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‘La ricomparsa delle lucciole’ intervista con il regista Cristiano Giamporcaro

E' stato uno dei due titoli italiani nel concorso internazionale del Festival dei popoli 2023 e adesso è nella sezione fuori concorso del Sole Luna Doc Film Festival: il film è di un giovanissimo neodiplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo

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cristiano giamporcaro

La ricomparsa delle lucciole è il documentario di Cristiano Giamporcaro presentato al Festival dei popoli 2023 e adesso fuori concorso al Sole Luna Doc Film Festival 2024. Il film, che segna l’esordio alla regia del giovane regista, è stato inserito all’interno del concorso internazionale per il festival toscano e in quello fuori concorso per il festival siciliano. Il paesaggio asciutto dell’entroterra siciliano, accidentato da edifici dall’aria spettrale, accoglie Giorgio, un ragazzino di dieci anni, e un anziano pastore, la cui quotidianità si dipana tra i versanti delle colline, attraversate da serpentoni stradali che scivolano via silenziosi.

Per capire meglio il documentario abbiamo fatto alcune domande al regista Cristiano Giamporcaro.

La ricomparsa delle lucciole di Cristiano Giamporcaro

La ricomparsa delle lucciole segna il tuo esordio alla regia, anche se non sembra un esordio perché il documentario è un film già molto maturo. Com’è nata l’idea?

Il film è quello che ho portato in occasione del diploma per il centro sperimentale.

Tutto è cominciato con una ricerca fatta nell’ottobre-novembre 2021 su un altro film. Era una co-regia con un altro collega, nello stesso luogo, ma con un altro focus, nel quale c’era il racconto delle vite che attraversano quel determinato territorio legato sia ai meccanismi del passato sia a pratiche di modernizzazione. Poi ci siamo separati e ognuno ha continuato per la propria strada.

A quel punto, però, io mi sono ritrovato senza avere in mano niente a marzo 2022. Ho continuato a frequentare questi luoghi e ho incontrato Giorgio, il bambino protagonista, molto curioso ed energico. Inizialmente non c’era un focus preciso: giravo la sua quotidianità, ma non mi era ben chiaro quello che stavo facendo. Poi, a poco a poco, anche grazie a lui, abbiamo iniziato a tessere un’idea. In una notte ho pensato all’articolo di Pasolini dal quale ho ripreso il titolo ribaltandolo. Ragionavo sul fatto che in questo luogo, in realtà, quello che viene descritto nell’articolo, cioè questo allontanamento dalla cultura contadina, non è mai avvenuto del tutto, in quel paesino. Lì è rimasto un attaccamento fortissimo nei confronti della terra e di tutti quei racconti che ne parlano. Partendo da qui abbiamo scritto questa favola.

I protagonisti

Mi collego a quello che hai detto a proposito dello spazio che è uno dei protagonisti del documentario e che sembra risucchiare ogni volta la persona protagonista della scena. Per esempio, si vedono spesso degli spazi enormi e sconfinati che fanno da contraltare agli esseri umani, quasi inermi di fronte a tale grandezza, che ritornano anche nel momento del racconto della favola. Lì, in particolare, c’è un’alternanza tra cielo e terra. A tal proposito, penso che il momento del racconto da parte del fratello maggiore di Giorgio si possa considerare come la rappresentazione di tutto il resto del film, di quello che abbiamo visto e di quello che vedremo.

Sì, si può considerare in questo modo e poi quel momento è molto autobiografico perché io sono cresciuto come Giorgio, vengo anch’io dall’entroterra siciliano e la mia infanzia l’ho spesa in campagna in maniera abbastanza libera. Ad oggi, ripensando al vuoto cosmico, mi viene da dire che quando c’è un fratello maggiore che tramanda la tradizione è importante ed è un momento a cui legarsi molto.

Poi quella è la loro vita: Mario e Giorgio hanno questo rapporto in cui passano le sere insieme e il più grande ha la possibilità di spiegare al più piccolo il mondo.

A questo punto, quindi, la risposta alla domanda perché hai scelto un bambino come protagonista mi sembra ovvia: perché sei, in parte, te quel bambino. Nonostante ciò penso che la figura di Giorgio si possa anche considerare come una sorta di metafora dello scoprire, dell’essere affascinato dalla novità, come se lui rappresentasse l’ingenuità e l’innocenza del bambino che scopre il mondo un po’ alla volta.

Sì, è così.

