Mur è il documentario che segna l’esordio alla regia di Kasia Smutniak. L’attrice, qui anche in veste di regista, sarà a Prato per incontrare il pubblico in occasione della proiezione del film a Il Garibaldi Milleventi, domenica 26 novembre alle 17. Dopo i saluti e la proiezione del film Kasia Smutniak incontrerà il pubblico per commentare il suo Mur.
Il film è prodotto da Domenico Procacci, Laura Paolucci, Kasia Smutniak. Scritto da quest’ultima e Marella Bombini, è una produzione Fandango in associazione con Luce Cinecittà una distribuzione Luce Cinecittà.
Mur di Kasia Smutniak
Il tuo Mur, esordio alla regia, è un documentario forte e potente. Potrebbe sembrare un reportage perché ci mostri (o almeno provi a mostrarci) le cose così come sono e come accadono. In realtà è anche un diario intimo perché intervalli alla sofferenza e alle immagini che documenti anche dei tuoi momenti personali. Non sei quindi solo regista e protagonista in quanto attrice. Sei protagonista in quanto vivi sulla tua pelle quello che succede e cerchi di trasmetterlo anche a noi. Non so sei d’accordo con questa analisi.
Sì, certo. Non saprei come definirlo, ma non mi va neanche di definirlo. È un progetto un po’ strano, forse insolito, ma è bello fare le cose insolite e io ho voluto raccontare questa storia in questa maniera.
Un’altra cosa, sempre a livello di come racconti la storia, che mi è piaciuta e ho apprezzato è il fatto che usi l’escamotage di essere accompagnata da Marella Bombini che ha scritto insieme a te il film. Quello che appare è che tu parli direttamente con noi. In realtà usi l’escamotage di parlare con lei per arrivare a noi. Sei molto diretta, non usi giri di parole.
Sarebbe grave se non fosse questo il mio intento. Volevo focalizzare la tragedia e inserire il punto di vista di una ragazza italiana che è in Polonia, non capisce la lingua, mi accompagna e vive quello che sta accadendo, come me, in una maniera emotiva. Lei non si vede nel film perché diventa il punto di vista dello spettatore che non capisce e non deve capire il contesto.
Ho voluto mettere due punti di vista.
Uno è di una persona come me, legata naturalmente al territorio, che intraprende un viaggio verso le proprie radici. Io sono legata emozionalmente a quei luoghi. In Ucraina c’è la mia famiglia paterna. È molto chiara la connessione che ho col mio paese, ma non solo.

A quel punto mi serviva un punto di vista di qualcuno esterno che non ha bisogno di complicanze e di connessioni ed è in grado di fare domande semplici sul perché accade una cosa, perché le persone vengono divise, perché alcuni sono salvati e altri no. Viaggia con le sue emozioni e il suo punto di vista non conoscendo la lingua.
Io, vivendo in due paesi, volevo creare due punti di vista: da una parte chi sta là ed è collegato con quella terra e sa cosa succede là e dall’altra chi non sa cosa succede e non è collegato con quella terra. Si tratta di due punti di vista di due donne con emozioni diverse. Marella è coautrice e anche operatrice, ma da operatrice diventa proprio un occhio e una presenza che parla.
Poi non volevo nemmeno cadere nella retorica e quindi non volevo la voce fuoricampo; volevo creare un dialogo che mi sembrava un qualcosa di più naturale. Con una persona che diventa compagna di avventura mi sembrava la cosa più spontanea e anche dinamica.
Le riprese
Anche le riprese sono semplici nel senso che si percepisce che i mezzi che hai utilizzato erano pochi e non troppo complessi ed elaborati. Sembra quasi che tu abbia voluto semplificare (non banalizzare) la storia in modo da far aprire gli occhi a tutti noi. In questo senso, e quindi in positivo, mi sembra che tu abbia dato molto più valore a quello che mostri piuttosto che al modo o a trovate stilistiche.
Utilizzo quasi sempre il telefonino come mezzo per raccontare, perché non era possibile farlo in nessun altro modo. Io non potevo presentarmi con una troupe né con una telecamera in alcuni posti. Dove ho potuto usare una telecamera l’ho fatto, dove non era possibile, invece, l’unico modo per passare inosservati era rubare delle immagini e fare delle riprese con il telefonino. Ma devo dire che è anche un linguaggio molto diretto quello che si ha con i telefonini. Ci sono, infatti, film girati con il telefono.
