Tatiana Huezo Sánchez nasce a El Salvador nel 1972, ma si forma in Messico presso il Centro de Capacitación Cinematográfica (CCC), dove si laurea come direttrice alla fotografia. È con i primi lavori che incontra Ernesto Pardo, uno tra i suoi collaboratori più longevi.
Lo stesso CCC, dove ancora attualmente insegna, è tra i produttori nel 2011 del suo documentario di esordio, El lugar más pequeño (The Tiniest Place, 2011), in programma al Festival dei Popoli. Già da questa prima opera, Tatiana Huezo si impone a livello internazionale, conquistando premi tra Vision du Reel (Svizzera), DMZ International Documentary Festival (Corea del Sud) e Mar de Plata (Argentina).
Con i primi film, inclusi i tre cortometraggi che seguono, la sua attenzione è rivolta alla violenza nel suo paese natale, El Salvador. Mentre di recente si è interessata al sistema corrotto e ineluttabilmente colluso con i cartelli della malavita locale del Messico.
Tatiana Huezo premiata alla Berlinale – foto di Elena Ternovaja
L’esordio al lungometraggio: El lugar más pequeño(The Tiniest Place, 2011)
Un film fuori dal comune, se si considera che è il primo lavoro lungo di Tatiana Huezo. El lugar más pequeño racconta la storia di Cinquera, il villaggio natale della nonna della regista, di cui lei riscopre la storia quasi per caso. Nel 1979 il Salvador è segnato dalla guerra civile, durata 12 anni, che ha portato 80.000 morti e migliaia di dispersi. Il villaggio è sede di una resistenza armata, e quando l’esercito, equipaggiato dagli Stati Uniti, arriva nel paese, per gli abitanti non c’è più scampo. La violenza dei soldati stermina tutti coloro che non riescono a nascondersi.
Oltre dieci anni dopo, gli abitanti di Cinquera tornano per riappropriarsi della loro terra e rifarsi una vita: trovano una giungla rinata e i cocci di molti ricordi.
Quelli confondono l’umiltà con la stupidità.
Il film si divide in due segmenti, ma su tutto il suono si definisce come il motore narrativo: è ciò che tramuta l’immagine in realtà, ciò che funge da elemento evocativo e poetico.
La prima parte del film è dedicata alla vita e alla ricostruzione; ai ritmi lenti del villaggio, ai volti scavati ma così ben disegnati da essere opere d’arte. Nella seconda sezione, si risale nel tempo a quell’evento terribile che ha reso Cinquera un inferno.
Sebbene si parli di morte, non c’è la volontà di materializzarla con forza eccessiva: le testimonianze sono espresse attraverso una narrazione fuori campo, un suono a cui ci si abbandona. La disponibilità all’ascolto della Huezo è multisensoriale. Un viaggio che si apre ai contenuti, ai tempi melliflui, ai suoni allusivi e immaginifici.
El lugar más pequeño vuole essere una forma di terapia, di revisione del trauma. Esorcizza la violenza e la crudeltà creando un’atmosfera evocativa che allontana il terrore e ripristina l’equilibrio con il sollievo e la pace.
L’omaggio al Messico
I film messicani affinano la ricerca che Tatiana Huezo aveva iniziato sul suolo salvadoregno. La descrizione degli ambienti diventa più peculiare: si rivolge ai dettagli che l’affascinano, che spesso tendono a sfuggire allo sguardo quando ci si concentra solo sul centro, lasciando orfana la periferia. Ma è lì che in realtà si annidano le scoperte più curiose, le bombe inesplose, i silenzi più frastornanti.
Giocando su questa stessa riscoperta della decentralizzazione, di frequente i soggetti mancano dal centro, sono relegati oppure ammassati a lato. Addirittura ai volti vengono preferite altre parti del corpo.
Lo sguardo della Huezo è completamente sottomesso al mondo degli umili, divisi tra suoni, posizioni, scorci, che non si apprezzano senza quella lentezza tipica di una scuola documentarista che si rifà ai migliori. È bello poter individuare un fil rouge con il lavoro di Chantal Akerman.
Ma la specificità con cui la regista si muove nelle sue terre, la rende una cantautrice rispettosa, che del Messico scopre le meraviglie tanto quanto le più insopportabili agonie.
E non è un caso che la disperazione, la tragedia, e la salvezza, siano sempre veicolate dalle. Le donne sembrano, in queste strade sterminate e sempre in salita, le uniche ad alimentare quel che rimane della speranza. Eppure, non è con disperazione che si guarda a questo mondo, ma con grandissimo orgoglio, nell’ammettere che la forza di queste femmine è probabilmente quel che permetterà all’apocalisse di risparmiare quel popolo.
