Il reportage di Netflix, diviso in 4 parti, esce in concomitanza con il 25° anniversario della carriera solista di Robbie Williams, uno degli interpreti britannici di maggior successo di tutti i tempi.
La narrazione regala un ritratto inedito sul Robbie uomo, oltre che sull’artista. Il regista Joe Pearlman ha potuto mettere mano su centinaia e centinaia di filmati personali che si snodano in un arco trentennale. La produzione è affidata a Asif Kapadia, vincitore di un Oscar per il documentario su Amy Winehouse, Amy.
Robbie Williams: un’inquadratura generale
Nella docuserie Netflix l’artista inglese traccia il suo viaggio artistico e personale, dagli anni ’90 ad oggi: dai tempi in cui era parte della boy band Take That al solista di successo, da ragazzo fragile a uomo di quasi 50 anni, marito e padre.
L’opera rende fondamentale il lato umano e psicologico del cantante. In Robbie Williams, girato in diversi giorni e ambientato nella sua casa di Los Angeles, viene mostrato il dietro le quinte della sua vita. I video, che quest’ultimo rivede nel suo portatile, sono stati raccolti per diversi decenni. Quindi il cantante si riesamina per la prima volta.
Ciò che distingue questo lavoro documentaristico dagli altri è che è stato costruito da un’enorme scorta di filmati privati. Accumuli di registrazioni di studi musicali, camere d’albergo, concerti, aerei, ville per vacanze. Il dispositivo di inquadratura narrativa è l’artista di oggi, con il moto di reazioni spontanee e spesso dolorosamente auto-laceranti.
La prima parte: Sballiamoci
Williams è seduto sul letto della casa di Los Angeles in box e maglietta e aprendo il suo computer scoperchia l’album di ricordi.
I primi video mostrano le timide esibizioni con i Take That, quando aveva solo sedici anni. Non c’era ancora una sua identità: era uno, il più piccolo, di cinque membri. Vari avvenimenti lo porteranno a prendere strade lontane dagli inizi in gruppo.
A metà anni ’90 lancia il primo album solista, seguìto dall’incontro col suo vero mentore musicale, Guy Chambers, che gli cambia la vita. Insieme creano un’unione di successo, anche umana. Diventano come fratelli e il sodalizio artistico produce canzoni indimenticabili.
Ma gli anni che seguono saranno quelli dei primi contatti con la droga, l’alcool, la depressione.
La seconda parte: Nobody Someday
Il secondo episodio segna un crocevia importante. All’inizio il cantante cerca un successo americano che non trova: con il mondo statunitense non c’è feeling.
Fa concerti importanti, lancia brani iconici (come Rock Dj), ma i fantasmi passati tornano. Insicurezza, mancanza di fiducia verso gli altri, bassa autostima e depressione tornano a minare la sua stessa salute.
Durante un viaggio con Guy e l’amica Geri Halliwell si intuisce una riflessione sull’essere “nessuno un giorno”. Il sogno di Robbie Williams è esistere come uomo comune, con moglie e figli. Invece la sua normalità attuale è troppo lontana da quella reale, da cui non si torna indietro, nel bene e nel male.
Nel percorso del protagonista per ritrovare se stesso c’è anche un punto di rottura con Chambers. Deve fare scelte proprie, deve sporcarsi e rialzarsi in autonomia.
La rottura c’è anche nella relazione con Halliwell. Pensa che sia lei a chiamare i paparazzi per farsi fotografare in giro.
La bellezza del documentario sta nella percezione del cantautore verso il se stesso del video. Da sé si rende conto degli errori del passato.
La terza parte: Close Encounters
Il terzo episodio è quello emotivamente più tosto per la popstar, ma anche per lo spettatore. Sono gli anni in cui deve fare i conti con un mostro: l’attacco di panico.
Siamo nel 2003 e la puntata si apre con uno squarcio sull’immensa folla a Knewborth, dove si tiene un concerto fondamentale per lui. La stampa definisce rozzo il popolo accorso a quel raduno musicale. Sono i primi semi del rapporto rovinoso tra RobbieWilliams e i giornali britannici. Questi ultimi iniziano una vera e propria campagna d’odio nei suoi confronti a causa di pregiudizi musicali. Ma sarà soprattutto il Sun a minarlo profondamente.
Il concerto finale a Leeds sigla uno spartiacque. L’attacco di panico incombe come una nuvola tossica che lo avvolge, lo paralizza, lo stravolge. Questo evento siglerà il futuro della sua vita artistica e psicologica.
La quarta parte: Interrompere il circuito
La parte finale vede il frontman rapportarsi dolorosamente sullo schermo con le immagini dei suoi anni distrutti dall’abuso di anfetamine. È incredibile come osservare i propri comportamenti autodistruttivi porti il protagonista a sentirsi ancora provato, faticando a tenere aperto il pc.
