Per la ventenne Rosa il ricordo dell’ultima sera d’estate in Bretagna ha un sapore speciale e lo ripete come un mantra: “Era l’ultima sera d’estate, la sera prima della mia partenza per Montréal. Le mie amiche Olga, Damoh, Céleste, Ninona e Jules, mio fratello Yon e io decidemmo di continuare la nostra serata sull’isola. Avevamo l’abitudine di incontrarci ai piedi di una grande roccia: quello era il luogo che chiamavamo l’Île (l’isola)”.
Il regista francese Damien Manivel divide in due linguaggi la narrazione e li mescola dando vita ad un’importante spaccato generazionale.
Un “prima” documentaristico fatto di prove con gli attori e gli storyboard che si unisce ad un “dopo” di fiction dove la scena e i suoi attori ci raccontano l’ultima notte d’estate che diventa alba con i personaggi che sembrano oltrepassare il video con inquadrature sempre più strette, proiettando lo spettatore nella festa sulla spiaggia, tra il suono della risacca del mare, odore di vita e giovinezza. Dimostrazione quest’ultima che nel corso di cinque lungometraggi, il regista è riuscito a imporre la sua voce di autore sperimentale, il cui stile mescola dimensioni corporee, la forza emotiva dei volti e un realismo spoglio che flirta con la poesia.
Damien Manivel foto di The Open Reel
Dopo Takara – La Nuit où j’ai nagé (proiettato nella sezione Orizzonti di Venezia nel 2017), Les Enfants d’Isadora premiato con il Pardo per la miglior regia a Locarno 2019) e Magdala (proiettato nella sezione ACID di Cannes nel 2022), per citare solo tre dei suoi lavori, il cineasta scava ancora più a fondo ed esplora un altro orizzonte ne L‘Île , che si è aggiudicato una menzione speciale nel concorso nazionale del 34° FIDMarseille, oltre a dominare il concorso Ciné+ del festival, mentre ora approda al Torino Film Festival fuori concorso.
La fine di un’estate, un rito che non vorremmo finisse mai, anche da adulti
In un lembo di spiaggia ribattezzato L’isola si consuma per i ragazzi una serata indimenticabile che tutti noi abbiamo vissuto in modo analogo nella nostra vita. É la fine dell’estate, l’ultima sera, prima di partire per un futuro incerto e che più avanti con gli anni diverrà una noiosa routine lavorativa.
Il presente invece offre quell’incantesimo di felicità che vorremmo non finisse mai, fatto di balli, bevute, canne, baci, amoreggiamenti e il classico bagno di mezzanotte che al ritmo di musica significa la fine dell’estate (come cita l’unica canzone cantata da un’attrice del film La Llorona).
Un tirar a fare giorno che è un rito iniziatico per una nuova stagione della vita che ci aspetta. Un’ isola felice che vorremmo fosse legata indissolubilmente nel tempo sempre con gli stessi amici, quelli che hanno saputo condividere momenti unici. Ma le stagioni passano e le persone cambiano. Nel film il litigio di Rosa con il gruppo (per futili motivi) rappresenta proprio questo. Quelle persone che abbiamo amato, con cui abbiamo saputo essere leggeri, essere noi stessi, cambieranno e prenderanno altre strade nella vita con o senza di noi.
Un epilogo crudo ma vero
La lunga passeggiata che alle 5.30 di mattina accompagna Rosa a casa prima di partire con i genitori verso Montréal raccoglie questa cruda verità. Dopo il saluto di commiato con gli amici, l’unica a risalire con lei il sentiero ed accompagnarla per parte del tragitto che la porta a casa sarà Céleste. Così comel’inquadratura sublime del regista che compare in scena mettendo la coperta sulle spalle di Rosa raggelata dopo il bagno in mare e dalla litigata con gli amici, per chiudere un cerchio e consegnarci con affetto alla vita che verrà.
L‘Île è un piccolo gioiellino di nuovo cinema francese raccontato da un regista che conosce bene la sua generazione e in questo film la mette a fuoco con una danza narrativa di corpi e leggerezza d’intenti invidiabile. Con lui le speranze per il futuro del cinema sono davvero luminose.
Scopri il trailer di L’Île su YouTube
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