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Conversation

‘Amen’ conversazione con Andrea Baroni

Presentato in anteprima al Torino Film Festival, Amen di Andrea Baroni racconta gli anni spezzati di tre adolescenti alle prese con la scoperta del desiderio e della sua negazione. Del film abbiamo parlato con il regista

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Presentato in anteprima al Torino Film Festival nella sezione Fuori Concorso Opere Prime Italiane e al cinema dal 20 Giugno distribuito da Fandango, Amen racconta la trasmissione del male attraverso una storia di desideri e sensi di colpa.

Del film abbiamo parlato con il regista Andrea Baroni, esordio nel lungometraggio.

Fandango – Sito Ufficiale

Amen di Andrea Baroni

In Amen non c’è traccia del passato dei protagonisti, fatta eccezione per la scena dapertura che fa da antefatto alla storia, stabilendo il principio di trasmissione del male. Linizio è anche importante nel segnare la forma narrativa che di lì in poi procede per archetipi. 

È così. In effetti in quell’inizio c’è una sorta di genetica della colpa che può far parte dell’essere umano. Non esiste una vera e propria trasmissione del male, piuttosto la definirei come passaggio di un credo, qualsiasi esso sia. E, al di là del contesto di cui parla il film, può essere religioso, sociale, politico o morale. Penso che Amen sia, in piccola percentuale, anche un’analisi non cercata su quanto ricevuto negli anni di apprendimento scolastico e religioso. Gli archetipi ne sono una parte fondamentale. La colpa dei nostri padri, nello specifico, è qualcosa con cui fare i conti, prima o poi nella vita. E questo aspetto ha a che fare con il libero arbitrio che scaturisce dalla nostra crescita rispetto alla trasmissione del credo.

A questo proposito mi sembra di poter dire che lintera messa in scena risponde a questo principio. I limiti spaziali e la sospensione temporale, ma anche lisolamento dei protagonisti, rimanda a quello stato dellanima e, in particolare, al senso di colpa che di fatto ci rende tutti prigionieri.

Più che ragionare sulla colpa, insita primariamente nelle nostre vite, mi interessava esplorare il limite che ne derivava. E per farlo ho circoscritto lo spazio d’azione. Mi serviva un recinto da voler violare e abbattere. Grazie a quello, potevo intuire la volontà del singolo personaggio nel volerlo superare e allo stesso tempo valutare la paura e la conseguenza che quella trasgressione avrebbe generato. Non a caso le tre sorelle reagiscono in maniera diversa all’indottrinamento, ai divieti in genere. Ester, la ribelle, è deliberatamente contro sin dall’inizio, come se qualcosa fosse già successo nel rapporto con l’autorità. Arriva a essere autodistruttiva nella volontà di travalicare il limite psicologico e religioso. Sara, invece, vive il dubbio, sente il peso della conseguenza e dell’insegnamento. Sa che anche il solo pensiero avverso all’ordine merita una punizione e quindi una redenzione. Infine Miriam, la più piccola, è invece pervasa totalmente dalla bontà delle parole degli insegnamenti. Crede puramente. Queste tre posizioni riassumono una serie di archetipi che reagiscono all’ordine dato.

L’ineluttabilità del male

Il campo lungo conclusivo, con la nonna che osserva la sorella più piccola nascosta tra gli stessi alberi in cui si isolava Sara la dice lunga sullineluttabilità del male, ma anche sullimpossibilità di tenere a freno pulsioni e desideri umani. Come le sue sorelle anche Miriam è destinata a percorre il medesimo destino.   

Quello che raccontiamo è una sorta di eterno ritorno, è qualcosa già scritto nella genetica della piccola Miriam, destinata forse a ripercorre i comportamenti delle sorelle, dunque hai colto in maniera perfetta il significato della scena finale. Miriam in quel momento guarda al di là del limite. Forse vorrebbe scappare perché eccitata dal nuovo, poi però scopre lo sguardo della nonna e rinuncia. Quella del superamento del limite è una scelta che compiamo più e più volte nella vita: la verità, secondo me, è che, con il passare degli anni, ce ne accorgiamo meno o scegliamo di superarlo il meno possibile. Le strade e le scelte sembrano più pesanti e definite, e quelle decise precedentemente sono incise come binari dei treni.

Il maschile in Amen di Andrea Baroni

Abbiamo accennato alla scelta di una narrazione che procede per archetipi. In tale direzione va anche la rappresentazione del maschile e in particolare quella di Primo, il forestiero che a un certo punto si inserisce nel consesso famigliare alterandone gli equilibri. Tu lo presenti privo di qualsiasi attrattiva estetica enfatizzandone la carnale primordialità, quella destinata a scatenare il desiderio femminile nella riproposizione del tema della genesi relativo al frutto proibito. 

