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‘C’era una volta in Buthan’: l’utopia di un mondo senza conflitti né armi

Dal Festival di Roma al Cinema dal 30 Aprile

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Arriva al Cinema C’era una volta in Buthan  (The Monk and the Gun), di Pawo Choyning Dorji. Distribuisce dal 30 Aprile Officine UBU.

Ce ne vorrebbero tanti altri di film come C’era una volta in Buthan per rappresentare gli antipodi e l’alterità, rispetto a situazioni date per scontate o stereotipate, per viaggiare nei mondi difficili da raggiungere ed immergersi in atmosfere così fortemente ‘altre’ da noi, intense e degne di rispetto, capaci di estrema modernità per mantenendo candore, originalità ed ironia.

Selezionato in concorso alla Festa del Cinema di Roma 2023 (sezione Progressive Cinema) e premiato con un Premio speciale della Giuria,  C’era una volta in Buthan è il secondo lungometraggio dell’apprezzato regista buthanese Pawo Choyning Dorji, che ha affascinato il mondo nel 2021 con il suo primo film Lunana: il villaggio alla fine del mondo (Lunana: A Yak in the Classroom), girato in uno degli insediamenti umani più remoti della terra, sulle vette più alte dell’Himalaya, perché il tema della “lontananza”, essenziale per la storia, emergesse come più autentico possibile.

Qui il regista affronta il tema del cambiamento dei tempi nel Regno del Buthan con l’avvento della modernizzazione, avvenuta nel 2006, tra l’arrivo della televisione, la prima connessione internet e le prime elezioni democratiche volute dal Re in persona, mai messo in discussione in una terra essenzialmente rurale, pacifica e priva di conflitti.

Insegnare al popolo a votare, tra monaci buddisti e ricerca di fucili.

C’era una volta in Buthan si muove su diverse direttrici, tutte ugualmente interessanti e ben amalgamate: l’arrivo della modernità in Bhutan, l’ultimo Paese del mondo a connettersi a Internet e alla televisione, è un evento che in parte sconvolge e preoccupa gli abitanti dei villaggi, contenti della loro vita e destabilizzati di fronte ad un cambiamento ancora più grande: l’arrivo della democrazia sotto forma di elezioni, volute proprio dal re in persona, che le indice dopo aver abdicato al figlio.

Nessuno ha mai votato prima: per insegnare alla gente a votare, le autorità organizzano una finta elezione a partire dal villaggio di Ura – la principale location del film – ma la gente del posto sembra poco convinta e fatica a capirne l’utilità. Inoltre molti non conoscono la propria data di nascita (‘a che serve sapere un’informazione così inutile?’ rispondono gli abitanti ai funzionari che cercano di far iscrivere la gente) e dunque sono molti i problemi da risolvere per la funzionaria in capo, giunta al villaggio piena di energia e speranze.

Contemporaneamente un misterioso personaggio (americano o inglese), un antiquario o un venditore di armi, viaggia nelle zone rurali del Bhutan, per giungere proprio ad Ura, in cerca di un raro ed antico fucile del XIX secolo. Ma anche il Lama del paese, attraverso un suo monaco, venuto a conoscenza delle prossime elezioni, cerca uno o più fucili. L’ avvincente sceneggiatura, anch’essa opera del regista Pawo Choyning Dorji, si dipana in differenti rivoli che si uniranno nel finale in maniera del tutto imprevista, tra sacro e profano, serio e grottesco. In un Paese dove la religione è più popolare della politica e delle elezioni, tutti sono interessati alla misteriosa cerimonia che il monaco ed il Lama stanno organizzando per il giorno delle elezioni.

Anche con C’era una volta in Buthan – racconta il regista – ho scelto persone del villaggio reale per i ruoli chiave nel film. La maggior parte delle comparse nel villaggio sono abitanti del villaggio di Ura e il Lama (insegnante buddista) nel film è il vero e unico Lama del villaggio. Ura è un villaggio rurale, ma con accesso al moderno servizi come elettricità e strade carrozzabili. Quindi ne ho approfittato per avere una troupe più numerosa e attrezzature cinematografiche più moderne sul set. Tuttavia, penso in termini di film internazionale stabilendo gli standard, questa produzione è ancora piuttosto elementare. Non abbiamo telecamere e apparecchiature di illuminazione in Bhutan, quindi la nostra attrezzatura noleggiata è dovuta arrivare da Nuova Delhi, in India, e ci è voluta una settimana di guidandolo per raggiungere la nostra sede principale.”

