Come ogni successo di pubblico che si rispetti, non può mancare all’appello un seguito. Così, dopo la riedizione nel 2021 del primo tomo (Hollywood Babilonia), arriva in libreria anche il volume II, entrambi ad opera della benemerita Adelphi. Pubblicati rispettivamente per la prima volta nel 1959 e nel 1984, decretarono una fama imperitura e inaspettatamente popolare al suo autore di nicchia, il regista sperimentale Kenneth Anger (3 febbraio 1927-11 maggio 2023), che disvelò una vera e propria storia scabrosa del cinema.
Meno celebre ed epocale ma altrettanto godibile del precedente, Hollywood Babilonia II è ancora una volta un’enciclopedia sordida e glamour degli eccessi e dei capitomboli delle star o aspiranti tali nella Mecca del Cinema, un giardino delle delizie voyeuristico e pruriginoso, una lussureggiante galleria fotografica di protagonisti e comparse di statura tragica e ridicola insieme, un compendio viscerale dei sogni e delle disillusioni dell’essere umano. Sempre all’insegna di un umorismo disincantato e pungente, obliquo e dissacrante, al di qua però del cinismo più bieco.
Ad Hollywood, nelle bobine precedenti …
Quali vizi proibiti e virtù troppo presto tramontate troveremo nel secondo capitolo, dopo l’incursione nel primo volume, già votato a raccogliere mirabilia indecenti? Hollywood Babilonia I esordiva nella notte di tempi mitici (“l’Epoca dei Dubbi Splendori”), agli albori del cinema classico statunitense intorno al 1915, nella vera Hollywood babilonica, quella dei set elefantiaci di D. W. Griffith, della “regina del sesso” Theda Bara e delle dickensiane sorelle Gish.
Proseguiva poi con il vortice di crimini e misfatti degli anni successivi, perché
“gli anni Venti sono a volte definiti gli anni d’oro del cinema e lo sono stati davvero per la travolgente attività creativa, oltre che per gli incassi, […] ma gli scandali continuarono a esplodere come bombe ad orologeria per tutto il delirante decennio della Meravigliosa Follia e promettenti carriere artistiche andavano a rotoli una dopo l’altra”.
Cosi in Hollywood Babilonia I, nel connubio di genio e sregolatezza, ma anche di inetta ambizione e depravazione, si dedicava inchiostro alle lolite di Charlie Chaplin, ai pettegolezzi rovinosi di Louella Parsons ed Hedda Hopper, alle famigerate follie registiche dell’immenso Erich von Stroheim. Non potevano poi mancare il divismo troppo conturbante di Mae West, l’angelo caduto Frances Farmer, il processo penale contro ‘Fatty’ Arbuckle, le stravaganze coniugali di Rudy Valentino, le ombre sul magnate W. R. Hearst.

‘Intolerance’ (1916) di D. W. Griffith
Rispolverando dall’oblio le parabole discendenti di altre ninfette, starlet, attorucoli e sgomitanti comprimari sul Sunset Boulevard, Kenneth Anger radiografava la Fabbrica dei Sogni come Dea della Illusioni fino agli accenni degli anni Cinquanta e Sessanta, con gli amori criminali di Lana Turner, l’incidente morale di Jayne Mansfield, la misteriosa e scioccante dipartita di Marilyn Monroe, il disfacimento di Judy Garland, l’omicidio di Sharon Tate nella strage di Cielo Drive.
Fasti di celebrità e tenebre di malvagità (ma anche tanta umana debolezza) che intrecciano insieme belletti talcati e alcolismo, jazz scatenato e gangsterismo, chiffon ed eroina, scie di tuberosa e scandali sessuali, amor fou e omicidio, emancipazione e censura, eccellenza artistica ed eclissi del talento. Nella stimmate dell’avvento del sonoro, della volubilità del pubblico, dell’ineluttabilità del tempo che scorre, dei tiri mancini del Destino.