Esatto. Per Primo la reference iniziale era ancora più estrema: il Salvatore interpretato da Ron Perlman ne Il nome della rosa.
Volevo raccontare i pezzi di corpo di questo essere bestiale, brutto e del tutto istintivo. Poi ho capito che non sarebbe servito affondare così tanto il colpo. Ho amato Primo come si ama un fratello minore. E le sorelle lo hanno amato in maniera diversa. Chi come chimera del desiderio sessuale, chi come punto di riferimento nell’universo amoroso e infine chi come compagno di giochi. Lo hanno guardato con occhi diversi, e singolarmente ne scoprivano pezzi che non formavano mai lo stesso puzzle. Ma tutte e tre, come nella natura dell’essere umano, curiose di sperimentare il nuovo e il proibito.

Questo tipo di rappresentazione ti permette di risolvere a monte la questione relativa allesposizione dei corpi. Le pulsioni della carne e le sue conseguenze sono contenute indirettamente nel punto di vista della ragazze sul corpo di Primo. Senza bisogno di esporre i corpi riesci a ottenere lo stesso risultato.

Proprio così. Pensavo sarebbe stato interessante far immaginare il tutto attraverso lo sguardo delle ragazze. Agli attori ho chiesto di diventare animali, governati solo dall’istinto. Anche nelle scene più sensuali manca un gesto di vicinanza, un abbraccio, un bacio. Al loro posto trova spazio la voglia di guardare il sesso che diventa un’esigenza brutale e che travalica l’idea del bello.

Sacro e profano nel film di Andrea Baroni

In Amen c’è una sequenza molto bella e importante che riassume la mescolanza tra sacro e profano su cui è costruito il film. Parlo del momento in cui vediamo Sara incorniciata tra cielo e ulivi, con il sole che ne avvolge il volto come una sorta di aureola. Limmagine di santità è pero interrotta dall’impulso improvviso che porta la ragazza a mordere avidamente la polpa di un fico, chiara allusione al bruciante richiamo di una sessualità tutta terrena. Peraltro la scena, nella sua allusione, mi ha ricordato Il gusto dell’anguria di Tsai Ming-liang.

Ancora bravo, ti faccio i complimenti per aver colto il significato della sequenza. Per me rappresenta un vero e proprio ritorno sulla Terra, dalla possibile Santità alla lotta per domare l’istinto. Il contatto con la terra, il fatto che Sara cerchi ardentemente di nasconderci i piedi e di mangiare i suoi frutti, raccontano della nostra paura di rapportarci con qualcosa di alto e trascendente. Vorremmo, ma appena ne entriamo in contatto, cerchiamo di tornare uomini. E allora sono reali solo lo stomaco e i genitali. Grace Ambrose, che interpreta Sara, è stata bravissima; in quella giornata di riprese era particolarmente in contatto con una parte più alta.Sentivo il suo misticismo e le ho chiesto di muoversi al di là della terra che toccava.

Il femminile

La scelta di Silvia D’Amico per la scena introduttiva è una mossa a effetto perché il suo è un volto che non si può dimenticare allo stesso modo in cui lo è il peccato originale che ricade sulle figlie. Come in Comandante anche in Amen la sua è unapparizione che rimane impressa nella mente dello spettatore. 

Silvia è stata soprattutto un’amica accorsa in aiuto: non ha esitato un attimo quando le ho chiesto di partecipare. La sua scena è paradigmatica, ci sono tutti gli ingredienti che ritroveremo negli 80 minuti successivi. Come fosse un corto, un prologo a sé stante. E lei è stata formidabile sin dal primo ciak, tant’è che non ne abbiamo fatti molti altri. A mio giudizio possiede una sensualità mistica che ancora non abbiamo scoperto. Mi piacerebbe portarla su un terreno del genere prossimamente, per questo assaggio meraviglioso che mi ha concesso.

Nel film molti dei movimenti di macchina sembrano spiare le ragazze mettendo in moto il voyeurismo necessario a restituire il senso del proibito che si instaura tra quando, chiuse nella loro stanza, iniziano a fantasticare su Primo.  

In quel caso avevo molto chiaro il punto di vista di Sara che continuava a spiare la sorella per dare sfogo a una pulsione sempre più palese e che raggiunge l’apice quando vede Ester fare sesso con Primo. Però poi quello stesso punto di vista diventa centrale nella ricerca della nonna rispetto alle nipoti. Le spia, le mette alla prova, le vuole portare a essere giudicate, come era stato per la madre. Spesso il dogma ti guarda e ti giudica. E quei movimenti di macchina dovevano rappresentare una coscienza morale propria della nostra società.

L’ambiente e i richiami del film

Scegli di ambientare la storia in una campagna abbandonata, desolata e decadente in cui il rapporto tra gli uomini e la terra è a dir poco complicato. Così facendo e restando allinterno dei temi trattati dal film quello che metti in scena è una sorta di paradiso perduto. 