Muri, strade e barriere in Mur di Kasia Smutniak
Fin da subito, secondo me, si percepisce l’idea del muro di cui parli nel titolo e che poi racconti nel film. La primissima scena, nel bosco, con i rumori naturali, prima della comparsa del titolo sembra un po’ metterci in guardia da quello che vedremo e da chi incontreremo. Poi ci sei subito te che guardi al computer e ci mostri quello che stai vedendo facendo una ripresa nella ripresa, mettendo quindi una barriera. Il senso è che c’è sempre un muro, ma sta a noi trovare il modo di abbatterlo?
Non l’ho letta così. Io racconto i vari muri, quelli fisici e non. Quella scena iniziale che hai citato si riferisce alla mia ricerca, e si capisce che è un pezzo della mia vita. Sto cercando di trovare informazioni sul muro, si capisce che ci sono poche informazioni, che non ci si può avvicinare alla zona rossa, che le persone muoiono e poi c’è l’introduzione di alcuni protagonisti della storia. Si capisce, secondo me, che io utilizzo i social per arrivare alle informazioni che mi interessano. Le riprese sono fatte da tutti, anche da mia figlia, mio marito. Chiunque poteva fare delle riprese, ho coinvolto tutti.

Quella scena l’ha girata mia figlia. Prima si è fatta una specie di selfie e poi ha fatto la ripresa, ma io vivevo così da mesi, chiedendo loro ogni tanto di girare qualcosa. Ho voluto inserire questa sua faccetta simpatica come a dire che c’è comunque una vita e poi uno cerca di fare una ricerca. Sono immersa in una storia vivendo la mia vita familiare. Ci sono muri visibili e invisibili. Il bosco è un muro difficile da oltrepassare, e un luogo che ha varie linee. Anche le strade sono delle linee geometriche che ho voluto inserire. E poi ci sono i muri invisibili.
A proposito delle strade volevo chiederti qualcosa. Sicuramente sono un elemento che colpisce perché sono molto frequenti, da quelle italiane a quelle polacche, da quelle ben costruite a quelle sterrate. Non avevo considerato l’associazione con delle linee. Le avevo pensate come un contrasto con l’idea del muro. Essendo molto lunghe e sconfinate e non permettendo, in alcuni casi, di vedere la fine, sembrano quasi sinonimo di libertà, in netta contrapposizione con l’idea di muro.
È una scelta perché è un film on the road. Anche il tempo è un momento di respiro. Le strade sono delle linee come i muri, ci sono delle linee verticali, orizzontali, di traverso, strade che dettano il tempo. Il giorno che diventa notte e viceversa. Abbiamo passato ore e ore in macchina, quindi inevitabilmente la macchina è diventata un’altra protagonista del film. Guidare una macchina, poi, è un momento anche di stare con sé stessi, a me piace guidare tantissimo. In macchina mi vengono un sacco di idee.
Contrasti anche visivi
Rimanendo sul discorso delle linee la scena che, secondo me, è una delle più belle in assoluto del film è quella con la ripresa dall’alto subito dopo la tua visita alla zona rossa. Ci sei te che dormi in auto, e noi spettatori vediamo dall’alto la zona di confine. Sembra quasi che tu voglia giocare sui colori. Sembra che la linea separi due luoghi uguali eppure diversi, vicini eppure distanti e lo rendi visivamente in un modo incredibile: le due parti sono una a colori e una in bianco e nero.
Sì, quello è il verde del bosco che poi diventa la terra e si vedono anche delle impronte che escono dal bosco che sembrano le impronte degli uomini che camminano su una terra brulla, marrone (era novembre). Fa molto contrasto.
Queste impronte si scopre che non sono persone, ma sono bisonti. Mi sembrava bello accostare gli esseri umani con gli animali che sono intrappolati e vivono una tragedia parallela.
