Un romanzo che è già un film. Presentato al Noir in Festival 2024 e al cinema dall’11 luglio, continua a incantare il pubblico con la sua profondità narrativa.
Al cinema Distribuisce Non Riattaccare I Wonder Pictures.
Questa è la storia di un romanzo che voleva farsi film Non riattaccare. E che per trasporlo, anni fa, era stato opzionato dal rimpianto Carlo Macchitella (a cui è dedicata la pellicola), anche se poi la sua autrice, Alessandra Montrucchio, di questa metamorfosi in potenza aveva perso le tracce. Fino a quando, nel cuore della notte del Covid, anche lei, come la protagonista del suo libro Non riattaccare (Marsilio, 2005), riceve una telefonata. All’altro capo c’è il giovane regista Manfredi Lucibello che, dai suoi esordi (i documentari sulla tragedia della Moby Prince Centoquaranta – La strage dimenticata, e sulla pittrice Bice Lazzari – Il ritmo e l’ossessione) e fino al primo lungometraggio, il thriller psicologico Tutte le mie notti, ricerca la scarnificazione, l’essenzialità estrema e compone, insieme a Jacopo Del Giudice, la propria cantata per volto e voce soli: la sceneggiatura di Non riattaccare per il viso intenso e portentoso di Barbara Ronchi e la voce, bellissima e vera, di Claudio Santamaria, prodotto da Rai Cinema e Mompracem.
Solo l’essenziale
Montrucchio ascolta, non teme il tradimento del suo libro omonimo, vorrebbe solo preservarne, anche lei, l’essenza: la tensione narrativa da thriller sentimentale; la strada persa del proprio personaggio maschile senza nome, dolorosamente incapace di amare se stesso, la vita, la sua ex (legata dal suo stesso anonimato esistenziale); lei che si sente morta, nemmeno si lava più tanto, da quando – parecchi mesi – non ha più lui, ma torna alla vita per l’occasione, strappata al suo appartamento-rifugio dalla voce amata, profondamente e incondizionatamente amata. Lei, per lui, c’è. Non hanno storia se non quella insieme; non hanno famiglia; sono sospesi nel tempo a brandelli dei loro ricordi passati e nello spazio fra Torino e Ginevra, e qualche luogo di vacanza. Sono due funzioni della memoria, lei e lui, come nel Resnais di Hiroshima mon amour (1959) o Un uomo e una donna di Lelouch (1966).
Non riattaccare. Dal romanzo al film, un thriller dell’anima
Sarà la forma visiva, si dice Montrucchio, a restituire del racconto letterario l’urgenza che passa attraverso la seconda persona: una voce narrante in grado di coinvolgere e interrogare il lettore, sfuggendo alle (pesanti) maglie letterarie tradizionali del narratore in terza o prima persona.
Fedeltà di sostanza è quella che ritroverà Montrucchio nel film, alla cui proiezione ha assisto domenica sera: la sua lei ha assunto la superba intensità recitativa di Barbara Ronchi e ha acquisito un nome, Irene (che in greco antico significa pace); lui si chiama Pietro – scopre la scrittrice – e, nonostante sia niente po’ po’ di meno che il noto Claudio Santamaria, vivrà fino alla fine della sua sola efficace profondità vocale dal dolore trattenuto eppure tangibile.
Tutto d’un fiato
Sono pure l’assenza di ellissi e salti temporali, di ‘soste’, nel film, a rendere appieno la sollecitudine che solo la voce dell’uomo (o della donna) amato – e che avevi smesso pure (non l’avresti mai detto, vero?) di sperare disperatamente di risentire – può iniettare, il ritmo incalzante che assume una notte come tante nel momento in cui percepisci, di nuovo, che tu e lui siete legati.
Nel vortice della vita, fino all’ultimo respiro
Debitore a Locke di Steven Knight (2013) per alcuni aspetti narrativi e fotografici (primo fra tutti la corsa in macchina e il riverbero delle luci di strade e auto di notte) e, vagamente, a The Guilty del danese Gustav Möller (2018) e al suo remake americano (Antoine Fuqua, 2021), Lucibello mette ‘carne’ e ‘ossa’ alla storia di Irene e Pietro quel tanto che serve per tenerci legati a una storia d’amore di cui scopriamo in tempo reale i dolorosi contorni noir, a cui le musiche di Motta regalano suoni elettronici quanto ipnotici silenzi. E, rimanendo più vicino al film di quanto mostrino gli eventi finali, chiude con inquadrature di due corpi che hanno conosciuto il vortice (si pensi all’incipit del film) della vita e della morte, in un respiro.
Non riattaccareun viaggio spettrale per salvarsi