Dopo Berlino 73, White Plastic Sky, diretto da Sarolta Szabó e Tibor Bánóczki sbarca anche al Torino Film Festival. White Plastic Sky, prodotto da SALTO Films e Artichoke, è una riflessione filosofica post-apocalittica ma è anche una bellissima storia d’amore.
La trama
In White Plastic Sky siamo nel 2123. La popolazione umana è costretta a vivere all’interno di una cupola, poiché fuori non c’è più nulla. Al compimento dei 50 anni, ogni cittadino viene trasformato in un albero, una procedura creata dal professor Paulik (Géza D. Hegedűs) e che ritiene indispensabile al sostenimento della comunità. Nora (Zsófia Szamosi) di anni ne ha solo 32, ma decide ugualmente di sottoporsi all’impianto volontario, e il suo fidanzato Stefan (Tamás Keresztes) cercherà di fermarla grazie all’aiuto di Doru (Judit Schell).
White Plastic Sky : il tema
White Plastic Sky nasce con l’intento di provare a rispondere alla domanda: “Cosa succede se non si trova una soluzione alla crisi climatica, alla crisi energetica, alla crisi umanitaria e a tutte le altre crisi con cui oggi dobbiamo fare i conti?” Tutto sommato un what-if piuttosto elementare.
L’Ungheria che ci viene presentata, quella del XXII° secolo, rende bene la posizione degli autori fin dalle prime immagini, ovvero la grata della cupola e aldilà di essa il cielo annuvolato.
Non c’è possibilità di salvezza nel futuro pensato da Szabó e Bánóczki. C’è oggi, ma a patto che l’uomo cominci a pensare a se stesso come parte di un disegno più grande. È attorno a questa domanda che ruotano le posizioni dei personaggi in gioco ed è questo che interessa al pubblico. In questo senso, il finale del film lascia con un po’ di amaro in bocca, perché troppo veloce e improvviso. Controcorrente rispetto ai film che sembrano sempre su punto di finire e invece non finiscono mai, White Plastic Sky perde di vista la storia dei personaggi per aprirsi allo spettatore. Una scelta che può essere condivisibile date le tematiche trattate, ma non per forza necessaria.
White Plastic Sky : l’animazione
Punto di forza e in certi momenti di debolezza di White Plastic Sky è l’animazione. La Budapest post-apocalittica, la piantagione sul Lago Balaton, le distese aride e desolate e il Grano sui monti Tatra sono visivamente spettacolari. Lo sono meno i personaggi di Stefan e Nora, che a causa della tecnica utilizzata, quella del rotoscope manuale, perdono in termini di espressioni ed emotività. Andando oltre, la scelta dell’animazione di White Plastic Sky trova la sua ragion d’essere nel tipo e nel genere di storia che si intende raccontare, qui la trova eccome e si mette al suo servizio ed enfatizza ciò che è giusto enfatizzare.
La sensazione è che White Plastic Sky non abbia esaurito tutto il suo potenziale. L’idea degli umani che diventano alberi, il mondo desolato di Stefan e Nora e gli esperimenti del professor Paulik pare abbiano ancora molto da offrire. E questo è ciò che ci si aspetta da un buon film di genere fantascientifico.