Hunt è la seconda opera del regista indiano Mahesh Surapaneni, da non confondere con altri film con il medesimo titolo: il coreano Hunt (2022) e anche l’indiano Hunt (2023). La pellicola è girata in lingua telugu, anche se spesso viene usata l’interazione con l’inglese. Il film è il remake di Mumbai Police (2013). È disponibile, sottotitolato solo in inglese, sulla piattaforma Prime Video.
La sfida di Arjun
Il protagonista di Hunt è Arjun, giovane e aitante assistente del commissario di Hyderabad, capitale dello stato di Telangana, nel sud dell’India. Il poliziotto subisce un incidente proprio mentre sta comunicando al suo superiore il responsabile dell’omicidio del collega e amico Aryan. Ciò gli procura un’amnesia temporanea.
Hunt– Immagine da locandina
La narrazione ripercorre le indagini, andando a incrociare presente e passato, con un confuso Arjun che verrà aiutato dal suo superiore – nonché amico – Mohan e dalla psicologa che lo ha in cura. Questo viaggio porterà il protagonista a ricordare gli eventi e a scontrarsi con una realtà per lui difficile da accettare.
Gli ingredienti di Hunt
Mahesh Surapaneni, che con Huntè alla sua seconda prova registica, vuole cercare di entrare nel fantastico mondo dell’action bollywoodiano, che tanto riscuote successo nel mondo. Sono film in cui colori, musiche, danze e tanta azione accompagnano lo spettatore in due ore di svago assoluto. Peccato che il regista indiano non riesca nell’impresa: pare essere un cuoco inesperto che si circonda di professionisti, ma che poi non è in grado di preparare il piatto gourmet che si è prefissato.
Se da una parte abbiamo la fotografia, i costumi e la scenografia che fanno la loro parte in maniera egregia, poi abbiamo il montaggio e la colonna musicale che smontano cotanto bel lavoro. E se il taglia e cuci delle scene fatto da Prawin Pudi può avere l’attenuante di una richiesta autorale esasperata, il musicista Ghibran, invece, si fa soverchiare dalla sua ambizione.
Per quasi tutto il film, eccetto pochissimi momenti, c’è sempre una musica di sottofondo. Se all’inizio può anche essere accettabile, dopo dieci minuti incomincia ad essere invadente per portare poi lo spettatore a desiderare la pace del silenzio. Ciò non vuol dire che le musiche non siano coinvolgenti, ma diventano ineluttabilmente invadenti e fastidiose e vanno a fagocitare anche l’unico momento musical della pellicola.
Il colpo di grazia di Hunt
Mahesh Surapaneni ha costruito Huntfacendo di tutto per renderlo scontato, noioso, a tratti fin anche fastidioso. E il colpo di grazia è dato dalla sua sceneggiatura: una storia senza storia, con espedienti per inserire momenti action con un attore di cui ci fa contare ogni singolo addominale.
Hunt– Il protagonista in una scena
E se uno crede che ciò sia sufficiente per rendere questo lavoro banale, arriva poi anche il finale: calato dal nulla, senza un perché, un approfondimento o qualche segnale premonitore – Agatha Christie e James Ellroy, scansatevi. Il regista punta esclusivamente sulle parti di combattimento, per altro poco efficaci con il montaggio così spezzettato. A tutto ciò, l’autore aggiunge il machismo più bieco, una misoginia becera, un low queer baiting con un salto a un outing incomprensibile.
Gli attori in balia del boh
Diventa davvero difficile anche valutare le interpretazioni dei protagonisti, talmente sono assorbiti – pare pure consapevolmente – da una storia che non è manco distopica o surreale, bensì proprio insulsa. Sudheer Babu Posani, nel ruolo di Arjun, è utile per la sua fisicità – che dovrebbe stimolare gli ormoni dello spettatore – e la sua atleticità. Per il resto, nei momenti ironici piuttosto che drammatici, rimane con una mono-espressione che ne fa quasi una maschera.
Hunt– Aryan, Mohan e Arjun in un frame
Bharath Srinivasan, che interpreta Aryan, è quello più legato al low queer baiting, per poi rivelarsi omofobo – ma non troppo, ché avrebbe fatto troppo brutto. Inetto, sornione come un cucciolo di bradipo, affascinante tanto quanto una tarantola negli slip. Cerca di portare a casa il suo ma non è aiutato proprio da nulla. Idem per Meka Srikanth, che ricopre il ruolo del commissario Mohan, stretto amico di Arjun, che almeno ha l’autorità del ruolo a cui aggrapparsi.
Remake non riuscito
Non ci è dato sapere se il film da cui è stato tratto avesse le stesse problematiche, ma poco importa. Hunt rimane un film incompiuto per tante ingenuità che avrebbero potuto essere risolte. Queste imperfezioni rendono difficile la visione anche a uno spettatore poco attento il quale o rimane in contemplazione del concerto di Ghibran o demorde e rischia di perdersi il finale. Un peccato perché merita di essere visto, dando un (non) senso all’incompiutezza del film.
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