Altre leccornie acidule nella Città degli Angeli
Con Hollywood Babilonia II la galleria di peccatori e sventurati si arricchisce di altri casi e personalità, tra icone, ex celebrità ormai dimenticate e i consueti figuranti che si fregiarono, nel male più che nel bene, dei quindici minuti warholiani di popolarità. Il libro prende in esame le ormai proverbiali e morbose ossessioni di Alfred Hitchcock verso le sue bionde interpreti, la vita inquieta e rissosa di James Dean, il ménage sulle ceneri del muto tra il banchiere e produttore Joseph P. Kennedy e la diva Gloria Swanson, il delitto irrisolto della Dalia Nera. Mentre, restando nella cerchia di una Hollywood ormai passata agli annali, basta a Kenneth Anger una sequenza di foto di Joan Crawford per dar sfoggio del suo temperamento dark e maliardo.

Gloria Swanson in ‘Queen Kelly’ (1928)
Rovistando però tra le macerie morali di Los Angeles, ennesima sineddoche del Sogno Americano diventato Incubo, Anger squarcia il velo di Maya sui capitoli finali di carriere illustri, svelando i retroscena rimossi o trascurati, talvolta mesti e talvolta più biasimevoli, di registi illuminati, artisti precoci, di donne e uomini di fama intramontabile ma dalla vita privata angosciosa e fosca. Al lettore spetta addentrarsi tra le esistenze rovinose di James Whale, cineasta di punta della Universal per cui girò Frankenstein (1931), del visionario e influente regista e coreografo Busby Berkeley, della bellezza angelica dell’italiana Pier Angeli, tormentata fidanzata di James Dean.
Hollywoodland, la collina del disonore
Infine, Anger solletica la nostra curiosità sensibile e maliziosa al contempo trascrivendo da cronachista acre lo scioglimento di alcuni misteri. Quali scheletri celava l’astio di Clark Gable verso George Cukor, licenziato in tronco sul set di Via col vento? Quali reati commise il grande campione di tennis Bill Tilden, amico di Presidenti americani e allenatore privato di Greta Garbo e Katharine Hepburn, per finire arrestato? A quale sconcezza allude la parola “Rosebud” al centro di Quarto potere di Orson Welles e perché fece infuriare il miliardario più riverito e temuto di Hollywood?

Marilyn Monroe e Clark Gable in ‘Gli spostati’ (1961), l’ultima pellicola per entrambi
Ma se esiste una sezione di Hollywood Babilonia II che scuote, incupisce, scavalca il taglio sardonico del suo autore, sono i lunghissimi capitoli conclusivi dedicati ai casi clinici di malattie mentali (tra i quali spicca quello delle bellissime Rita Hayworth e Gene Tierney) e soprattutto ai suicidi, quest’ultimi catalogati tra avvelenamenti, colpi di fucile o rivoltella, impiccagioni, salti nel vuoto, overdose di pillole. Tra i decessi più tristemente noti, quelli di Marylin Monroe, Jean Seberg, Gig Young, George Reeves alias “Superman”. Da scoprire invece, tra i tanti suicidi, quello di una delle favolose Dolly Sisters, dell’esordiente Lois Bernard, raggirata perfidamente dal Destino, del bambino prodigio Scotty Beckett, quello “per noia” di George Sanders e pesino del chihuahua di Linda Christian.
L’affollato Viale del Trapasso
Gusto illecito per il Grand-Guignol? Voyeurismo letterario dal sarcasmo spassoso ed eversivo? Anomala storiografia del cinema che non disdegna la diceria come fonte? Opera canagliesca, frivola e indimenticabile da guilty pleasure? Cinefilo manifesto del camp? Hollywood Babilonia, vol. I e II, è tutto e niente di questo; è (cedendo la parola al suo grandissimo autore):
“un supplemento di chicche & chiacchiericcio, o, se preferite, un supplemento di storia segreta del cinema. Signori e signore, vi offro il braccio per una passeggiata nel Viale del Trapasso, la Strada della Fama di Hollywood, o la Strada dell’Infamia, come la chiamò Jane Whiters quanto Hugh Hefner comprò la sua star sul lubrico marciapiede”.