Ma dal baratro totale si può riuscire a trovare la luce. Quella è l’epoca del lungo rehab. Ci sono voluti anni affinché lo spettro di Leeds lo lasciasse definitivamente.
Nel momento della reunion con i Take That ha preferito andare in tour con loro, piuttosto che farne uno più prolifico da solo. Il campo è diviso per cinque, i rischi di crollo sono assai minori.
Sarà necessario uno stacco dalla musica e dalla vita per capire chi è, per abbandonare le ombre passate.
Il successo e la solitudine
Il documentario getta una luce vivida sul paradosso dell’individuo solitario inghiottito dall’industria dello spettacolo.
È circondato da persone ma si sente solo. Tutto è riconducibile alla famosa notte di Leeds. Dopo un tour estenuante ha avuto un esaurimento nervoso. Ci sono scatti di lui che cammina nervosamente nel backstage, come se stesse per uscire davanti a un plotone di esecuzione. Si sente vividamente il senso di cosa voglia dire esibirsi davanti a 90.000 fan ed essere all’altezza delle loro aspettative.
La seconda serata, sempre in quel luogo, è costretto a farla per evitare la bancarotta. Più volte si è chiesto se non fosse stato meglio fare l’autista di bus o gestire un pub.
Williams è stato vittima di dipendenze distruttive, di mancata autostima. Esiste però una droga di una classe a se stante che è la fama, di cui il solista inglese non può fare a meno.
Quando ha rotto con Chamblers c’era la necessità di fare tutto da solo, senza figure che potessero ingombrare la sua vena creativa. D’altronde è per sua stessa definizione un cantante, un cantautore e intrattenitore nato. Questo crea in lui un paradosso esistenziale: ha bisogno della musica ma il successo lo pietrifica.
Un documentario come seduta terapeutica
Robbie Williams ha venduto 75 milioni di dischi, inciso 13 album di successo, vinto 18 Brit Awards, mietuto record.
Eppure sembra che, guardando la docu-serie, improvvisamente tutto possa finire. È lo scotto della fama, che quando arriva e non si presenta mai in modo equilibrato.
La sua lunga catarsi inizia dai primi filmati e si capisce subito quanto sia critico e poco indulgente verso se stesso. Lo vediamo dire alla figlia che gli dispiace aver trattato Gary Barlow in quel modo, sbeffeggiandolo dopo la rottura col gruppo. Ha sbagliato a non fidarsi di chi gli voleva bene.
Williams ha subìto sulla sua pelle gli effetti tossici della cultura dei tabloid di gossip degli anni 2000. Questo lo ha portato per molto tempo a non credere a nessuno (si pensi all’episodio con Geri Halliwell).
Ha dovuto toccare il fondo per riemergere e vedersi splendere per la prima volta. Solo così ha potuto rinnamorarsi della vita. Ha potuto iniziare la relazione con la futura moglie, Ayda Field, creando una famiglia (quattro bambini). Ha capito che artista straordinario sia, percependo davvero l’amore del pubblico.
Il gioco tra passato e presente
Robbie Williams è pieno di video d’archivio, di sessioni di scrittura e registrazione, spettacoli dal vivo e pezzi effimeri della sua vita pubblica. È la dinamica tra il suo passato e il suo sé attuale che dà alla serie la sua spina dorsale.
La star non rifugge da nulla, mantiene sempre il suo fascino e invita il pubblico ad affrontare il turbinio emozionale insieme a lui, dalla comodità del suo letto.
Un punto di vista inedito
Williams è al suo meglio quando da cantautore assume il ruolo del narratore della sua vita.
È normale che un racconto in stile documentaristico usi pezzi di vecchi filmati e li metta insieme al contesto della storia contemporanea. In questo caso specifico si evita l’ingresso di qualsiasi osservatore esterno, come ex membri della band o anche il commento dei suoi cari. Ciò permette all’artista di gestire personalmente l’osservazione e la contestualizzazione mentre osserva il materiale d’archivio.
Di stemperare con battute i commenti delle scene passate. Descrive i pensieri di quelle immagini come un crogiolo di nervosismo, ansia sociale e informa sulla portata insidiosa della depressione clinica.
Un racconto come meditazione
La docu-serie è un risultato rivelatore e accattivante. Combina il carisma naturale di Robbie Williams con la contemplazione e le dure risoluzioni conseguenti.
Il punto di arrivo è una meditazione totalmente senza filtri dentro al suo personale viaggio.
Passando dall’euforia del successo istantaneo a tutte le avversità, colpi e mancanze che sono venuti dopo, l’opera diventa un documento personale più che un semplice documentario sulla celebrità.
Il trailer
Robbie Williams
Anno: 2023
Durata: 4 episodi
Distribuzione: Netflix
Genere: documentario biografico
Nazionalita: USA
Regia: Joe Pearlman
Data di uscita: 08-November-2023
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