‘Yellow Door’: la nascita di Bong Joon-ho e del cinema coreano
Fresco e nostalgico, il lavoro di Lee Hyuk-rae racconta degli inizi di Bong Joon-ho e della sua cricca di appassionati cinefili, che nella Corea degli anni Novanta, ancora priva di una sostanziosa verve culturale, è sui sogni che ha costruito il cammino verso il Premio Oscar.
Fresco e nostalgico, il lavoro di Lee Hyuk-rae racconta degli inizi di Bong Joon-ho e della sua cricca di appassionati cinefili, che nella Corea degli anni Novanta, ancora priva di una sostanziosa verve culturale, è sui sogni che ha costruito il cammino verso il Premio Oscar.
Yellow Door: l’ascesa del cinema coreano, la trama
Yellow Door è il nome di un club di cinefili che sotto la guida di alcuni appassionati, negli anni Novanta si ritrova a Seoul per gustare cinema internazionale di qualità. Quei primi prodotti sono rigorosamente fruiti su supporti analogici danneggiati e affaticati dalle molteplici visioni, per lo più VHS, dagli affamati e interessati frequentatori del club. Yellow Door non era l’unico club del genere, ma sicuramente un posto speciale dato che ha nutrito la passione dell’oggi ultra famoso regista Bong Joon-ho. Che è così diventato il simbolo di una ascesa di popolarità e magia propria delle favole (dal cineclub a Hollywood!).
Fil rouge del documentario, che è un collage di interviste tra i frequentatori del club, con largo spazio a Bong Joon-ho chiaramente, e Choi Jong-tae, è il suo primo cortometraggio. Lost Paradise viene infatti ritrovato dal regista e rappresenta un po’ il tappeto sonoro di questo racconto che intesse la passione per il cinema ai sogni di quei giovani ventenni.
È interessante scoprire quindi il Bong Joon-ho delle origini, l’incontro con la pellicola, la ricerca narrativa e già le prime positive reazioni dopo Memorie di un assassino.
Niente più di un lavoro curioso
Per quanto sia curata la fotografia e sicuramente curiosa la rappresentazione di questa Corea underground degli anni Novanta, Yellow Door: l’ascesa del cinema coreano di Lee Hyuk-rae si rivolge ad un pubblico di nicchia. Quello che avrà piacere a scoprire come si è formato Bong Joon-ho, da dove viene la sua genialità, e come, in un pupazzetto a forma di gorilla, ci fossero già i germogli della sua narrativa.
Non è questa una storia tanto diversa da quella di altri registi che, in diverse parti del mondo, sono saliti dalle stalle alle stelle. Inoltre, si legge una presa di posizione in favore dei cinefili accaniti che spendono e hanno speso porzioni intere della propria vita davanti ad uno schermo. La cultura filmica di Bong Joon-ho, se non fosse trasparso a sufficienza dalle sue opere, è davvero estesa e consapevole. Rende la sostanza del suo lavoro ancora più concreta sentirlo raccontare di come la sua formazione sia dipesa da quel circolo di menti diverse, dal continuo brainstorming e dalla fresca energia di quei tempi.
Tuttavia, fuori dalla meraviglia e dall’ammirazione per il maestro, Yellow Door: l’ascesa del cinema coreano non soddisferà un largo pubblico. Ha un respiro nazionale, ed è certamente un rispettoso omaggio ad un cavaliere della cultura coreana. Ciononostante, non raggiunge distanze maggiori: non avendo il soggetto ancora la presa di una leggenda, rischia di offrirsi come un elogio fine a se stesso.