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‘Nessun posto al mondo’: la salvaguardia di un’antica tradizione

Il film scritto e diretto da Vanina Lappa è dedicato alla salvaguardia di una millenaria usanza

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Vanina Lappa, regista italo-francese, dopo Sopra il fiume (2016) che vince il Filmmaker Festival di Milano, ha deciso di immergersi, nell’approfondimento delle antiche culture e tradizioni radicate nel nostro prezioso patrimonio. Nessun posto al mondo presentato al Festival dei Popoli di Firenze 2023, si erge come un forte baluardo dedicato alla salvaguardia di una millenaria usanza: la Transumanza. Questa pratica che si fonde armoniosamente con i costumi e le tradizioni tipiche della nostra terra, spesso sacrificate sull’altare del crescente e incontrollato sviluppo degli interessi individuali.

Il film è al Cinema dal 7 Maggio distribuito da La Sarraz Pictures.

Nessun posto al mondo per Antonio

Antonio, pastore dei monti cilentani, sembra destinato a un dialogo profondo solo con gli abitanti della natura. La mancanza di comprensione da parte dei suoi simili, accompagnata dall’oppressione delle istituzioni, amplifica il suo struggente isolamento. Un recente regolamento comunale lo priva del diritto di guidare il suo gregge sui pascoli del Cervati, l’antica montagna che da sempre è stata sua compagna, conosciuta in ogni suo sentiero. Nonostante riesca a procurarsi un piccolo appezzamento di terra, il Comune gli nega persino la possibilità di erigere qualsiasi struttura, persino un modesto impianto per fornire acqua ai suoi amati animali. La natura diventa così l’unica fuga possibile, l’ultimo rifugio in cui Antonio può trovare la sua autentica essenza e riscoprire il suo posto nel mondo.

Fotogramma di Nessun posto al mondo

Vanina Lappa, un percorso in salita

La regista ha intrapreso un complesso percorso per portare a termine il documentario di Nessun posto al mondo. La realizzazione di questo progetto ha richiesto ben tre anni di lavoro dedicato. Periodo in cui Vanina ha dovuto confrontarsi con la comunità cilentana, tessere rapporti e integrarsi.

Il sostegno prezioso di suo marito e degli amici, che si sono uniti alle riprese, ha reso possibile catturare momenti di vita, da semplici “chiacchiere da bar”, fino a istanti intrisi di tradizione popolare. Pacate emozioni che trascendono la limitazione delle parole, arricchendo le immagini con una sottile poeticità, dove si possono percepire sfumature, silenzi e suoni distinti. Tutti frammenti di uno spazio, ospitato da un mondo desideroso di assorbirne e trasfigurarne l’essenza.

Nonostante il suo impegno instancabile nel lavoro, la donna ha condiviso, in un’intervista a Il Sole 24 Ore, di aver affrontato numerosi ostacoli nel corso del suo percorso di produzione. In effetti, si è scontrata con molte porte chiuse e commenti superficiali che riguardano la qualità del suo prodotto e le sue potenziali applicazioni.

Alcuni produttori in Italia  si sono rifiutati di produrlo: non rende economicamente, è difficile da produrre, le televisioni non lo vogliono, nessuno si interessa ai pastori, è un film difficile, mi sono sentita anche dire “nessun produttore difenderà il tuo film in una commissione, non sei conosciuta”, lo ringrazio perché mi ha dato la tenacia per dimostrargli il contrario, e così è stato.

Vanina Lappa – intervista Il Sole 24 Ore

Per fortuna, la produzione torinese de La Sarraz Pictures ha scelto di assumersi la responsabilità di questa preziosa collezione di immagini. Nessun posto al mondo, esplora argomenti spesso trascurati, suscitando sensibilità e concedendo voce a coloro, che troppo frequentemente, vengono ignorati a causa di un costrutto sociale che non li accoglie, relegandoli nell’ombra del pregiudizio.

Nessun posto al mondo: un approccio pasoliniano

Antonio, una figura ribelle e libera, è il protagonista di un viaggio durato dieci giorni, attraverso la transumanza dalla Basilicata al Cervati. Il Cervati è il luogo in cui i pastori lasciano pascolare il bestiame e insieme alla comunità locale celebrano ogni anno la Madonna della Neve. Un luogo incontaminato, tra la bellezza della natura e la compagnia degli animali.

Il clima mite, il silenzio, le parole sussurrate e il dialetto del sud creano un’ambientazione unica. Nelle prime fasi, mentre osserviamo le attività quotidiane di Antonio, ci addentriamo profondamente nel suo stile di vita, notando come ogni dettaglio sia frutto di una scelta ponderata.

Emergono la connessione con il lavoro e la sua profonda passione. Antonio dimostra un amore incondizionato per la montagna e i suoi abitanti, risultando estraneo al mondo “civilizzato” e ai suoi costrutti sociali limitanti. La sua relazione con la natura lo allontana da ogni peso, permettendogli di vivere in armonia con il tempo e lo spazio.