In generale i due personaggi principali sono il pastore, di 86 anni, e il bambino. Il pastore, in realtà, è curioso quanto Giorgio, ma, a differenza sua, è nato lì, ha vissuto lì e ha fatto (e continua a fare) questo da tutta la vita. Gli altri fratelli prima di lui erano pastori e, quindi, ha un altro tipo di approccio alla vita, totalmente diverso dal nostro. Ed è l’unico pastore che ho conosciuto che vive ancora così. Prima di incontrare lui stavo girando con un altro pastore diverso perché aveva una realtà familiare e tecnologica accanto. Questo, invece, è totalmente anomalo; è la rappresentazione perfetta sia della natura che del contadino ottocentesco siciliano.

cristiano giamporcaro

Il bambino, invece, è un bambino del 2022 di 10 anni che prova, durante l’estate, a ritornare ad avere un contatto con quello che gli sta attorno, sempre con una dinamica di gioco.

L’ho scelto sia per ragioni autobiografiche e perché mi ci sono affezionato, sia per ragioni legate a quello che volevo raccontare. In conclusione sia lui che il pastore si fanno rappresentazione di dinamiche e punti di vista.

E poi sono due generazioni opposte, ma sono anche due esseri universali. Mi viene in mente, a tal proposito, la scena del bambino che all’inizio gioca a calcio ed è qualcosa che farebbe qualsiasi bambino in qualsiasi parte del mondo. Potrebbe davvero essere chiunque intento a scoprire il mondo.

Esatto. Poi ho evitato di entrare troppo nel particolare delle loro vite perché a quel punto diventava la loro vita e non quello che magari ognuno di noi ha potuto vivere e il film sarebbe andato in un’altra direzione.

Silenzio e rumore

A livello più stilistico volevo chiederti del rapporto tra rumore e silenzio che c’è nel film. In generale non ricorri quasi mai alla musica, ma prediligi suoni naturali che rendono ancora più reale e magico il tutto.

Molti sono suoni sono in presa diretta, solo a volte sono state aggiunte cose che sono degli ambienti. La scena degli alberi, per esempio, è stata una delle più difficili. Così come quella delle lucciole che abbiamo cambiato perché io volevo che si sentisse da lontano una volpe perché da piccolo, intorno alla mia campagna, quando c’erano le lucciole c’era anche una volpe.

Ci sono comunque delle scene più osservative e altre più creative.

Con il pastore, per esempio, è stato difficile girare anche perché lui non parla italiano. Parla solo in dialetto siciliano stretto (più arcaico del mio) e facevamo fatica a capirci. Poi c’è da considerare il fatto che lui ha dei ritmi ben precisi. Se con Giorgio facevamo un lavoro insieme, con il pastore era un inseguimento come se fosse un animale selvatico. Lui, abitando su questa collina, non ha contatti umani, quindi anche avvicinarsi troppo a lui poteva voler dire andare a minare il suo atteggiamento e i suoi comportamenti e il modo in cui poteva mostrarsi alla videocamera. Solo all’inizio c’è stato un avvicinamento per spiegargli cosa doveva fare, poi ci siamo mossi parallelamente. Gli ronzavo intorno, ma non parlavamo: è stato un lavoro più delicato.

L’inizio del film di Cristiano Giamporcaro

Tornando all’inizio del film ho trovato molto simbolica la prima scena che, secondo me, è una sorta di riassunto dell’intero documentario, con lo schermo al buio che piano piano si illumina. Si può considerare come una sorta di svelamento di quello che si vedrà? Sembra quasi come nei film di finzione una sorta di magia e di apertura.

Sì, con l’autostrada con le macchine che passano e la dissolvenza. La sensazione è quasi quella del c’era una volta. Lì il suono è stato importante. Prestando particolare attenzione si comincia a sentire il pastore in sottofondo anche se molto distante. E il pastore è la parte legata al mondo antico con questo suono che riecheggia all’interno di ambienti che hanno elementi artificiali, come l’autostrada.

In generale nel documentario c’è spesso questo contrasto naturale-artificiale.

Come quello che ti dicevo all’inizio: questo è quello che abbiamo davanti. Anche l’ambiente non è mai definito, non dico mai dove siamo, resta sempre sospeso.

La realizzazione

Alla fine del film appare la frase “scritto, diretto e montato da Cristiano Giamporcaro”. Com’è stato unire queste tre azioni?

Per la scrittura e la direzione è stato semplice. Al montaggio sono stato supportato dalla tutor del centro sperimentale che si è occupata della supervisione.

Cristiano Giamporcaro al Festival dei popoli e adesso al Sole Luna Doc Film Festival

E, invece, qual è (stata) la sensazione di essere tra i titoli selezioni al Festival dei popoli, per di più in concorso internazionale?

Non avevo realizzato sul momento. Però è sicuramente una bella notizia.

C’è qualche progetto all’orizzonte?

Sì, ce n’è più di uno. Uno è un film corale con le stesse tematiche di base di questo. Non la cultura contadina, ma un racconto dell’essere umano vissuto attraverso cento occhi, vite diverse che rappresentano l’essere umano, senza entrare troppo nel quotidiano.

Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli

La ricomparsa delle lucciole

  • Anno: 2023
  • Durata: 30'
  • Genere: Documentario
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Cristiano Giamporcaro

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