In Onimusha fin dai primi episodi emerge un’ambientazione suggestiva, immersa nella ruralità del periodo Edo. Boschi, foreste, corsi d’acqua, palazzi e templi sono rappresentati con un tratto pastello, una scelta semplice ma allo stesso tempo idilliaca. Questo conferisce al contesto una naturalezza accentuata dai colori tenui, sapientemente opacizzati dal tratto manuale, ma al contempo ben realizzati.
I personaggi, invece, sono resi in 3D mediante la tecnologia CGI, con il protagonista che riprende le fattezze di Toshirō Mifune, celebre attore giapponese noto per i suoi ruoli in opere come I Sette Samurai (1954), La Sfida del Samurai (1961) e Barbarossa (1965). La precisione nella creazione dei personaggi su uno sfondo così semplice è notevole, creando un effetto visivo che valorizza il disegno stesso.
Tuttavia, un punto debole emerge nell’espressività dei personaggi. In diverse occasioni, sembra di osservare bambole di ceramica che cercano di imitare le espressioni umane, non raggiungendo la magnifica espressività tipica di maestri dell’animazione come Eiichirō Oda (One Piece), Atsushi Ōkubo (Soul Eater) o Kōhei Horikoshi (My Hero Academia).
I costumi, rispecchiando la moda compresa tra il 1603 e il 1868, mancano di un tocco distintivo, fatta eccezione per alcuni personaggi principali che presentano segni caratteristici, ma poco impattanti. I movimenti e l’impostazione fisica sono ben adattati alle scene d’azione, anche se alcuni colpi e particolari non si discostano da altri prodotti già visti e più accuratamente strutturati. Tuttavia, gli scontri con la spada risultano piacevoli, con evoluzioni ben calibrate e un impatto scenico moderato ma efficace.
Miyamoto Musashi in Onimusha
Una trama fragile e lineare
Onimusha, sebbene originato da un videogioco, fattore spesso oggetto di critiche feroci da parte dei fan del gaming, per l’assenza di prodotti simili su Netflix, avrebbe potuto segnare una svolta nella categoria anime. La regia e la sceneggiatura arricchiscono la trama del videogioco, riportando i protagonisti dall’epoca Sengoku (ambientazione dei videogame) all’epoca Edo, iniziata con lo Shogunato di Tokugawa, periodo in cui il leggendario samurai Miyamoto Musashi è effettivamente vissuto.
Questo connubio tra finzione e realtà avrebbe dovuto conferire all’opera un forte spessore, con chiari richiami al passato accostati a scenari fantasiosi totalmente estranei al contesto storico. Tuttavia, Onimusha si rivela essere troppo fragile, lineare e a tratti sterile. I numerosi flashback, pur cercando di spiegare l’intera trama, risultano spesso confusi e poco dettagliati, offrendo informazioni su un racconto che sin dal primo episodio sembra essere la continuazione di una stagione precedente.
Le poche informazioni e gli scontri repentini rendono l’aspetto action fugace, ridotto all’osso, spesso carente di sfumature, deludendo le aspettative su possibili colpi di scena. Per quanto riguarda il plot, è interessante esaminare l’aspetto storiografico, ma purtroppo anche questo risulta carente di dettagli significativi. D’altra parte, il confronto tra bene e male, tra demoni e esseri sovrannaturali, non apporta nulla di innovativo, risultando piuttosto un’ennesima riproposizione priva di una degna e concreta evoluzione.
Nell’universo degli anime, che si distingue per offrire realtà alternative, battaglie al limite dell’impossibile, e personaggi dalle infinite fisionomie, è essenziale un incipit tematico forte, capace di suscitare emozioni e di presentare peculiarità che conquistino il pubblico. Onimusha, tuttavia, sembra allontanarsi da queste aspettative, creando un prodotto che non riesce a coinvolgere nuovi appassionati nel genere e che, sebbene possa piacere ai veterani, non offre nulla di nuovo rispetto a lavori precedenti, meglio realizzati.