Una famiglia quasi normale arriva su Netflix. Disponibile in piattaforma dal 24 novembre, la serie svedese in sei episodi è adattamento del best-seller omonimo di Mattias Edvardsson. Il cast principale della serie, scritta da Anna Platt e diretta da Per Hanefjord, è composto da Alexandra Karlsson Tyrefors, Lo Kauppi, Björn Bengtsson, Melisa Ferhatovic e Christian Fandango Sundgren.
Un fotogramma tratto da Una famiglia quasi normale
Una famiglia quasi normale: la trama
Una famiglia quasi normale racconta la vicenda di Stella Sandell. Vittima di uno stupro, la ragazza viene convinta dai genitori Ulrika e Adam a non denunciare il colpevole. Quattro anni dopo, ormai diciannovenne, Stella conosce Chris. È amore a prima vista. Dopo poco tempo, l’affascinante ragazzo rivelerà la sua natura ambigua e potenzialmente pericolosa.
Una famiglia quasi normale: tematiche attuali affrontate con superficialità
Una famiglia quasi normale esce in un momento cruciale per il nostro paese. La serie affronta tematiche quanto mai attuali come la violenza di genere, la difficoltà a denunciare, il maschilismo introiettato nelle donne. Da un lato, visto l’argomento, è impossibile restare impassibili di fronte alla storia narrata. Dall’altro, la complessità degli spunti narrativi viene sacrificata in nome di un racconto non esente da debolezze. L’ambizione alla sensibilizzazione fallisce miserevolmente, schiacciata da un numero esagerato di incongruenze e banalizzazioni. Tra queste spicca il precario approfondimento psicologico dei personaggi. Ulrika e Adam Sandell si muovono a casaccio, compiendo scelte al limite del grottesco. Per non parlare del cattivo della situazione, il seducente Chris. Chi è costui? Quali sono le sue motivazioni? Perché cambia atteggiamento dall’oggi al domani? Non ci è dato saperlo con precisione. I personaggi secondari, dal canto loro, appaiono come sagome monodimensionali, stereotipate tanto quanto i protagonisti. Il risultato finale è un appiattimento generale del racconto, che non resta impresso, ma scorre via come acqua fresca.
Una scena tratta da Una famiglia quasi normale
Una famiglia quasi normale: il tema dell’incomunicabilità
Una simile approssimazione non gioca a favore della descrizione delle dinamiche interpersonali che intercorrono tra i personaggi. In molte produzioni nordiche osserviamo che liti e scontri accesi cedono spesso il passo ad atteggiamenti passivo-aggressivi e a silenzi compìti. L’organizzazione razionale della società, cui fa da contraltare un evitamento del dialogo e una scarsa propensione all’ascolto, sono aspetti che varrebbe la pena approfondire. Non è un caso, del resto, che in molti thriller scandinavi (si pensi, ad esempio, al recente Speak No Evil) questo tratto culturale funga da miccia per la tragedia. Si tratta di un argomento di grande interesse sociologico, a patto che venga affrontato a dovere. Non è questo il caso. In Unafamigliaquasi normale si sceglie di restare sulla superficie, preferendo il dinamismo del racconto a qualsiasi tipo di analisi di matrice culturale. Non stupisce che anche il tema dell’incomunicabilità (tra genitori e figli, tra giovani coetanei o tra partner) sia a sua volta appena accennato. Si tratta di un problema non di poco conto, specialmente se ci troviamo di fronte ad una produzione che vorrebbe fare dell’introspezione la sua bandiera.
Una scena tratta da Una famiglia quasi normale
Uno show che ben si presta al binge watching
A dispetto dei suoi limiti, Una famiglia quasi normale riesce comunque ad intrattenere il pubblico. La giusta durata degli episodi (circa 45 minuti in media), unita a un racconto a suo modo avvincente, tiene desta l’attenzione fino alla fine. La tentazione è quella di procedere a oltranza nella visione, con la curiosità di vedere fino a che punto si spingeranno gli sceneggiatori. L’epilogo, prevedibile sin dal principio, purtroppo non ripaga dell’attesa. Tuttavia, l’obiettivo (forse inconsapevole) viene pienamente raggiunto: intrattenerci per una serata. Il giorno dopo potremo tranquillamente non pensare più a quello che abbiamo appena visto.
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