mestiere perché la mia insegnante delle medie ci portava a teatro. Sono certa che mi ha salvata, essendo una ragazzetta irrequieta. Il cinema, l’arte, il teatro, la musica insegnano e veicolano e questa è una grande responsabilità che abbiamo.
L’attore, che è considerato sempre un essere felice che intrattiene, secondo me invece ha una responsabilità enorme proprio nel veicolare questi messaggi. E lo dimostra il film di Paola Cortellesi che era evidentemente un film necessario.
A proposito di C’è ancora domani si può parlare di invidia e di gelosia quando si parla del tuo personaggio? Per certi versi sei molto più simile al personaggio di Delia rispetto ad altri. Vorresti avere e fare di più, ma non puoi per una serie di motivi. A differenza sua però lo dici pubblicamente e rinfacci a lei quello che forse vorresti essere e fare te. Come hai detto, sei lungimirante.
Personalmente ho scavato nella Sora Elvira e mi sono fatta un’idea del personaggio. Penso che quando si vuole il meglio per i propri figli in una condizione che non te lo permette le reazioni siano molto forti. Quello che ho pensato io nel vestire i suoi panni è che la Sora Elvira è una che non la manda a dire e questo ha a che fare con un senso di libertà. Quel cortile era l’unica possibilità di dire le cose, di dire la verità.
Foto di Luisa Carcavale
Silvia Salvatori in Adagio
Veniamo ad Adagio. Anche lì il tuo personaggio è molto forte e deciso. Per questo parlavo di personaggi diversi, ma anche simili. In che direzione sei andata per interpretarlo? Hai avuto delle dritte specifiche? Nel film di Sollima sei una delle poche presenze femminili. A differenza degli altri due titoli dove è il femminile, il femminismo in parte, e la femminilità a farla da padrona, qui sei come un faro nel buio. Hai sulle spalle la responsabilità di incarnare il genere femminile, in qualche modo. Ma, un po’ per la tua forza e un po’ per il tuo ruolo, riesci a importi completamente e a tenere testa a un marito come quello interpretato da Pierfrancesco Favino che, anche se debilitato dalla malattia, è comunque un personaggio tosto. Ti ritrovi in questa descrizione?
Essere catapultata in un film di Sollima è stata un’emozione grandissima. Sono stata completamente trasformata per sembrare più trasandata e più volgare. Ed è stato meraviglioso vedere Sollima al fianco del costumista Mariano Tufano per costruire insieme questo personaggio e farmi entrare nei panni di una donna che è una sopravvissuta. È stato un viaggio importante, ma anche molto tosto.
Una cosa che mi ha colpito è che in Adagio sei stata in grado di trasformarti, al di là del discorso dell’essere forte e decisa, sei completamente trasformata rispetto agli altri titoli. Anche fisicamente, e non parlo solo di trucco e abbigliamento, è proprio il tuo modo di porti nei confronti di personaggi effettivamente diversi. Ma non era scontato. Che indicazioni hai avuto?
Ho lavorato sulla stanchezza e su un’ideale cicatrice che sta lì, ferma, e che il marito (Pierfrancesco Favino, ndr), uscito dal carcere, viene a riaprire. Il marito la rimette quindi in una situazione dolorosa che lei ha vissuto e non vorrebbe mai più rivivere. Per cercare di entrare nel personaggio di Silvia ho cercato di contenere le mie emozioni, di essere più asciutta possibile, perché l’esperienza della perdita di un figlio è devastante.
La quota fucsia
Penso tu sia riuscita in questo perché il tuo personaggio è forte a tal punto da tenere testa agli altri protagonisti.
Ti confesso che c’è una scena alla quale sono particolarmente legata, ma che è stata tagliata perché il regista non ha voluto lasciare neanche una carezza in questo film. Si tratta di una scena in cui io non ci sono, ma c’è Cammello che parla di me. In generale, le cose che non vedo sono quelle che mi hanno emozionato di più (come la scena in cui lui si sdraia accanto a me mentre dormo).
Foto di Barbara Ledda
Voglio credere come donna che un uomo così marcio abbia un piccolo grammo dentro di sé di responsabilità e dolore per quello che ha fatto. Quando vivi con quella criminalità (qui sono tutti personaggi amorali) raccogli solo nefandezza. Questa donna ha la responsabilità di essersi sposata un criminale. Lui paga con il carcere e lei resta sola con una ferita che non si rimargina mai, con cui negli anni cerca di convivere. Sollima ha lasciato tutta la speranza nel giovane Manuel, unico spiraglio di redenzione in questa Roma apocalittica, marcia, in black out, piena di cenere e in parte distopica.
A proposito di questa mancanza di umanità nei personaggi sembra che anche la regia vada in quella direzione. Ma, nonostante ciò, te sei diversa. Sei, come dicevamo prima, la sola presenza femminile, capace di essere messa al loro pari, ma anche l’unica che si salva.
Si salva perché le donne sono più forti, sanno contenere quel dolore che gli uomini a malapena sfiorano: è proprio nella loro natura. Lei deve andare avanti, mentre lui pensa ancora a come riscattarsi. Noi donne siamo abituate a tenere le nostre cicatrici, mentre l’uomo da questo punto di vista è più fragile.
Mi piacerebbe se Stefano Sollima facesse un film di sole donne. Glielo chiederò (ride, ndr).
Progetti futuri per Silvia Salvatori?
C‘è sempre qualcosa in cantiere (ride, ndr).
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli