Mummola è una commedia amara, congelata dall’incomunicabilità di una famiglia che si ritrova per le feste di Natale. La regista Tia Kouvo amplifica ancora di più quest’anaffettività con riprese fisse che solo in poche occasioni si muovono verso gli attori, svelandone nuovi punti di vista ed emotività celate.
regista di Mummola, Tia Kouvo. Immagine fornita dal TFF.
Prima parte
Mummola è diviso in due parti. La prima vede protagoniste le giornate di festa che abbracciano il Natale, occasione di ritrovarsi a casa dei nonni, la disincantata Ella (Leena Uotila) e l’alcolizzato ed egocentrico nonno Lasse (Tom Wentzel). L’entrata in scena dei restanti componenti della famiglia è lasciata a un’inquadratura stretta e fissa della porta d’entrata.
La scena corale iniziale dove tutti i protagonisti sono a tavola per cena ricorda la migliore commedia nera italiana di Mario Monicelli di Parenti Serpenti che ricreava quel microcosmo un po’ provinciale e un po’ borghese che nell’evolversi del film diventerà “velenoso”. In Mummola invece assistiamo alla scoperta di fragilità che diventano patologie esistenziali con dialoghi non sempre all’altezza e che non entrano mai nel merito dei problemi reali. Si assiste così alla defecazione in salotto del nonno ubriaco, mentre la nipote Hilla (Elli Paajanen) intona un canto natalizio. Al silenzio sulla depressione del giovane Simo che esce dalla casa dei nonni durante la notte di Natale per fare un giro e sfogarsi derapando con l’auto sul grande terreno ghiacciato al suono di Zombie dei Cranberries.
Seconda parte
La festa comandata è finita, la famiglia si separa mentre inizia un nuovo anno. Questo distacco e ritorno alla routine invece che appiattire la storia la rinvigorisce con nuove sfumature. Delinea nuove speranze inattese e fornisce nuovi dettagli sulla vita dei protagonisti. Il rientro dalle vacanze per Susanna significa una nuova promozione, nuove responsabilità e una vera realizzazione. Una diversa disposizione dei quadri in casa ci permette di vedere il lato divertente e ironico del giovane Simo, mentre la visita di un vecchio amico accende di nuovi colori ed emozioni il nonno Lasse (anche se porta in dono un nuovo rifornimento di alcool).
La parola Mummola è composta dalla parola mummo (nonna) e il suffisso usato in finlandese per definire un luogo e si indica generalmente la casa dei nonni, ma più nello specifico della nonna. Ed è lei che con il suo disincanto cerca di mantenere fino alla fine il baricentro della famiglia, scontrandosi purtroppo con problemi enormi, con parole non dette e la paura di confrontarsi.
Quanto amore dedichiamo al nostro tempo libero?
Questo è l’interrogativo che ci propone il film attraverso un corso aziendale e che ricorda a tutti, in un grafico a torta come la nostra vita fatta di ventiquattro ore è dedicata per otto ore a dormire, per altre otto al lavoro e le ultime al proprio “tempo libero”. Ed è questo che scatena la chiave di lettura del film.
In questo momento la domanda proposta a Risto non trova risposta. Rimane sbigottito nel capire che non sta dedicando la giusta cura alla sua famiglia confrontandosi con una collega. Questa mancanza si trasforma in distanza. Ed è subito evidente già dall’inquadratura fissa in camera da letto quando Helena cerca l’amore non corrisposto di Risto e si sposta in una successiva sequenza nel garage di casa, all”interno della macchina di famiglia. Qui la telecamera come in una seduta psicanalitica cerca le risposte alle incomprensioni della coppia che sta esplodendo emotivamente, lontano dalla presenza dei bambini.
Sicuramente una delle migliori scene di Mummola.
Ed è proprio grazie ad un primo piano sullo sguardo della figlia Hilla che la camera si muove nuovamente svelandoci un finale amaro seguendone i nuovi punti di vista rispetto ad un’emotività trattenuta dalla famiglia finora. Un dono di speranza che guarda alle nuove generazioni.
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