Questi sono i momenti in cui la regista Lappa, con la camera a mano, cattura volti, paesaggi e semplici scene. La sua delicatezza nell’immergersi nella vita pastorale crea una serie di riprese che sono al contempo rustiche e, paradossalmente, raffinate.

Come Pasolini nel suo primo film Accattone (1961) esplorava silente le tragedie della periferia romana nel dopoguerra, Vanina sembra nascondere la cinepresa nella tasca interna del cappotto, documentando le giornate come un osservatore invisibile della bucolica dimensione.

Nessun posto al mondo – Antonio e abitante del paese

Riflessi di eterna mutabilità

Il film non si prefigge mai di impartire lezioni morali preconfezionate, ma piuttosto esplora profondamente la coscienza di ciascuno, stimolandoci a scoprire il significato della pellicola in maniera autonoma. Il suo messaggio principale, invece, è inequivoco. Quasi come un’affermazione categorica, mirando a superare la soggettività e ad affermare un fatto innegabile: la storia e con essa il corso del tempo subiscono cambiamenti irreversibili.

A conferma di quanto sostenuto, le parole di Antonio riguardo alla burocrazia che permea il suo lavoro rappresentano un esemplare testimonianza. Inoltre, i mutamenti imposti dalle istituzioni, ai quali è costretto ad adeguarsi passivamente, lo conducono verso l’ inesorabile declino di un mestiere che da secoli costituisce un elemento essenziale delle radicate tradizioni italiane. “Per un forestiero 200 € per una vacca… Finite le vacche, finisce pure Cervati” (Nessun posto al mondo – Antonio).

Nessun posto al mondo, un documentario che, in un contesto informale, si distingue per una discussione acuta e fondamentale, evitando l’analisi eccessivamente basata su dati numerici. L’approccio si concentra efficacemente su una ricerca tematica, che non tarda a palesarsi, ponendo l’attenzione sul confronto tra individui che condividono la stessa realtà, anziché enfatizzare interviste formali.

Quello che si osserva va oltre l’aspetto puramente culturale: è il graduale disfacimento di un patrimonio. Questo patrimonio che ha contribuito alle fondamenta produttive del nostro paese ed è legato alle attuali multinazionali, portatrici dell’ossessione per il consumo. Poi, assistiamo alla decadenza spirituale di un individuo che, poco a poco, accetta il declino di ciò che è stato in favore di ciò che verrà. Il distacco dal suo mondo e dalle radici che lo legano saldamente alla montagna, lo rende un esule in un contesto estraneo.

Una regia dalla sensibilità innata

Nessun posto al mondo è un’opera che non richiede un’analisi tecnica approfondita; al contrario, va vissuta per quello che è. In alcuni momenti, sembra girata con l’ausilio di uno smartphone, o con una modesta attrezzatura (è così che mi piace immaginare la regista), rivelando la sua bellezza nei dettagli di imperfezioni che rispecchiano la vita di tutti noi. La quotidianità in continua evoluzione costituisce una prova tangibile dalla quale emerge l’esperienza di ciascuno. In questo contesto, Vanina Lappa si distingue, quasi sembrando che tutto emerga senza sforzo, come se le riprese fossero state realizzate durante una vacanza alla ricerca di un contatto con la natura.

L’approccio non invasivo manifesta un profondo rispetto e una sensibilità verso la storia, offrendo un valore inestimabile per l’ascolto. Una qualità che non sempre è appannaggio del uomo, e che richiede uno sforzo non indifferente per essere conquistata.

Un fattore determinante per il magnifico lavoro svolto è stato il rapporto di amicizia instaurato con gli abitanti del luogo, i quali hanno contribuito in modo significativo all’osservazione di una realtà spesso dimenticata e progressivamente soppressa dalle convenzioni di una società che la trascura.

Per Antonio, così come l’ha successivamente vissuto Vanina, il mondo rurale svela una serie di interrogativi profondi. Queste domande sondano gli aspetti più primordiali, adottando una prospettiva filosofica nel confronto con l’ineffabile. Tuttavia, ciò che la regista è riuscita a fare è stato conferire visibilità e struttura a tali questioni, nonostante la loro intrinseca complessità. Le risposte sono l’evidenza di un triste e inesorabile scorrere delle epoche, come la nota amara di un’opera che guarda verso un tramonto.

La vicinanza al mondo rurale ha sollevato in me questioni e riflessioni quali: come si può salvaguardare la propria parte animale facendo parte della società? È possibile o “nessun posto al mondo” lo permette? Ho iniziato così a filmare, ho vissuto la storia di un luogo e ho partecipato al dramma intimo di un singolo che echeggia in un dramma collettivo: ho constatato infatti che i pastori di questo territorio, guardiani delle tradizioni legate ai ritmi della natura, stiano assistendo alla fine di un mondo. Antonio è il filo rosso di questa storia e il testimone di questo territorio, il personaggio attraverso il quale guardare questa parte di mondo.

Vanina Lappa – Film Commission Torino Piemonte.

Nessun posto al mondo – Trailer

 

Nessun posto al mondo

  • Anno: 2023
  • Durata: 83 min
  • Distribuzione: La Sarraz Pictures
  • Genere: Documentario
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Vanina Lappa

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