The Sin è il rappresentante del cinema horror coreano nella sezione Crazies, dedicata al genere, al Quarantunesimo Torino Film Festival.
The Sin prende a piene mani dalla tradizione dell’horror nazionale
L’ horror sudcoreano ha avuto molte valenze in questi ultimi vent’anni risultando uno dei generi più vivaci nella produzione nazionale. Pensiamo ad esempio a Train to Busan di Yeon Sang-ho, capostipite di una trilogia sugli zombies. O un grande film come Goksung di Na Hong-jin (tra l’altro presentato in un’edizione precedente del Torino Film Festival) in cui si metteva in scena miti religiosi con scontri culturali tra il Giappone e la Corea del Sud con una certa originalità della messa in scena e della psicologia dei personaggi. Potremo andare avanti, ma ci fermiamo. Anche perché The Sin ha molti punti in comune con questi film e il regista Han Dong-seok prende a piene mani dalla cinematografia del proprio paese.
Una sinossi inutilmente complicata
Una giovane donna con problemi di memoria è assunta per girare un film art house in una località sperduta della Corea. In una scuola abbandonata e isolata, i componenti di una troupe alquanto scalcagnata pensa di girare un film. Sono invece vittime inconsapevoli di un esorcismo per trasformarli in zombi e uccidere l’attrice. In realtà, l’attrice è posseduta da un demone con poteri soprannaturali. La donna fin da bambina elimina chiunque si metta contro di lei o le procuri un torto più o meno reale. Ma chi vuole ucciderla è una boss di un gruppo malavitoso che si vuole vendicare perché la demone ha ucciso il nipote anni prima. Ancora: c’è un gruppo di sacerdotesse che controlla il demone da tempo e una di queste le stava dando la caccia uscendone sconfitta. Con la benedizione della chiesa cattolica, tutto l’ordine di sacerdotesse continuerà dopo che il demone riesce a impossessarsi del corpo della sacerdotessa e scappare.
The Sin come accumulo di temi artificiosi
Come potete capire in The Sin si va dal thriller di vendetta à la Park Chan-wook al film di zombies, dall’art house metacinematografico alle possessioni demoniache, in un patchwork in cui sono assemblati convulsamente registri stilistici e temi in modo confuso. Un accumulo visivo e tematico che, alla fine, appare come un album di prova del regista coreano al suo primo lungometraggio. Quasi a illustrare come sia ampia la sua conoscenza del cinema nazional-popolare. Con flashback e flashforward, repentini cambi di climax e di percorsi narrativi, The Sin rimane, al contrario, sempre ancorato a uno stile visivo omologato allo splatter e allo jump scare fino a sé stesso. Con un finale che apre a un possibile sequel, a dimostrazione come l’operazione sia prettamente commerciale fin dalla sua ideazione, la pellicola risulta poco più che uno divertimento artificioso.
Antonio Pettierre