Bologna I love you di Paolo Paganelli è presentato in anteprima come evento speciale al Festival del Cinema di Porretta Terme , nella sezione Focus Emilia Romagna, promossa da Emilia Romagna Film Commission. Insieme ad altri tre documentari: I nostri ieri di Andrea Papini (girato tra il Delta del Po, Comacchio e Ravenna), Dario Argento Panico di Simone Scafidi (tra Rimini e Parma), La solitudine è questa di Andrea Adriatico (tra Correggio, Bologna e Rimini).
Insieme a ‘Bologna I love you’, ‘I nostri ieri’ di Andrea Papini
Non c’è la virgola tra Bologna e I love you e noi, trascinati dalla cadenza emiliana, siamo quasi portati a pronunciarlo come un tutt’uno con l’accento del luogo. Che non ci viene bene, ma è così contagioso!
Bologna I love you La trama
Il racconto del capoluogo emiliano inizia dalla sua fondazione, e arriva ad oggi. La ricostruzione dell’epoca, di cui non ci sono documenti visivi, conta su attori e figuranti che, con una buona dose d’ironia, danno vita a ciò che la storia ci ha tramandato. Noti personaggi della città, alternati da animazioni, almeno fino a quando foto e documenti visivi non spalancano vicende contemporanee.
E Bologna è presentata come prima città italiana per qualità di vita, capitale della musica, per oltre un ventennio centro europeo del jazz. Famosa per la sua gastronomia, la cultura, l’Università, per i cantautori e i musicisti, le tante bellezze architettoniche, per i suoi trentanove chilometri di portici. Una grande culla di civiltà…..(Dal sito del Festival).
Bologna I love you La storia della città da molto lontano
Ognuno esprime l’amore per la propria città come meglio sente e Paolo Paganelli decide di farlo partendo addirittura dalle origini. Cinquemila anni di storia non sono facili da raccontare. Si spiega così il ricorso ai momenti scanzonati e un po’ goliardici con i quali Vito, l’attore comico, interrompe la narrazione. Ma anche quelli affettuosi e divertiti di Gianni Morandi. Mentre il volto e la voce più frequenti sono quelli di Andrea Mingardi, dall’inizio alla fine del documentario.
Un passato di ricordi condivisi
L’effetto straniante di questi intermezzi è evidente. Non nell’esordio, però, che ci restituisce il passato di Bologna, dell’Italia, del regista, e di chi con lui può condividerlo. Immagini e parole dell’infanzia e dell’adolescenza. Il primo ricordo in bianco e nero della guerra finita da poco. I bambini che, per i genitori in difficoltà, erano solo un fastidioso intervallo tra l’essere piccoli e la voglia di verderli al più presto adulti. Il cinema con la madre, due film dieci lire a testa, e la magia della sala buia, pure se la pellicola s’interrompeva spesso. Poesia, struggimento, in questo inizio che un po’ ci accomuna, e che ricorda l’incipit del La quattordicesima domenica del tempo ordinario di Pupi Avati.
Omaggio al cinema
E il momento in cui, finalmente, con la città che si riprende dalla tristezza del dopoguerra, adolescenti e giovani adulti cominciano a sentirla propria. Un vestito su misura per me, dice la voce di Mingardi. Al ricordo più personale di Bologna, qui, si accompagna quello del cinema, con foto di film sullo schermo di una sala immaginata. Film anche successivi a quella stagione, come a dire che la magia del cinema valeva allora come ora. E non era solo un sogno dell’infanzia.
Bologna cresce e anche il narratore
Poi, la generazione del regista è animata da un sacro fuoco, quello del rock and roll, con i basettoni e la camminata A me cosa me ne frega e una febbre del sabato sera con un respiro locale e internazionale.
I luoghi che fanno musica aumentano, dice Gianni Morandi, e ospitano anche grandi nomi. È tempo dei tanti musicisti, cantanti, registi, artisti. Insomma, un grande fermento negli anni Sessanta.
Il ritmo del documentario accelera, insieme ai fenomeni accennati. La scelta di contenuti non vuole dimenticare nulla, come se tutto avesse la stessa dignità: le interviste di Pasolini, i programmi della tv, gli spettacoli di rivista, i kolossal al cinema, e le tante sale in città che ora non esistono più. Le star di Hollywood, e ancora i locali della musica con La cantina del jazz, luogo magico per una Bologna in cui le notti non finivano mai.
Ci si sofferma di più sul cinema, ma sempre con un ritmo sincopato, in cui è difficile isolare qualcosa, trattenerla, in un flusso continuo di stimoli visivi e sonori.
Parte del documentario, poi, si costruisce sul piacere di una Bologna del benessere, dell’apertura, della comunicativa, del buonumore. Di una città che antepone gli interessi collettivi a quelli individuali, un modello per tanta parte d’Italia che l’ha giustamente invidiata per decenni.
La crisi poi arriva anche per lei e per i suoi privilegiati abitanti. Un breve ripiegamento su di sé e la speranza che Bologna possa riprendersi con la sua dote che la rende unica: l’ironia.