Distribuito da Europictures Giorni Felici è il film di Simone Petralia che, dopo il passaggio al festival di Rio de Janeiro e al festival del cinema europeo di Lecce, arriva nelle sale dall’11 dicembre. Il secondo lungometraggio di Simone Petralia è la storia di un amore al tempo della SLA, un dramma commovente che riflette sulla fragilità umana e la capacità di amare e resistere nelle situazioni più difficili. Protagonisti Anna Galiena e Franco Nero. A proposito delle tematiche e del dietro le quinte del film abbiamo fatto alcune domande al regista Simone Petralia.
Simone Petralia e il suo Giorni Felici
La sensazione iniziale è che si tratti di un film nel film. O meglio un racconto. Solo dopo si capisce che è un film. E fa sorridere il fatto che all’interno ci siano dei riferimenti a questo: Margherita che dice che la vita non è un film, lei che fa l’attrice, l’impostazione. Si può considerare un film metacinematografico? Sei d’accordo con questa affermazione?
Volevo raccontare un film che si avvicinasse il più possibile alla realtà. Un film non onirico, senza nessuna specifica analisi che potesse lasciare allo spettatore la possibilità che lo definisse un film nel film. Volevo raccontare qualcosa di più simile alla realtà.
Le citazioni sono dettate dal fatto che ho raccontato due personaggi che sono molto vicini a quello che faccio anche io nella vita: lavorare nel cinema. Perché da ragazzi erano un po’ dei sognatori come lo sono io oggi. Erano due pieni di aspettative e speravano di fare una carriera brillante. Poi si sono un po’ arresi perché la vita ti mette davanti degli ostacoli importanti, come quello della crescita in quanto coppia. E non sono riusciti a portare avanti la loro missione perché hanno fatto confusione con il loro stesso lavoro, facendo subentrare gelosie e insicurezze. In realtà entrambi erano due grandi sognatori del cinema: lei con una grande carriera avviata di attrice, lui con soggetti da regista. In un dialogo tra loro poi si capisce bene che lei ha rinunciato a Hollywood per stare con lui e lui si è arreso, da solo ha perso le speranze che si immaginava. Si è arenato e ha fatto ben poco.
L’amore
Rimanendo sempre sull’inizio vediamo subito un prato, con api e farfalle che rappresentano la vita. Poi ci sono i giovani protagonisti come in un flashback e la voce fuoricampo (il figlio) che racconta il passato. Gli stessi ritornano anche successivamente, come a ricordarci la contrapposizione tra presente e passato. In generale il film è costruito su alcune contrapposizioni. E, sempre rimanendo sulla prima scena, una cosa che colpisce è che è interamente al passato. Quello che ci viene mostrato sembra una parentesi tra quei giorni felici e il resto. Ecco anche il perché del titolo, un’altra contrapposizione.
Hai interpretato il film nel modo giusto. Io volevo che fosse un film sui contrasti perché sono quelli che rendono forte la storia.
Il ragazzo parla al passato perché il padre e la madre sono stati felici quando erano insieme e hanno sprecato una vita intera a non esserlo. È un film sul rimpianto, sui rimorsi di quello che si poteva vivere e non si è vissuto. Perché alla fine ci accorgiamo di quando siamo stati felici davvero quando non lo siamo più. Quando lo siamo non ce ne rendiamo conto. Loro rivivono i loro giorni felici, in particolare Antonio, solo quando si rincontrano, perché non è mai troppo tardi. Si rivedono alla fine e i veri giorni felici sono quelli in cui riescono a chiudere il loro cerchio e la loro storia d’amore.
In effetti l’amore è uno dei temi principali. A un certo punto viene inserita la frase “Chi è amato non morirà mai” e mi sembra che spieghi bene quello che hai appena detto. Quello che colpisce di questo film è anche la delicatezza con la quale tratti il tema. Sembra quasi che tu riesca a spiegare, attraverso le immagini e attraverso il film in generale, il “finché morte non ci separi” che i due prendono proprio alla lettera.
Sì, esatto. Chi è amato non morirà mai è una citazione di Antonio. Lo dice sia il figlio, come una frase che era del padre, e poi lo dice anche Margherita quando legge un copione di Antonio e si ricorda questa frase. Una frase che è un po’ la filosofia del personaggio di Antonio. Per questo c’è sempre una via d’uscita alla fine. Le cose, se si vogliono veramente, alla fine tornano e per loro due tornano proprio prima che sia tutto finito.
Il racconto di Simone Petralia
Riparto dalla prima scena alla quale segue, subito dopo, un momento diverso rispetto a quello che abbiamo visto. Veniamo catapultati nella storia con festa e festeggiamenti a rappresentare i giorni felici del titolo, ma anche a dimostrazione che le notizie, belle o brutte, arrivano all’improvviso quando meno te lo aspetti. E poi c’è l’elemento importante della musica che ovatta le parole (e i ricordi).
Come hai detto è tutto inaspettato, anche questa malattia. Probabilmente se Margherita non avesse avuto la malattia forse non avrebbe più incontrato Antonio. È triste dire che è una malattia che fa rincontrare le persone.
Margherita poi è una donna vulcanica, non sta mai ferma. All’inizio del film ho voluto raccontarla come una donna piena di vita, che non si arrende mai. La festa è la dimostrazione che si circonda delle persone che le vogliono bene, ho cercato di raccontare una cosa molto intima, senza esagerazioni, molto distante dal punto di vista dello spettatore, ma con immagini che raccontassero una donna a cui non manca niente: una bella casa, un figlio che le vuole bene.
