Nella prima sequenza, mentre un uomo ancora senza volto parla al telefono, la macchina da presa inquadra il muro della stanza in cui si trova, scorrendo sui mobili, su ciò che contengono, sulla carta da parati. Quasi come una panoramica a stazioni pasoliniana, in cui l’occhio percorre lo spazio come se fosse di fronte a un quadro, tentando di coglierne una storia, di solcare l’immagine, di ricostruire un senso, di contestualizzare. Poco dopo un movimento di macchina simile ha come oggetto questa volta un corpo femminile, di nuovo senza volto, mentre un uomo indica e ricorda i tatuaggi che lo ricoprono, rievocando il passato e le fasi del loro rapporto. La Palisiada, lungometraggio d’esordio di Philip Sotnychenko, in concorso al Torino Film Festival, prende avvio dall’osservazione, da uno sguardo che si sposta nello spazio e nel tempo e che cerca di ricostruire, riordinando le fasi di una storia e della Storia attraverso la mutevolezza della percezione.
Le oscillazioni della memoria e della verità
Siamo nell’Ucraina del 1996, cinque mesi prima della moratoria sulla pena di morte. Due vecchi amici, un detective della polizia e uno psichiatra forense, stanno indagando sull’omicidio di un collega. Tempo prima, entrambi erano stati innamorati della vedova della vittima. Immersi in un caso sempre più complicato e in ricordi di eventi che sembravano dimenticati, i due uomini aspirano a creare un futuro migliore in cui i loro figli dovranno vivere, ereditandone le aspirazioni irrealizzate.
Ma La Palisiada ha inizio nel presente, in un prologo in cui vediamo dei giovani divertirsi e successivamente un incontro di famiglia da cui si genera una lite. A unire il preludio alla narrazione principale sono due spari, a distanza di molti anni. Due spari che sono anche proprio due sguardi, due riprese (d’altronde to shoot significa sia sparare che filmare) sull’Ucraina del presente e sull’Ucraina del passato, oscillando nel tempo e rileggendo il periodo successivo all’indipendenza.
Come un caleidoscopio che si compone di incastri narrativi e temporali (un po’ come la Storia stessa), La Palisiada riflette sulla memoria tanto individuale quanto collettiva, che appare come un reticolo nebuloso, complesso e infingardo. È una rappresentazione mnemonica operata attraverso immagini che rievocano le VHS casalinghe, dando quindi un senso di continuità (analogico). Philip Sotnychenko pone lo spettatore al centro di questo processo, rendendolo parte di un dedalo inestricabile di eventi, indizi, generazioni e storie nel tentativo di operarne una ricostruzione e una contestualizzazione. Al centro di tutto c’è l’indagine e il caso dell’omicidio, che evidenzia i lati oscuri di un passato e di un paese, rimarcando l’impossibilità di una verità univoca. Persino l’immagine non può che soccombere, piegata alla reiterata rappresentazione del presunto momento dell’omocidio e a ricerche che nascondono corruzione e noncuranza.