Sicuramente è un mondo a sé stante, però più che un paradiso perduto per me si tratta di un territorio di mezzo dove la natura è di stampo herzoghiano. Da temere ed esserne spaventati. Fatale se non si rimane più che vigili. Le location mi hanno ricordato quelle del litorale romano in cui passavamo le vacanze estive e nel film c’è il ricordo di una mia paura atavica verso terra e animali. In questo senso, più che un paradiso, lo spazio del film è un purgatorio nel quale le tre sorelle sono messe alla prova.

Parlando delle reference del film mi vengono in mente Buio di Emanuela Rossi e Il giardino delle Vergini suicide di Sofia Coppola. 

Quando scrivo lo faccio di getto. Come fosse un bisogno impellente e istintivo. Quasi non elaboro. In questo caso le suggestioni mi sono state suggerite dai luoghi della storia. Amen è stato scritto in sole due settimane e non ho avuto nessuna vera reference da seguire. All’inizio pensavo di girare un cortometraggio, ma quei posti sono stati una fonte inesauribile di ispirazione, mi parlavano del mio ricordo dell’adolescenza. Respiravo quegli stessi odori e cicale e grilli mi portavano in pochi secondi in un mondo parallelo e antico. A parte questo, a influenzarmi in un modo che non saprei dirti sono stati in qualche maniera Ozu Haneke. Il senso di costrizione e limite di Isabelle Huppert ne La Pianista erano e sono continuamente nella mia testa. Confrontandomi con gli altri reparti che hanno lavorato al film, invece usciva sempre fuori Il giardino delle vergine suicide, il film della Coppola, e dentro di me so esserci anche La notte brava del soldato Jonathan, dove un giovane Clint Eastwood arriva ferito in un collegio femminile e si deve nascondere. Infine devo anche qualcosa anche alla sensazione che, ancora diciottenne, mi diede il film irlandese Magdalene, dove tre ragazze vengono ripudiate e chiuse in un convento.

Musica e attori

Ho trovato molto particolare la scelta di una colonna sonora in cui sono presenti molte canzoni degli anni ’70. In particolare quelle di Patty Pravo e Dalida.  

È stata una mia precisa volontà, quella di dare allo spettatore un minimo aggancio rispetto all’epoca, il 1978, in cui si può ipotizzare, si svolga la storia. In questo non luogo e non tempo la radio e la musica sono gli unici due elementi che lo contestualizzano. Vivendo un po’ a Parigi, ho conosciuto profondamente la passione per Dalida. La ascolto spesso. Una Bambola e Pensiero stupendo di Patty PravoGigi l’amoroso di Dalida fanno in qualche maniera parte della mia storia personale.

Gli attori sono tutti molto bravi però era chiesto soprattutto a Grace Ambrose, nella parte di Sara, e a Francesca Carrain, in quella di Ester, la responsabilità di esprimere al meglio il tormento e l’estasi dei loro personaggi.

Grace e Francesca, come del resto tutti gli altri interpreti hanno facilitato il mio compito: si sono fidati di me, nonostante il mondo nuovo e respingete. Insieme a loro abbiamo esplorato i limiti affrontati dalle ragazze: quello religioso così come quello sessuale. Le poche prove che abbiamo fatto prima delle riprese ci sono servite per cercare di diventare una famiglia e stabilire quel livello di confidenza necessaria. Nella provocazioni di Ester verso la famiglia, Francesca ha toccato delle corde che conosceva molto bene. Quando ho capito quanto in profondità sarebbe potuta arrivare, mi sono divertito nel vederla scendere di volta in volta ad un livello diverso. Grace, invece, aveva il compito più difficile, quello dell’eroina scossa dal dubbio. Con lei è stato meno facile arrivare a capire quale fosse il suo tormento principale.

Il cinema di Andrea Baroni

Parliamo del cinema che ti piace.

Sono un onnivoro, qualche anno passato a fare critica cinematografica mi ha insegnato ad amare gli errori e le imperfezioni dei film. Ne cerco il cuore, il lato positivo, al di là del tutto. Non ti nascondo che nasco profondamente morettiano e sogno, un giorno, di fargli vedere il film. Per me è stato come un padre mai conosciuto. E poi mi piace il cinema che cerca un ingaggio con lo spettatore, che ti mette in difficoltà e ti costringe a pensarlo anche a giorni di distanza. Mi piace la suggestione della messa in scena molto più di una coerenza di scrittura che spesso sa di formula. Rimanendo in Italia, ultimamente adoro Alice Rohrwacher e Pietro Marcello. In famiglia, con i miei figli, guardiamo come pazzi scatenati Miyazaki, JumanjiJurassik ParkTaron e la pentola magica Basil l’investigatopo.

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Amen di Andrea Baroni

  • Anno: 2027
  • Durata: 89'
  • Distribuzione: Fandango
  • Genere: drammatico
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Andrea Baroni