In concorso per l’Ulivo d’Oro al Festival del Cinema Europeo, Solitude di Ninna Pálmadóttir su una sceneggiatura di Runar Runarsson. Una produzione islandese con la Pegasus Pictures co-prodotto dalla francese Jour2fete e la slovacca Nutprodukcia.
IL TRAILER – SOLITUDE
Il viaggio del solitario e il mentore bambino
Il film della regista islandese basa il suo racconto sul viaggio in solitaria del protagonista Gunnar. In Solitude è un uomo taciturno, barbuto e lasciato a se stesso dagli eventi. I quali sono immediati. Infatti l’opera propone da subito il processo di cambiamento del mondo ordinario del protagonista. Gunnar è un contadino espropriato dalla sua casa sull’acqua dallo stato islandese. Con i soldi ricevuti inizia una nuova vita in città comprando. casa. Mantiene però il proprio impianto di solitudine, quasi ascetico, rinchiudendosi in se stesso e decidendo di non avere contatti con nessuno.
L’incontro fortuito con il bambino Ari, vicino di casa, sedimenta il viaggio del personaggio del film. Perché Solitude si basa su un Gunnar dimesso, legato inesorabilmente alla sua scelta di solitudine. Ma la conoscenza col bambino Ari fa riscoprire a Gunnar l’inizio di una nuova felicità. Partendo da una diffidenza iniziale nell’apertura al mondo esterno, l’uomo man mano apprezza il rapporto col ragazzo. Il tempo che passa assieme a lui, attraverso le serate a scacchi, gli fa scorgere una nuova fase della sua vita. Una porta che sembra chiudersi sul passato e aprirsi sul presente.
Un nuovo nucleo famigliare – Solitude
Come Alice nelle città di Wim Wenders, Ninna Pálmadóttir accompagna il suo eroe solitario verso una nuova ridefinizione di sé. Gunnar sblocca la propria prigione emotiva facendosi guidare dalla genuinità del suo piccolo co-protagonista. In ciò gioca un ruolo centrale la contrapposizione tra l’uomo e il piccolo e i genitori di Ari. Il loro figlio viene nella pratica scaricato dalla madre a Gunnar, anche in conseguenza di un padre assente, fornendo un ritratto contemporaneo della separazione famigliare. Il film inserisce l’uomo solitario in un nuovo quadro famigliare che vede lui e Ari nella nuova famiglia, con quella del bambino ridimensionata, quasi accessoria.
Il ritorno nel passato, la difficoltà nell’andare oltre
Ad un certo punto Solitude cerca di virare sulla componente politica, inserendo il problema dei rifugiati e le proteste che il personaggio principale cerca di supportare dilapidando il proprio patrimonio. Ma il film della Pálmadóttir non ha intenzione politica e ritorna sulla fine del viaggio dell’eroe solitario. Danneggiato dal suo stesso silenzio che non riesce a fargli evitare l’equivoco delle molestie sul piccolo Ari. Nel film ricorre l’immagine del cavallo come attaccamento di Gunnar alla sua vita ascetica originaria, che verso fine film cerca di sprofondare nel mare per concludere il suo percorso di sola andata. Ma il senso del film risiede nella sua regressione, nella sua immobilità incentrata sull’infelicità che sembra perpetua. Ed è quindi significativa la scena finale che ci riporta un espediente registico usato molto bene da Ninna Pálmadóttir. Come se fosse un personaggio hitchcockiano, Gunnar guarda dalla sua finestra la composizione e il disfacimento del suo nucleo famigliare formato con Ari. Sognando un chiarimento scenico mentre il realismo del film lo riporta alla condizione dell’uomo solitario visto all’ inizio.