Due occhi distrutti, pieni di lacrime, sono quelli di una donna, Sara, seduta su un freddo pavimento, in bagno. Occhi che guardano dritti in macchina, rivolti al pubblico. Non una parola, solo il suono dei singhiozzi e uno sguardo distrutto, i capelli scompigliati. É così che Alessio Cremonini decide di aprire Profeti, la sua nuova opera come sempre impegnata in una lotta muta, ma incredibilmente assordante. La struggente pellicola, uscita nelle sale a dicembre del 2022, arriva anche su Sky.
Ancora una volta Cremonini si impegna nel sociale, raccontando la storia di due donne diverse, si potrebbe dire opposte, eppure in fondo simili. La giornalista italiana Sara (Jasmine Trinca) è in Medio Oriente per documentare la guerra in Siria. É il 2015. Rapita e incarcerata dall’ISIS, si ritrova costretta ad obbedire alle regole imposte dalla cultura araba sulle donne. Dopo due settimane di prigionia, nelle quali non può mostrare il suo volto, nascosto da una coperta grigia, scura, viene portata via. Rinchiusa in una casa di sole donne, convive con Nur (Isabella Nefar), una foreign fighter che, sposato un miliziano, è stata trasferita nel Califfato, chiusa in casa, nascosta mentre fuori la guerra imperversa. La donna ha una missione: convertire Sara, sua “ospite” per inglobarla nella guerriglia fondamentalista.
Per Cremonini il cinema è un’indagine. E come un narratore neutro, mostra ciò che accade, e lascia che il giudice sia chi guarda. Con inquadrature spesso larghe, statiche, immobili, che lasciano spazio per osservare, captare e comprendere, per formulare un’idea. Un punto di vista che spesso, dall’alto, guarda senza nascondersi. E poi l’uso fulmineo delle soggettive di Sara, che esprimono l’urgenza di un urlo strozzato.
Profeti racconta così la violenza: quella della guerra, quella subita dalle donne in quel contesto, oppresse, quella inflitta agli innocenti, ai civili, ai giornalisti, alle povere vite senza colpa; quella psicologica, della manipolazione che devia le menti dell’uomo. Una violenza che, però, non viene spiattellata sullo schermo. Al contrario, non è mai realmente mostrata. É raccontata, attraverso le parole dei personaggi, e sentita, attraverso le loro urla. É una violenza velata, tale da riuscire ad esser così ancora più potente.
Con una recitazione scarna, tutto il contesto risulta teatralmente equilibrato, senza mai risultare banale, bensì restituendo una visione raffinata. A tratti si affaccia all’onirico attraverso la dimensione soggettivistica e del sogno, un riflesso a metà, diviso da uno specchio rotto: i volti delle due donne, diverse, ma entrambe immerse in una realtà oppressiva.
Cremonini rimane ai margini, distante, ma inevitabilmente presente, caldo. Racconta freddamente ciò che accade. Ma è un ghiaccio che scotta. Porge allo spettatore una storia che racconta di fatti reali, e non usa filtri. Diventa lo spettatore stesso protagonista, inerme davanti a ciò che accade. Questa è la potenza del cinema del regista romano.