Nel 2005 Wim Wenders pubblicò A Sense of Place, un’antologia in tedesco che raccoglieva diversi testi sui luoghi, sul cinema e sul rapporto dello stesso regista con gli Stati Uniti. Durante la prima presentazione a Copenaghen del progetto cinematografico, curato dal produttore iraniano Afsun Moshiry, Wenders ha ribadito più volte come la scelta dei luoghi in cui girare un film sia stata sempre fondamentale per lui. Ogni luogo ha un significato specifico che cambia per ogni individuo.
Il documentario è stato presentato il 24 novembre al Nuovo Cinema Aquila in occasione del Rome Independent Film Festival.
Un collage di sei cortometraggi
I sei cortometraggi di cui si compone il film collettivo omonimo, si ispirano al libro nel tratteggiare un itinerario di viaggio dall’Iran all’Europa. I sei autori sono registi nati e cresciuti in Iran, alcuni esiliati tra Francia e Germania. Il film va oltre il genere documentaristico, ponendosi come una sorta di esperimento audiovisivo riuscito. Ci dimostra come uno stesso luogo può cambiare visto da sguardi diversi.
Oltre la filosofia dei luoghi dell’anima, è anche la sottotraccia politica a profilarsi, soprattutto nella rappresentazione della condizione di transito dall’Oriente all’Occidente.
A Sense of Place
Prima tappa: Iran
Il viaggio inizia in Iran con Hollow (15’) di Mohammad Reza Farzad. Il regista sceglie di raccontare tre luoghi in particolare: un villaggio, un museo, un grande complesso residenziale e il cimitero di Behesht-e Zahra, il più grande del paese. Ognuno di essi custodisce una piccola parte dell’anima iraniana, colta in particolari minimi come un angolo di muro crepato senza via di fuga verso la luce esterna.
In The Density of Emptiness (19’), Shirin Berghnavard riprende una Teheran bianca. In un glaciale skyline di palazzoni accatastati, avvicinate lentamente da un movimento di macchina cadenzato, svettano due alti palazzi in costruzione, palazzi probabilmente distrutti. Sembrano gli spettri delle Torri Gemelle, tra di loro un vuoto che riempiranno le storie di coloro che abitano la città, alle torri si sostituisce la proiezione di rullini sviluppati in cui si susseguono scene di una quotidianità spezzata.
Direzione: Europa
Dai luoghi si passa ai non luoghi con Port of Memory (13’) della regista Mina Keshavarz, una riflessione poetica sul legame tra luogo e memoria. Sulla ricostruzione dopo il disfacimento, mentre con In Transit di Azin Feizabadi si arriva al viaggio vero e proprio, ai volti dagli sguardi persi in aeroporto, il non luogo per eccellenza dove le attese sono infinite, il senso di apparenza lontano, le speranze per un nuovo luogo d’inizio incerte.
Il punto di arrivo del viaggio è una Parigi periferica e industrializzata, nel corto Mal Tourné, dove un incontro mancato con una comunità di rifugiati diventa il pretesto per rappresentare un luogo di passaggio dove si disperdono le individualità.