Tempestad (2016)
Metà documentario e metà road movie, Tempestad è il racconto di due donne che sono state vittima della tratta di esseri umani operata dai Cartelli della malavita messicana. Il film percorre 2000 chilometri tra Matamoros e Cancun per ricostruire le loro storie.
La prima, Miriam Carvajal, viene accusata falsamente e condotta in una prigione fuori dalla giurisdizione statale. Lì vige la legge del Cartello, che tramite estorsioni e un clima di paura, recluta nuovi membri e alimenta l’economia interna dell’organizzazione.
Un’altra vittima di questo ratto è la figlia di Adela Alvarado, che ad anni di distanza non ha ancora smesso di cercarla. Le sue indagini personali l’hanno portata a identificare i responsabili del rapimento della figlia tra le fila delle forze dell’ordine, colluse, e di un compagno dell’università.
Anche in questo film, si prediligono i dettagli senza alimentare la necessità narrativa classica e calcificata di avere volti parlanti in camera. Ci sono piedi e voci off che possono esprimere altrettanta emozione.
Primo film di fiction di Tatiana Huezo, liberamente tratto dal romanzo di Jennifer Clement, racconta anche questo la continua minaccia in cui le giovani messicane delle aree più remote sono costrette a vivere. Realizzato con un cast di attrici non professioniste, tra cui spicca Marya Membreño nei panni di Ana, la protagonista adolescente.
Sempre addosso alle sue donne, l’obiettivo della Huezo ha dimostrato di saper cogliere l’asfissiante sensazione di assenza di libertà anche usando il linguaggio della fiction. Il terreno in cui si muove è lo stesso, la terra che cerca di difendere la medesima, l’urlo cortese che scatena, ha sempre il solito vigore. Il film ha ricevuto consensi dai festival più famosi, a cominciare da Cannes, restituendo una conferma del talento molteplice di questa autrice.
L’universo Huezo è prima di tutto da apprezzare a occhi chiusi. Le immagini di Ernesto Prado, suo collaboratore storico, diventano quasi seguaci assertivi di questa lettura. La traccia sonora ha una identità e si muove con una sua propria autonomia.
I contenuti quindi vengono svincolati dall’immagine: la visione di un film di Tatiana Huezo è una esperienza che viaggia almeno su due binari distinti, e che produce due letture alternate.
I temi che la regista sceglie sono evidentemente sempre vicini al popolo e alle sue battaglie, mossi fermamente dalla volontà di restituire giustizia a chi ne è stato privato. Eppure, il suo non è un grido chiassoso, ma un’amigdala che scalfisce la pietra più dura e lascia un solco che perdura e ravviva la memoria. La sua missione è disseppellire ciò che era stato occultato. E con questa verità, imprimere una nuova memoria, deflagrante seppur silenziosa.
El eco – The Echo (2023)
Ultima produzione, eccellente come le precedenti, in cui Tatiana Huezo descrive la comunità che vive nella valle di El Eco, in Messico. Una valle soggetta anch’essa alle minacce dei gruppi armati e dei bracconieri della terra. In questo film bucolico, la Huezo abbandona il consistente fuori campo per avvicinarsi quatta ai personaggi e registrare la realtà del loro quotidiano.
Lo sguardo si stringe con ammirazione verso chi coltiva, chi sfama con il proprio lavoro, e soprattutto chi difende la terra. Ma, come già precedentemente mostrato, la regista è molto sensibile alla condizione della donna. Le donne di El Eco sono ancora una volta delle figure straordinarie: strappate all’infanzia con largo anticipo, lottano per seguire la propria strada e garantire un rispetto maggiore alle nuove generazioni. La comunità soffre delle regole della società patriarcale e dei ritmi stagionali della valle, irrimediabilmente sballati dal cambiamento climatico.
Il film è così intenso da poter contenere una lettura umana e una lettura ambientale; è capace di offrire una visione attivista e intimista allo stesso tempo. Si concede eccellente cura dell’immagine e del suono, portandosi dietro una esperienza che si spinge oltre i confini cinematografici.
Ebbene, non è cosa limitata a quest’ultima opera: Tatiana Huezo ha alle spalle una seppur breve, ma straordinariamente intensa carriera. La sua firma è già una garanzia di autorevolezza e la sua mobilitazione, una garanzia di difesa, ascolto e rispetto delle voci più umili, che diventano grandi eroi.
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