Quello che hai appena detto mi fa venire in mente i bisonti che incontrate all’inizio del film e che vi sbarrano la strada. Forse volevi creare un’associazione anche dal punto di vista degli ostacoli. A fermarvi sono sia gli esseri umani che gli animali.
È interessante perché fai delle associazioni alle quali non ho pensato. Questa è una tua lettura.
La speranza di Mur e di Kasia Smutniak
Nonostante il film cerchi di illuminare e mettere a conoscenza di quello che succede, la sensazione che si percepisce è spesso quella di paura (è come se fossimo con te in auto, tra le persone, con l’ansia di non poter oltrepassare un confine), ma alla fine a prevalere è la speranza. La speranza che ognuno possa, nel suo piccolo, fare qualcosa.
Io ho voluto raccontare un aspetto preciso. Si dice che gli eroi di oggi non sono certo quelli del passato e che la nuova generazione di ragazzi non ha la stessa forza. Io ho conosciuto persone comuni che fanno delle cose straordinarie e le loro scelte comportano delle conseguenze sulle loro vite. Mi sembrava importante raccontare gli eroi di oggi che io reputo tali e spiegare perché e a cosa vanno incontro e perché lo fanno.
Questo film è dedicato a loro, a questo modo di vivere la propria moralità e la propria coscienza. Un po’ come dice Eva a un certo punto. Lei è lì e sa che fa la cosa giusta. Ho voluto raccontare loro, mi sembrava importante.

Di persone così, però, ce ne sono tantissime. Meriterebbero mille film e per ogni storia ci sarebbe da fare un film. Questo film è dedicato a loro.
Non solo Mur di Kasia Smutniak
Colgo la palla al balzo per una riflessione perché, insieme al tuo film, non si può non citare il film di Agnieszka Holland, The Green Border, presentato a Venezia. È curioso che siano usciti quasi in contemporanea, come una sorta di coalizione. Anzi, magari può essere un modo per aprire la strada verso questo argomento.
Spero che abbiamo aperto la strada, c’è così tanto da raccontare.
Il suo è un film di finzione, con attori, una sceneggiatura e aveva bisogno di maggiore preparazione rispetto al mio. In Polonia è uscito prima, in Italia uscirà l’anno prossimo.
Il mio è un documentario che è stato girato 6 mesi dopo l’inizio della crisi. Raccontiamo praticamente lo stesso momento da due punti di vista diversi e io penso che questi due progetti siano compatibili. Valgono entrambi perché, in qualche modo, sono l’uno l’approfondimento dell’altro.
Poi è curioso anche che siano stati fatti dalle donne. Sottolineerei questa cosa perché io ho sentito una specie di urgenza di raccontarlo e mi rendevo conto e mi rendo conto anche adesso dei rischi e mi prendo tutte le responsabilità. Anche lei in una maniera molto aperta ha realizzato il suo film, rischiando e prendendosi tante critiche da parte del governo, anche minacce.
Ci chiamiamo partner in crime proprio per questo.
Mur uscirà anche in Polonia, se non sbaglio a dicembre. Cosa ti aspetti dal pubblico?
Spero davvero che verrà accolto in una maniera più calma e razionale rispetto a Green Border che è uscito due settimane prima delle elezioni, poi vinte dalla coalizione di sinistra. Quindi siamo in un momento di passaggio con il nuovo governo che, anche se non si è ancora insediato, permette di vedere i primi segnali di cambiamento.
Il film della Holland, nonostante tutto, è stato il secondo incasso dell’anno, dopo Barbie. Vuol dire che le storie importanti, quando ci sono connotazioni storiche giuste, piacciono. In questo senso posso citare il film di Paola Cortellesi che agisce allo stesso modo e riesce ad azzeccare il momento giusto. Sono delle intuizioni, che sono più femminili che maschili. Lei ha preso un tema in quel momento e ha voluto sfruttare quel momento.
Spero che il mio film, essendo il primo documentario che racconta quello che succede e fa vedere le facce delle persone che aiutano illegalmente e rischiano, e queste persone verremo premiati e protetti dal pubblico.
Anche perché tutte le persone che hanno partecipato al documentario, facendo vedere la propria faccia, sono consce del rischio che stanno correndo.
Sono Veronica e qui puoi leggere altri miei articoli