The Crown 6: la recensione dell’ultima stagione. Su Netflix

The Crown 6 è una serie televisiva britannica e statunitense prodotta dalla Left Bank Pictures e dalla Sony Pictures Television per Netflix.

Lo show è stato acclamato fin dal suo esordio nel 2016 per le interpretazioni degli attori (su tutti, Claire Foy, Olivia Coleman, Helen Bonham Carter, John Lithgow) e per la cura sia nei dialoghi che nella scelta degli interpreti (diversi per ogni stagione a seconda del trascorrere del tempo) per mettere in scena fatti della storia più o meno recente.

The Crown è al sedicesimo posto tra le 100 serie migliori del XXI secolo secondo la BBC (classifica che vede al primo posto The Wire, al secondo Mad Men, al settimo The Leftovers e al decimo Succession).

L’ultima stagione è disponibile su Netflix dal 16 novembre con i primi quattro episodi e dal 14 dicembre con quelli finali.

UNA SERIE CORAGGIOSA

Senza nessun dubbio, The Crown, la serie ideata, creata e principalmente scritta da Peter Morgan, di rischi addosso ne ha presi tanti.

Prima di tutto, l’oggetto stesso della serie: il racconto senza veli della famiglia reale più nota al mondo, con tutte le conseguenze che una cosa del genere può generare.

Poi il fatto di voler raggiungere la storia moderna a tutti i costi, affiancandosi a fatti di cronaca più o meno contemporanei (e si sa che raccontare quello che ci sta intorno è uno dei temi più difficili nell’audiovisivo).

Per ultimo, ma non da ultimo, raccontare uno dei personaggi e dei fatti più discussi della storia moderna, ovvero Lady D -al secolo Diana Spencer- senza soprattutto tralasciare la sua tragica morte, comprese le circostanze.

The Crown 6 (che sarà programmaticamente anche l’ultima) si prende allora addosso gran parte del peso, senza tralasciare neanche il basso gradimento degli episodi che l’hanno preceduta: una quinta stagione che contraddiceva la filosofia dello show -vincente e convincente- per cui si erano cautamente utilizzati volti ed interpreti non noti per dare ancora più inspessimento alla tessitura drammaturgica senza condizionamenti.

Allora Imelda Staunton, Jonathan Pryce, Dominic West ed Elizabeth Debicki giocano il tutto per tutto e si lanciano spericolati nella narrazione che poteva sembrare una ennesima cronaca ma diventa, sul filo di lana, racconto accorato e prodotto di punta di Netflix.

Ci vuole coraggio a sfidare il gusto del pubblico e mettere in primissimo piano Dodi Al Fayed, la folle corsa in macchina, Parigi e i dolori di una Lady Diana sempre più tormentata, proprio perché fatti e persone fissati nell’immaginario collettivo.

Proprio per questo, The Crown 6 sfida il buon senso e con coraggio e intelligenza porta a casa un risultato più che positivo nonostante si decida di trattare la morte della principessa (e tutto quello che precede e consegue) mettendola in primissimo piano, pur potendo magari scegliere una vista di sbieco.

Forse però è stato proprio il rischio controllato a far tornare, nella sceneggiatura, quella scrittura brillante e raffinata che aveva fatto amare i primi 40 episodi della serie; che non dimentica la dimensione sociale e sociologica dei fatti e dei personaggi, eppure triangola alla perfezione le dinamiche interpersonali e racconta, in punta di penna, le psicologie delle pedine sulla scacchiera.

L’ultima stagione pone molti spunti interessanti, a partire dalle due tematiche principali attorno alle quali sembrano avvolgersi gli avvenimenti: la comunicazione e la morte.

Se la prima è chiara fin dal titolo del secondo episodio, e continua a strisciare sottopelle per tutto il racconto come trait d’union tra le varie epoche storiche e le necessità della corona, la morte sembra aleggiare sulla storia da subito, con premonizioni e sguardi liquidi di lacrime non versate, trovando un suo culmine nella seconda parte, forse più centrata e vibrante.

E permettendo a West di farsi perdonare il suo clamoroso miscasting con un’interpretazione efficacissima.