Transizione e innocenza, la Felicità Nazionale Lorda

Un film che denuncia, in modo indiretto e non-violento, i concetti di globalizzazione e modernizzazione, l’abuso delle armi (‘in America si dice ci siano più armi che persone’), il capitalismo sfrenato e l’idea che il denaro possa comprare tutto, in favore di un modo di vivere più umano, che sia in grado di risolvere i conflitti in maniera pacifica e di assicurare pace e benessere ai cittadini.

Nel primo codice legale redatto dal governo bhutanese nel 1729  si proclamava infatti che “lo scopo di un governo è quello di procurare la felicità alle persone” e se un governo non poteva garantire la felicità, non aveva motivo di esistere, dunque il regista vuole evidenziare come a Felicità Nazionale Lorda debba essere il principio guida di tutte le attività di sviluppo e della visione della vita,  ovviamente anche legata alla propria cultura di origine.

“Con entrambi i film ho cercato di toccare il valore e l’unicità della cultura bhutanese tradizionale – prosegue il regista –  Il Bhutan, come qualsiasi altro paese, è alla ricerca incessante di diventare moderno e istruito e occidentale. Molte volte, in questa ricerca, rinunciamo alla nostra cultura e alle tradizioni che ci costituiscono come davvero unici. Questi valori stanno più o meno scomparendo nelle aree urbane del Bhutan, e per questo devo girare nel Bhutan rurale per evidenziarlo. Con Lunana toccavo il tema della “casa”, ma con The Monk and the Gun è il valore dell’“innocenza”.

L‘innocenza è un valore e un tema così importante dell’essere bhutanese, purtroppo mentre cambiamo verso un paese più moderno e più istruito, questo bellissimo valore si sta perdendo e viene buttato via perché sembra che la mente moderna non riesca a distinguere tra “innocenza” e ‘ignoranza’. Volevo anche, in questo senso, che i personaggi del Lama e del monaco nel film personificassero la venerazione bhutanese per la cultura e le tradizioni del Buddismo, che in Bhutan non è solo un percorso spirituale, ma uno stile di vita.

Gli insegnamenti del Buddha influenzano ogni aspetto della cultura e delle tradizioni bhutanesi. Tenendo presente questo i monaci, che sono visti come rappresentazioni fisiche degli insegnamenti del Buddha, sono oggetti di immenso rispetto, venerazione e devozione in Bhutan. Sarebbe vero dire che questa venerazione e il rispetto è più forte ed evidente nelle zone rurali del Bhutan, dove la portata dell’urbanizzazione e l’occidentalizzazione non è ancora arrivata del tutto.

Pawo Choyning Dorji (regista e sceneggiatore) ha iniziato la sua carriera cinematografica sotto la guida del regista e famoso lama buddista Khyentse Norbu, lavorando come Assistente di Norbu per i film di Norbu Vara: A Blessing (2013) e Hema Hema: cantami una canzone mentre aspetto (2016). Ha fatto il suo debutto alla regia nel 2019 con Lunana: A Yak in the Aula.

Il film è stato girato in uno dei luoghi più remoti dell’umanità insediamenti nel mondo, così remoti che la produzione faceva affidamento sulle batterie solari e sui pastori di yak locali per essere il cast principale del film. Il film è diventato favorito ai festival, vincendo numerosi premi, prima di entrare nella storia diventando il primo film bhutanese in assoluto ad assicurarsi una nomination all’Oscar per il miglior lungometraggio internazionale ai 94esimi Academy Awards. The Monk and the Gun è il secondo lungometraggio di Pawo come sceneggiatore, regista e produttore.

Pawo è il più giovane destinatario dell’Ordine Reale del Bhutan, Il Druk Thuksey (Il figlio del cuore del drago del tuono), un premio conferitogli dal re Jigme Khesar Namgyel Wangchuck il 17 dicembre 2022. Il premio riconosce l’individuo per il servizio distinto nei confronti della nazione e del popolo bhutanese.

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