‘Essential Truths of the Lake’ l’impenetrabile verità e il dolore di un popolo

Nel buio impenetrabile si scorge un cadavere con appeso al collo un cartello recante la scritta “sono un pusher”. Inizia così Essential Truths of the Lake, l’ultimo film di Lav Diaz, in programma fuori concorso al Torino Film Festival. Con la morte in primo piano, con la sparizione, con la ricerca di una verità che sembra inghiottita da un’oscurità materica e inviolabile.

Il tenente Hermes Papauran, già protagonista del precedente film di Diaz, When the Waves Are Gone, di cui Essential Truths of the Lake sembra rappresentare un sequel e al tempo stesso un prequel, da quell’oscurità è attratto e richiamato. Discende verso di essa, come nella sequenza onirica in cui percorre una scala a chiocciola, soffermandosi a guardare il fondo, verso l’abisso e verso la macchina da presa, e sente il bisogno di avventurarcisi e specchiarvisi, senza arrendersi alla violenza che irrora la società e i vertici del potere filippino.

Da anni al servizio nella polizia, sin dal sanguinoso periodo del presidente-dittatore Rodrigo Duterte, Papauran vive il passato come un tormento inestinguibile e si danna l’anima sul ruolo delle forze dell’ordine, che non sono al servizio del popolo, bensì dei funzionari. Ma c’è una vicenda in particolare che Papauran non riesce a dimenticare ed è il caso irrisolto della scomparsa di Esmeralda Stuart, avvenuto ormai molti anni prima. Un evento e un’irrisolutezza che hanno lacerato il suo spirito e che sono diventati per lui esemplificativi della disgregazione sociale e politica del paese. È un’indagine impossibile, una ricerca illusoria, una verità insondabile, che si perde tra le pieghe del tempo e dello spazio, tra sprazzi onirici e una realtà ormai deflagrata, in cui l’unico destino per il protagonista può essere la catabasi nella follia.

Delitto e castigo

Essential Truths of the Lake si divide in due parti (ne sarebbero previste altre, ma asserbate per il prossimo film attualmente in fase di lavorazione), che ruotano entrambe attorno all’indagine. Papauran decide inizialmente di riaprire il caso e di tornare nei luoghi in cui Esmeralda viveva, cercando in chi la conosceva delle nuove testimonianze e dei nuovi indizi. Sin da subito la ricerca pare però vana e l’agire del tenente si fa sempre più errabondo, ammantato da visioni oniriche e flashback che aleggiano attorno a lui come fantasmi. Una progressiva astrazione che conduce alla seconda parte, di poco successiva (riprende gli eventi dell’eruzione del vulcano Taal, nel 2020) eppure così lontana nel tempo e nello spazio.

I luoghi e le immagini sembrano provenire da altri mondi, addirittura antecedenti, in cui cielo e terra si sono uniti per dannare gli abitanti del lago. Persino l’immagine trema (e presenta segni di invecchiamento), in uno scenario che sembra causato dall’inaccessibilità della verità e dal tormento che il tenente si autoinfligge. Papauran dismette quasi gli abiti di detective per vagabondare in quelle zone, vivendo insieme agli abitanti, aiutandoli, cercando un contatto e condividendo il loro dolore. La domanda che aleggia e che Papauran rivolge a chi incontra è sempre una. Chi era Esmeralda Stuart? Era una modella e attrice? Era un’attivista? Era una prostituta? Era forse una, nessuna e centomila. Era l’aquila delle Filippine, da cui lei si travestiva nelle manifestazioni ambientaliste, simbolo del paese e animale a rischio di estenzione. Come a rischio è la purezza di un popolo, in una sparizione che non riguarda una sola identità.

Con Essential Truths of the Lake, Lav Diaz recupera gli stilemi del proprio cinema, come il tema antononiano della sparizione (così legato tragicamente alla storia delle Filippine) e i toni del noir già presenti nel precedente film. Il passaggio dal giorno e notte delinea l’alternarsi tra oscurità e una luce che è altrettanto impenetrabile, quasi a scandire un’altra faccia del male, in una spirale che incombe come un muro invalicabile. Significativamente, l’inabissamento di Papauran coincide con la graduale astrazione, con il proliferare dei silenzi e della contemplazione, in cui il protagonista cerca di lenire il dolore personale e collettivo tentando di riappropriarsi dell’immagine. L’immagine di un popolo, dei volto, di un paese.