In effetti una cosa che colpisce è che la storia non è romanzata. Non addolcisci e non indurisci la situazione, ma ti limiti a mostrare le immagini che scorrono e la vita che a poco a poco se ne va, con conseguente evoluzione del rapporto tra i due. Sembra sia un film quasi documentaristico da questo punto di vista nel senso che ci mostra i fatti per quello che sono. Ci fa vedere la sofferenza e il dolore, senza aumentarli più di quanto non lo siano già.
Non volevo esprimere un punto di vista a favore di eutanasia o del raccontare la malattia. Raccontare questa malattia è molto complicato. Ma mi fa piacere che molte persone che hanno davvero questa malattia abbiano apprezzato il racconto. A tal proposito Giorni felici è stato visto e apprezzato anche dal direttore e dal presidente dell’associazione italiana SLA.
Volevo raccontare una malattia che colpisce all’improvviso e come cambia i rapporti sociali di una persona dinamica che si ritrova a convivere con qualcosa che la costringe a vivere in una gabbia.
Una gabbia
Parli giustamente di gabbia e, infatti, le inquadrature sono semplici, spesso statiche per aiutarci ad affrontare ancora di più il dolore e quello che vediamo. Ma sono anche, in qualche modo, simboliche. Mi viene in mente a tal proposito la scena in cui Margherita viene a sapere la verità e lo viene a sapere mentre noi siamo dietro a un vetro, fuori, durante una giornata di pioggia, come se le gocce fossero le lacrime, sue che viene a conoscenza dei fatti e nostre che vediamo la sua reazione.
Noi siamo sempre dentro casa perché è una malattia che costringe a stare dentro casa. Ho deciso di scrivere tutto il film dentro casa per stare più vicino possibile al personaggio. Ma, allo stesso tempo, non volevo fare un film claustrofobico, infatti non ho usato inquadrature spinte, ma ho usato sempre lo stesso stile di ripresa semplicemente stando vicino ai personaggi, in particolare a Margherita.
La scena a cui ti riferisci era scritta perché venisse girata così, però la scelta di non tenere il dialogo è stata una decisione fatta al montaggio perché ci siamo resi conto che era più efficace sentire la pioggia mischiata al suono della musica, piuttosto che continuare a sentire parole retoriche e scontate. Anche perché capiamo dallo sguardo di Margherita che lei non può più partire perché consapevole di cosa sta succedendo. La sua agente non ha bisogno di troppe spiegazioni. Per questo abbiamo deciso di tenere quell’inquadratura lunga che si allontana mentre vediamo la sofferenza. Non è stata una scelta facile quella di eliminare il dialogo.
Musiche e luci nel film di Simone Petralia
Un elemento importante del film, come hai detto, è la musica. Come hai lavorato in questo senso?
Ci siamo affidati a una musicista molto giovane e brava, Ginevra Nervi, che, nonostante la giovane età, ha già fatto alcune cose di successo. Ed è stata una scelta azzeccata giocare sul contrasto con una giovane emergente ad accompagnare il film. Quando ho conosciuto Ginevra ho subito capito che aveva avuto delle giuste intuizioni per il film. Non serviva musica troppo classica e scontata e, infatti, lei ha lavorato su dei suoni che arrivavano a emozionare. Quindi è stata una bellissima esperienza e sono stato contento delle sue scelte. Lei ha capito quali erano le mie richieste, cosa avevo in mente e insieme abbiamo fatto un lavoro di analisi.
Di pari passo alla musica anche il lavoro fatto con le luci è importante e mi sembra vada nella direzione dei contrasti ai quali facevamo riferimento inizialmente.
Anche il rapporto con il direttore della fotografia Thomas Toti è stato bellissimo perché anche lui ha capito benissimo come lavorare con la luce.
E anche con la scenografa Giulia Attardi abbiamo costruito la casa in base a come doveva vivere il personaggio di Margherita. Tutto è studiato a tavolino, essendo anche un’unica location.
Un super cast
Com’è stato lavorare con questo cast? Sono grandi nomi importanti, qualcuno solitamente associato ad altri generi.
Quando ho scritto il film sapevo già che avrei voluto Franco Nero. E quando ha letto la sceneggiatura gli è subito piaciuto il film ed è stato uno dei primi che, insieme a me, ha lottato per realizzare questo film. Anna è entrata in corso d’opera, un paio di mesi prima di andare sul set.
Per quanto riguarda il resto lavorare con Franco e Anna è stato incredibile. Mi sono completamente dimenticato della loro importanza nel cinema. Ho visto due esseri umani che stavano interpretando i due protagonisti. Con Franco è stato piuttosto semplice: lui viene da un passato del cinema western, ma ha lavorato con i più grandi registi. Sapere di lavorare con qualcuno come lui che ha fatto la storia del cinema e che era già un grande nome quando io non ero ancora nato è stata un’emozione unica.
Stessa cosa anche con Anna perché anche lei è una grande professionista, con una grande carriera da attrice. In generale è stato piuttosto semplice lavorare con loro. Ho apprezzato il loro lato umano perché, oltre a essere due grandi professionisti, sono anche due persone molto sensibili e lo hanno dimostrato regalando ai personaggi scene intense e commoventi.
E poi ho apprezzato molto il loro approccio perché Franco è una persona di poche parole e, in questo, il personaggio di Antonio è stato perfetto per lui. Stessa cosa anche per Anna che, come Margherita, non si ferma mai, è sempre piena di energia.
Simone Petralia e i prossimi progetti
Progetti futuri?
Innanzitutto devo capire come risponde il pubblico a questo film. Perché veniamo da un percorso festivaliero, siamo stati a Rio de Janeiro, poi a Lecce al festival del cinema europeo e adesso in sala.
Ma ho già in mente nuovi progetti.
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli