Eastern Front, documentario dei registi Vitaly Mansky e Yevhen Titarenko, presentato in anteprima alla Berlinale nella sezione Encounters, è in programma al Festival dei Popoli di Firenze.
Il film fa parte della sezione Doc Highlights del festival, dedicata ai documentari di maggior rilievo dell’anno.
Di cosa parla Eastern Front
Agosto 2022, giorno d’indipendenza dell’Ucraina. A sei mesi esatti dall’invasione russa vediamo nella via principale della capitale un carrarmato.
Davanti ad esso Zhenya Titarenko, soprannominato Rezhik, ovvero regista.
Zhenya era già stato in guerra come volontario nel 2014, al tempo in cui molti ne ignoravano l’esistenza. Aveva fondato, con altri, il battaglione medico Gli Ospedalieri, per soccorrere soldati feriti sul fronte del Donbas, dopo che Mosca aveva conquistato la Crimea.
Otto anni dopo, nel momento in cui il mondo si rende conto di questa guerra, Rezhik ne diventa testimone in Eastern Front.
A partire dalla mattina del 24 febbraio 2022, quando viene svegliato nel suo appartamento di Dnipro dal rumore dei missili sulla città, Titarenko torna al suo incarico di medico e registra, insieme a Vitaly Mansky, la guerra ad est e ad ovest.
Eastern Front è il racconto degli scontri filmati dall’interno, tra le immagini in prima linea sul fronte orientale e quelle delle vie occidentali, apparentemente sospese e quiete, ma dove la guerra si estende e prende vita. Così come in ogni angolo dell’Ucraina occupata.
‘Eastern Front’, dei registi Vitaly Mansky e Yevhen Titarenko, è in programma al Festival dei Popoli di Firenze nella sezione Doc Highlights
Due filoni narrativi
Vitaly Mansky e Yevhen Titarenko compongono Eastern Front su due filoni paralleli e convergenti allo stesso tempo.
Da una parte le riprese frenetiche di Titarenko, con Iphone o GoPro, che trasportano lo spettatore sulla prima linea della guerra. Dall’altra Mansky, dietro le linee, restituisce immagini più idilliache e umane.
“È come l’inferno di Dante”, si sente dire da uno dei volontari tra una mandria di mucche intrappolata nel fango dopo il bombardamento di una fattoria.
E come l’inferno sono i viaggi verso l’ospedale che i volontari, sul loro furgone trapassato di proiettili, devono affrontare tra dossi e barricate per tentare di salvare gli uomini feriti. Sono le missioni di salvataggio in cui perdono membri della loro squadra. Le mine nei campi, i corpi dilaniati.
Sono le scene della vita di guerra di Eastern Front, dove esiste solo la morte, e la cui tragicità è sottolineata dai registi dal colore seppia scuro delle immagini.
Immagini, quelle girate da Mansky, che invece fanno da contrappunto. Donne e bambini fanno il bagno nel fiume alla luce del sole. Tre ospedalieri in costume si raccontano e descrivono come sia cambiata la percezione della guerra per i parenti più anziani, sottoposti alla propaganda russa. Festeggiano un battesimo con una tavolata in cortile, raccontano le vicissitudini per arruolarsi nell’esercito e i metodi di conservazione dello sperma.
Sono le scene della vita reale di Eastern Front, dove esiste speranza e prospettiva umana.
Un documentario umano
“Immaginiamo la fine di questo film” dice Titarenko sul finale. Come sarebbe?
In una prima versione, Kherson sarebbe riconquistata e diventerebbe la prima grande città liberata.
Un film di finzione si concluderebbe con una loro vittoria. I loro territori, come Donetsk, Lugansk e la Crimea sarebbero reclamati e poi, tutti, tornerebbero a casa.
Se invece fosse un film di fantascienza, la Piazza Rossa sarebbe in fiamme, ci sarebbero sparsi cadaveri di ogni tipo e Lenin sarebbe spogliato dei vestiti dai locali, che vorrebbero collezionarne, ciascuno, almeno un pezzo.
Se solo fosse, perché Eastern Front invece è. Ed è un film vero, umano, reale, struggente e coraggioso.