“Le piccole cose hanno la loro importanza: è sempre per le piccole cose che ci si perde”, scrive Fëdor Dostoevskij in Delitto e castigo. Ed è sempre per le piccole cose che ci si trova. In esse si racchiudono l’umanità e la natura, e da esse, spesso quasi per caso, nascono gli incontri e i sentimenti. Here, il quarto lungometraggio di Bas Devos, in programma nella sezione Nuovimondi del Torino Film Festival, è proprio un film sulla poesia insita nelle piccole cose, sullo splendore della semplicità e sullo sguardo che ritrova la purezza. Persi nel turbinio della contemporaneità e nella plumbea routine, siamo sempre meno consapevoli dell’armonia dei gesti, degli istanti e dello spazio che ci circonda. Il qui, riprendendo il titolo, è un luogo che sfugge alla nostra percezione, incorporeo, troppo piccolo e fugace per il nostro sguardo. Bas Devos cerca proprio di osservare l’invisibile, di dilatare con una lente il tempo e lo spazio per rintracciare nel sottosuolo, oltre il percettibile, i germogli della vita.
In Here Devos racconta semplicemente l’incontro tra un ragazzo e una ragazza, aprendo con le immagini di un cantiere edile e riprendendone i suoni, osservando le gru, le strutture, gli operai a lavoro. Un organismo in continua costruzione e crescita. Uno dei due protagonisti, Stefan, è un giovane operaio rumeno, da anni residente a Bruxelles, mentre Shuxiu è una biologa che studia i muschi e nel tempo libero aiuta la zia nel suo ristorante. Devos segue le loro traiettorie inizialmente separate, mostrando i loro volti solo dopo alcuni minuti, individuati tra la folla brulicante della città quasi zavattinianamente. Stefan sta per fare ritorno dalla famiglia nel paese natìo per le vacanze, o forse per sempre, nonostante consideri Bruxelles come la propria casa. Saluta i colleghi e amici offrendo loro della zuppa che ha preparato, mentre le notti vaga per le strade, come un flâneur mosso da insonnia.
Illuminare il presente
La città si dispiega al suo sguardo e al suo spirito colmo di malinconia e solitudine e diventa un luogo astratto, quasi rarefatto, racchiuso in un intimo formato 4:3 al cui interno la realtà sfocia nel lirico e si tinge di onirico. È in questo spazio che il tragitto di Stefan incrocia quello di Shuxiu, con un incontro casuale, dovuto a deviazioni improvvise, a una pioggia che costringe per una volta il ragazzo a mangiare al ristorante invece di portarsi il cibo a casa. Ecco che le piccole cose, come uno sguardo, un pasto, una minima conversazione, una curiosità, diventano già delle scintille, irradiando una grigia giornata estiva.
I due giovani si incontrano nuovamente l’indomani, fuori città, mentre la ragazza sta studiando i muschi che crescono in quella zona. Come racconta a Stefan, nessuno presta mai attenzione al muschio, a piante così piccole e invisibili, eppure sono come delle foreste in miniatura, splendide e rigogliose. Un elemento pieno di vita, che suggella un nuovo legame. Il contatto tra i due, a ben vedere, veniva già prefigurato nelle prime immagini, in quell’inquadratura fissa che mostra il cantiere edile cinto, in prospettiva, da alberi e in cui il rumore dei lavori ricorda il martellare del picchio che risuona nel finale. Un’immagine che racchiude l’incontro, un abbraccio figurato e il riferimento al rapporto tra l’uomo e la Natura, prodromo di un film dolce e minimale, che illumina il presente.