Hollywood Babilonia, in realtà, se stuzzica visceralmente il nostro appetito per il lato torbido della fama e accorcia le nostra mortale distanza con le disgraziate divinità del grande schermo, travalica i confini del pettegolezzo, del nero divertissement, del fenomeno letterario di costume, per immergerci in un universo di sogni, dolore e contraddizioni dove la sopravvivenza corre sul filo del rasoio. Nonostante gli amori passionali, la vocazione artistica, l’intuito vincente, l’intraprendenza all’interno del sistema, insieme al corollario del lusso, del prestigio, della venerazione.
Ne deriva una sovversiva comédie umaine hollywoodiana, una sarabanda tragica di furori che si dissolvono nel nulla eterno, un’antologia sulle intermittenze insidiose dell’infelicità e della morte che tocca noi tutti. Con la seduzione luciferina, però, di una prosa briosa e aguzza che bilancia e arricchisce la scomodità della materia narrata.
Una Babilonia tutta americana
Kenneth Anger dosa il suo stile con sarcasmo mai brutale e inebriante malizia, avvalendosi di un lessico allusivo, metaforico e antifrastico tutto da godere. Eludendo la trappola della predicazione e supportato da un bagaglio di aneddoti veri o romanzati, denuncia con sorriso sornione ed ammiccante eloquenza l’armamentario statunitense dell’ipocrisia e del puritanesimo, con un atto politico controcorrente alla logica benpensante e in linea con la sua personalità registica.
In complicità con l’autore interviene un eclettico corredo di foto d’epoca, costola imprescindibile di questo mondo eccentrico, vorticoso e decadente: ritratti di divi, scatti giornalistici, prime pagine di quotidiani, fotogrammi di film, tutti ben riportati e curati da Adelphi nella loro nera attrattiva.
Una vita ai limiti del cinema
Non esiste forse nella storia del cinema statunitense del secondo dopoguerra un cineasta altrettanto visionario, imprevedibile, rivoluzionario come Anger, dalla personalità dirompente e misteriosa, con la sua aura anticonvenzionale e sinistra. Un autore che ha anticipato tendenze culturali e sgretolato mode e convenzioni formali, ha accostato generi e linguaggi ufficiali con iconoclastia, ha intessuto la sua già complessa e metodica ricerca estetica originalissima con simboli del soprannaturale e dell’esoterico, con allusioni omoerotiche.
Nato a Santa Monica nel 1927 e cresciuto dalla nonna costumista a Hollywood, Kenneth Anger divorò il cinema fin da bambino, girando il suo primo corto a dieci anni. Seguirono altri corti in 16 e 35 mm, fino a Fireworks (1947), pellicola spartiacque nel cinema queer. Tra le successive opere, girate spesso in Francia, si segnala Inauguration of the Pleasure Dome (1954), intessuto di misticismo e poi adattato per la proiezione su tre schermi. Nel 1963 girò il suo film più citato, Scorpio Rising (1962-1963), che spianò la strada dell’emancipazione giovanile statunitense ispirando anche Easy Rider e che vanta tra i suoi estimatori Martin Scorsese e Nicolas Winding Refn.
E lo scandalo continua …
Nel suo percorso sperimentale all’interno del New American Cinema, si annovera anche un documentario che riecheggia il suo titolo più noto, Lucifer Rising (1972), girato in località imbevute di magia e incentrato su riti pagani ed evocazioni oscure. Esiste, infine, una filmografia ‘ufficiale’ (per quanto circolata solo in circuiti di nicchia ed eventi underground) e una nascosta di pellicole distrutte o incomplete.
Negli ultimi anni Anger aveva progettato la pubblicazione di Hollywood Babilonia III, con i segreti dello star system contemporaneo: un’opera che non ha mai visto la luce e che forse mai la vedrà a causa, a detta dello stesso scrittore, dei possibili provvedimenti legali di Scientology, uno dei bersagli del libro. Ma anche questo, come tutto ciò che ha prodotto Anger, è avvolto dal manto notturno del sussurrio e della leggenda.