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Rome Independent Film Festival

‘Colorcarne’: il valore di un sapiente gioco di immagini

Nel cortometraggio diretto da Alberto Marchiori l'immagine è la vera chiave di lettura

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Colorcarne

Colorcarne (Skintone) è un cortometraggio scritto da Teresa Lucente e Alberto Marchiori e diretto dallo stesso Marchiori. È stato selezionato per la XXII° edizione del RIFF (Rome Indipendent Film Festival) e proiettato in anteprima sabato 18 novembre. Marchiori, che vanta una lunga e premiata carriera nel settore della fotografia cinematografica, si cimenta questa volta alla regia.
Dalla sua creatività nasce un prodotto tecnicamente molto pulito e con interessanti soluzioni per rappresentare in modo singolare legami e pensieri dei personaggi.

Orlanda vuole regalare alla sua nipotina un paio di scarpette per il saggio di danza. Ma trovarle del colore giusto non è un’impresa facile.

Colorcarne

Un gioco di riflessi

Quella a cui andremo ad assistere non è una storia straordinaria, nel senso che nulla di ciò che vedremo è “fuori dall’ordinario”. Marchiori ce lo suggerisce fin da subito: con la prima inquadratura ci sembra di spiare la protagonista sola nella cameretta della nipote. Accanto a lei, una valigia aperta e ricolma. L’occhio dello spettatore, però, si posa subito sul grande specchio alla parete. È da qui che inizia il gioco di riflessi che il regista usa come mezzo per raccontare di Orlanda.

Infatti, quando nella stanza entra la piccola Elodie, l’inquadratura non ci permette di scorgere il suo riflesso allo specchio, ma solo l’ampio sorriso che Orlanda le rivolge. Il tema dell’intero cortometraggio ci viene anticipato da quest’unica immagine. Poiché è solo con lo specchio che riusciamo a vederci, la storia si incentra sul riconoscimento e l’ accettazione di se stessi.
Non è casuale nemmeno la scelta di non far scorgere l’immagine di Elodie allo specchio. Orlanda ed Elodie sono, sostanzialmente, una il riflesso dell’altra. Non a caso sono anche fisicamente molto simili: voluminosi capelli afro, corporatura esile e slanciata, pantaloncini e canottiera. Proprio per questo motivo, quando la madre entra in camera e le interrompe, la prima cosa che fa è sistemare i capelli della bambina. Un modo per farla assomigliare a lei e non alla sorella.

A sottolineare lo speciale legale tra Orlanda ed Elodie, Marchiori utilizza un altro mezzo molto efficace: il suono. Quando le due si abbracciano, infatti, sentiamo il battito di un unico cuore. Poiché la protagonista vede nella nipote il suo riflesso, la missione di trovare le scarpette del colorcarne giusto si avvale di una motivazione ancora più potente. Prima di non voler deludere Elodie, Orlanda non vuole scendere a compromessi con se stessa.

Questo interessante gioco di riflessi viene ripreso qualche scena più avanti, quando la protagonista è messa alla prova e deve fare una scelta. Sulla porta del negozio di danza da cui è appena uscita, sconfitta, vede su un poster il viso di una modella bianca e poi la sua immagine sul vetro della porta. Viene quindi da chiederci se, nella lotta contro un sistema in cui Orlanda non si sente riconosciuta, lei stia combattendo davvero per la nipotina o per se stessa.

Colorcarne

Un senso di appartenenza

Ecco come allora lo spettatore ritorna con la mente alla scena iniziale, alla valigia e alla battuta della sorella “andiamo di là, così mi parli di Londra”. Capiamo come Orlanda sappia perfettamente cosa significhi sentirsi “straniera”, ma possiede anche un profondo senso di orgoglio che la spinge a non nascondere ciò che è. Questo suo lato si scontra con la personalità della sorella, che invece non dà la stessa importanza al colorcarne, la loro carne, delle scarpette.

“A volte sembra che ti dimentichi chi sei.”

È la frase pronunciata da Orlanda che chiarisce il vero senso dell’intero cortometraggio. La forza di Colorcarne è quella di non spingere forzatamente su una morale razziale. Marchiori fa invece riflettere sullo snaturamento di ciò che siamo per paura del giudizio altrui.

E alla fine, mentre attorno nessuno si accorge di Orlanda, noi ci avviciniamo cautamente ai suoi pensieri. Vediamo una ragazza sperduta e senza più punti di riferimento. Il giorno dopo partirà per Londra, ma noi sappiamo che lei si sente straniera ed estraniata già in quella piccola palestra dove si svolge il saggio di danza.

La performance della giovane Coco Rebecca Edogamhe raggiunge il suo apice proprio nell’ultima scena del cortometraggio, con uno sguardo che racchiude in sé il finale.

Alberto Marchiori ci racconta una piacevole favola senza lieto fine. Affronta un tema già discusso in molteplici forme, ma lo fa con delicatezza e verosimiglianza, senza mai cadere nella trappola della superficialità e della stucchevolezza. Lo spettatore ha modo di godersi il cortometraggio senza un insistente messaggio moralistico che ne rovini l’esperienza.

Sono i piccoli dettagli che aiutano a farci immergere nella storia, in un’atmosfera attentamente curata.

Colorcarne ci ricorda, in sintesi, che una bella storia non ha bisogno di mezzi straordinari.

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