A volte ritornano. Ci ricordavamo bene di Giulio Manicardi, visto che il giovane cineasta aveva esordito con un cortometraggio, Like, risultato poi tra i più allucinati, maturi e feroci del Fantafestival 2016. Le nostre strade si sono incrociate di nuovo a Trieste. Sì, perché vi è anche un suo nuovo lavoro, Selfie, tra i corti italiani in programma martedì 31 novembre (ore 14.30) al Miela, per l’edizione 2023 del Trieste Science + Fiction Festival. Noi lo abbiamo potuto vedere in anteprima e possiamo così rendervene conto.
Corsi e ricorsi storici
Il primo dato ad averci colpito è senz’altro la contiguità tematica di questi due piccoli film. Con la ferocia del web e dei social a fare da collante. Attualissimi nella loro sfera concettuale, assai curati nella forma, Like e Selfie sono mini-horror che, da angolazioni solo in parte differenti, rendono il palcoscenico offerto dalla rete epicentro primario di angosce, insicurezze e orrori, dalle conseguenze davvero terrificanti.
Per rendere l’idea tanto vale spendere due parole anche sul precedente Like: in circa 20 minuti il corto proponeva l’esistenza inizialmente quieta e apparentemente idilliaca di un uomo e della sua famigliola, comprendente moglie, figlioletto e cane simile a Lassie. Da subito si intuiva però che la loro vita venisse spiata da un obbiettivo indiscreto, primo vero segnale di inquietudine e presupposto di una possibile sterzata verso gli orizzonti della classica home invasion. Il capofamiglia si ritrovava poi a essere pedinato da quell’occhio esterno in una strana, morbosa situazione, tale da lasciar intendere che l’uomo amasse adescare ragazzine. E a quel punto il twist decisivo, brutale, che vedeva il protagonista rapito, segregato e condotto in un macabro show per il web, da parte di un istrionico vendicatore determinato a fargliela pagare cara, ma solamente dopo che “il tribunale” della rete si fosse espresso a suon di click su un sito da lui creato.
Il cellulare di Dorian Gray
Sintomo di giustificato allarme per l’incoscienza con cui tendiamo ad affidare alla tecnologia il nostro privato, la nostra sicurezza, i nostri stessi sogni, questo nuovo lavoro di Giulio Manicardi riparte idealmente da tale esordio, ponendo stavolta al centro dell’asciutto racconto una bella ragazza di oggi, schiava della sua immagine.
Con la rossa Asia Galeotti quale intensa protagonista, Selfie (il titolo non lascia adito a dubbi, riguardo ai contenuti) di tale personaggio esprime in forma morbosa e perversa la profonda insicurezza, la totale dipendenza da ammiccanti selfie realizzati in serie col telefonino, da post con tante visualizzazioni sui social, da cuoricini ingannatori e da un’aleatoria, effimera affermazione di sé presso quel virtuale e fatuo carrozzone.
Un gratuito, violento, sprezzante momento di bullismo nei suoi confronti, introdotto da inquadrature già occhieggianti al genere horror e perpetrato in un bagno pubblico da ciniche e rivoltanti coetanee, farà da detonatore per tutto il resto. Quello col cellulare diviene di colpo un rapporto quasi faustiano. Ovvero una firma in bianco sul reale possesso del proprio corpo e della propria anima. Grazie anche al montaggio sincopato, regolato sul continuo scattare del flash, l’apparecchio entra diabolicamente in simbiosi con la ragazza, regalandone un’estemporanea popolarità sui canali social ma vampirizzandone al contempo le energie fisiche e mentali, fino a prosciugarne la bellezza stessa. Una sorta di “Ritratto di Dorian Gray” con lo schermo luminoso del cellulare a sostituire la tela, ben orchestrato da Giulio Manicardi intorno a un’idea semplice ma resa con crudele, maniacale perfezione.