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FESTIVAL DI CINEMA

Venezia.69: “The company you keep” di Robert Redford (Fuori concorso)

Alla nona opera da regista, Robert Redford decide di spostare l’obiettivo a favore dei movimenti di protesta seguenti la guerra in Vietnam. Il punto di vista col quale decide di raccontare questi avvenimenti è quello di un gruppo, in cui quattro persone, in particolare, hanno commesso una rapina in banca degenerata in un omicidio

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il

 

Anno: 2012

Distribuzione: 01 distribution

Durata: 125′

Genere: Thriller

Nazionalità: USA

Regia: Robert Redford

Alla nona opera da regista, Robert Redford decide di spostare l’obiettivo a favore dei movimenti di protesta seguenti la guerra in Vietnam. Movimenti che, al tempo, hanno preso sfaccettature differenti, più o meno passionali ed estremizzate, e hanno quindi causato proteste dall’irruenza più o meno evidente. Il punto di vista col quale decide di raccontare questi avvenimenti è quello di un gruppo di protesta, in cui quattro persone, in particolare, hanno commesso una rapina in banca degenerata in un omicidio. Tre di questi, a 30 anni di distanza, sono ancora latitanti: hanno cambiato nome e si sono rifatti una vita, alcuni di loro intraprendendo rette vie, altri rinnegando le lotte politiche, altri invece perseguendo ancora il fine ultimo della rivoluzione.

La bolla esplode quando un cronista curioso, Ben Shepard (che con la faccia da bravo ragazzo è Shina LaBeouf), spinto dalla prima matura confessione di uno dei latitanti, decide di mettersi sulle tracce degli altri, smascherando così l’identità del rispettabile avvocato e padre di famiglia Jim Grant (Robert Redford). Per Grant inizia una fuga fino al confine con il Canada, per scampare alla giustizia risorta e alle insistenti e puntuali domande di Shepard, il quale rivelerà non solo i segreti sepolti di Grant, ma le motivazioni e l’identità di un movimento di protesta che per essere capito va contestualizzato.

Questa rivendicazione, che infatti Redford opera, non è una fraintendibile difesa del terrorismo: l’errore commesso, loro sono i primi a volerlo pagare. Piuttosto, c’è la volontà di voler dare voce a persone mature che in giovinezza hanno vissuto un passaggio imprescindibile per la storia moderna, che hanno commesso degli errori, ma a cui è lecito offrire una seconda opportunità. “I terroristi giustificano il terrorismo”, ci mette in guardia chi rappresenta la giustizia. Ma esiste anche il diritto alla contestazione che, per quanto abbia superato momenti bui, ha le sue ragioni di esistere.

In realtà il motore emotivo che scatena la vicenda è la sincera volontà da parte di Grant di conservare la sua figura immacolata agli occhi della figlia: egli infatti non è un vero cattivo, ma semmai un cattivello frainteso ed un eccellente, quanto forse edulcorato, padre di famiglia. Pare quindi che a livello di scrittura (completata da Lem Dobbs dall’opera di Neil Gordon) la sua figura non sia stata creata per azzardare e frantumare del tutto l’eroicità all’americana; anzi, l’integrità del suo personaggio viene confermata ben presto per non perdere l’affiliazione dello spettatore.

Pare, alla fine, che per quanto la tensione nell’intreccio lavori a dovere, quest’opera si mantenga cautamente dietro le linee; che i disertori facciano capolino e poi si rinfilino dietro la linea per non suscitare troppo scalpore; che Redford, sebbene abbia scelto di rappresentare una sfaccettatura dell’argomento che ha colmato un vuoto parziale, dall’alto della sua saggezza di personaggio artistico a tutto tondo e poderosamente navigato, non volesse suscitare troppo scalpore né uscire dalle righe della solita narrativa degli affetti e del lieto fine.

Rita Andreetti

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