Sarap e Faiza sono solo due delle donne protagoniste del toccante documentario Daughters of the sun del regista kurdo-olandese Reber Dosky, presentato nella sezione Habitat del 64° Festival dei popoli.
Le due giovani sono mediatrici di una narrazione sofferta. Fanno parte della comunità religiosa degli Yazidi, che popola il Sinjar, una provincia nel sud del Kurdistan attaccata dall’Isis nel 2014. Le donne della comunità vennero separate dai loro cari, vendute come schiave, violentate e uccise. Quelle sopravvissute con l’aiuto dell’attore teatrale Hussein regalano allo spettatore un racconto testimoniale collettivo, attraverso la condivisione delle stesse traumatiche esperienze di prigionia. Insieme allestiscono in Daughters of the Sun un tendone nero all’interno del quale si terranno i momenti di confronto, un limbo dove poter liberarsi del buio per tornare alla luce.
Daughters of the sun: un racconto di luci e ombre
Il regista sembra partire da un detto Yazidi nel dare forma a un contenuto così sensibile. Il detto secondo cui il sole sorge solo dopo che la donna si alza: senza la donna non c’è luce.
L’inquadratura incornicia i volti delle protagoniste con l’alone di un lume di candela, e tutt’intorno il buio. L’oscurità è quella reale vissuta durante la prigionia, in cui non era possibile vedere la luce. Un’oscurità che torna inattesa in un negozio quando salta la corrente.
Più volte in Daughters of the Sun si ritrova l’immagine del fuoco. Ci sono le fiamme usate in un rito di rinascita, l’incendio sul tendone scuro, custode di un dolore impossibile da dimenticare del tutto.
La violenza invisibile sullo schermo si esprime solo attraverso la parola. Vengono usate anche immagini concrete come quella della cornice vuota in una casa devastata da un bombardamento, o il sangue di un animale ucciso fuori campo che si espande lentamente sul pavimento.
Questa è la storia di ragazze che erano ancora bambine, di bambine che non conoscono altro profumo se non quello delle loro madri, la storia di sorelle, di madri e figlie divise, la storia di ragazze che ora fanno da madri ai loro fratelli, la storia del 74° genocidio perpetrato nel nostro tempo a opera dell’IS.
Durante le numerose sessioni di dialogo tenute da Hussein, le singole voci frammentate delle figlie del sole danno vita a un’unica testimonianza grazie all’uso sapiente del montaggio che alterna piani d’ascolto a primi piani delle oratrici. L’obiettivo della macchina da presa non ci risparmia i momenti di trasporto in cui l’emozione irrompe e la ragione del racconto è sopraffatta. All’infuori di pochi esterni chiari del villaggio di Sinjar, lo spettatore condivide lo stesso spazio buio delle sei narratrici di Daughters of the Sun e segue commosso il loro cammino verso la luce passo dopo passo.
Il festival dei popoli si concluderà il 12 Novembre.