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Trieste Science+Fiction Festival

‘From the End of the World’: cosa rimane prima della fine

Dopo otto anni di pausa, Kazuaki Kiriya torna al Trieste Science+Fiction con From the End of the World, un racconto pre-apocalittico che riflette sull'umanità e sulla vita

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Il programma di quest’anno del Trieste Science+Fiction Festival si distingue nuovamente grazie a narrazioni “fuori da questo mondo”. In proiezione per il programma 2023 spicca From the End of The World, film giapponese di Kazuaki Kiriya. Dopo otto anni di pausa, il regista di Kyashan – La rinascita (2004), torna con un lungometraggio pre-apocalittico prodotto dalla Free Stone.

From the End of the World: sinossi

From the End of the World racconta la storia di Hana (Aoi Itou), una liceale solitaria che alterna le sue giornate tra lavoro part-time e scuola. Orfana di entrambi i genitori, viene cresciuta dalla nonna tra mille responsabilità e problemi economici che aumentano una volta che l’ultima figura familiare rimasta viene a mancare. Sola al mondo, la nostra protagonista incomincia a vivere sogni sempre più realistici, ambientati nell’era Sengoku e nei quali stringe amicizia con una bambina di nome Yuki (Mio Masuda).

Entrambe vicine alla nonna, orfane e reduci da uno stato di povertà, tra loro nasce un legame molto forte. Tuttavia, Hana scopre che questi sogni le appaiono per un motivo, che la renderà fautrice del destino dell’umanità. Il governo stesso le rivela l’importanza di questi viaggi temporali ricorrenti, che non fanno che aumentare il senso di responsabilità della protagonista. Scopre di far parte dei Reincarnatori, individui che viaggiano tra passato e futuro e il cui dovere è quello di evitare la fine del mondo. Ad ostacolarli vi sono individui loschi, loro simili che, disperati e dolenti, non vedono l’ora di porre fine alle sofferenze globali distruggendo l’umanità. Durante questo tentativo di salvaguardare il futuro della Terra, Hana deve affrontare e cercare di comprendere segreti familiari, la condizione umana e i rapporti che hanno definito e che tutt’oggi definiscono la sua vita.

Il cinema di Kiriya: un viaggio visivo

Per centrare il segno, il film fa uso di una fotografia coinvolgente e ansiogena, che trasporta lo spettatore in prima persona in questa avventura semi-distopica. La telecamera si muove, alterna un inseguimento ravvicinato dei personaggi con scenari e spazi che illustrano disgrazie ma anche bellezze naturali. Un loop infinito di suoni, musiche e giochi di luce che riescono a spostare l’attenzione sulla tematica affrontata. Intanto, lo sguardo trema, dando una vera e propria forma ai sentimenti alla base della storia. 

Già nel 2004 Kiriya aveva lavorato a Casshern, noto in Italia come Kyashan – La rinascita, live action dell’anime omonimo. La regia di questo nuovo progetto rivela residui di quell’anno, grazie all’elemento fantastico che accompagna la storia. Lo stile di questo nuovo lungometraggio ricorda quello di un lavoro d’animazione fantascientifico, dove avventure ed effetti speciali si mescolano a poesia e introspezione. From the End of the World presenta, tra l’altro, ancora quell’aspetto malinconico e disperso, che tenta a perdifiato di trovare una soluzione alla propria condizione. Le storie di Kiriya non mancano di quell’accenno poetico, che cerca di far riflettere, attraverso le proprie immagini e musiche, sullo stato umano individuale e collettivo e su quanto sia preziosa la vita di ciascuno. 

Si tratta di una nuova trasposizione distopica ispirata alla realtà stessa, ma che si distingue per il maggior peso politico e sociale che viene dato al messaggio. Rispetto ai suoi lavori precedenti, la sua regia sembra allontanarsi da colori scuri e malinconici. Si avvicina, invece, a scenari più radiosi, che probabilmente riflettono lo stato attuale della società.

Cosa ce ne facciamo del mondo?

La domanda al centro della narrazione è semplice, anche se è difficile rispondere: “Cosa ce ne facciamo del mondo?”. Fin dall’antichità, la vita umana è segnata da catastrofi, guerre e conflitti scaturiti dal proprio egoismo. E i personaggi principali del film hanno da sempre il dovere di ricostruire l’universo, volta per volta, nonostante gli umani siano destinati a rovinare tutto da capo. Cosa li spinge a tenere in vita questo mondo destinato all’autodistruzione? Tra corruzione politica, egocentrismo e nichilismo, risulta difficile trovare motivi per salvaguardare quello che resta. La vita di ognuno si divide tra traumi e piccole gioie, ma indaffarati a sopravvivere, non ci fermiamo un attimo per apprezzare ciò che ci fa andare avanti.

In un racconto che cerca di studiare i rapporti umani e il loro valore, From the End of the World si pone come spiraglio di speranza. Attraverso i suoi personaggi, si esplorano diverse storie personali e punti di vista che possano fungere d’ispirazione nella realtà. Persone che, nel loro presente, affrontano le conseguenze dei traumi passati. Tuttavia, esse non si perdono d’animo e aiutano Hana ad analizzare più attentamente possibili risposte. Reduci dalla pandemia, dal cambiamento climatico e dagli infiniti eventi mondiali che mostrano il lato oscuro dell’uomo, necessitiamo ancora di ricordare a noi stessi i mille motivi per mantenere in vita il Pianeta.

Ancora una volta, Kiriya ci dimostra quanto sia ancora importante porsi domande sullo stato del mondo. Invece di farci abbagliare dal dolore e dalla sofferenza, potremmo renderci conto di quanto sia meraviglioso vivere quando non poniamo il nostro ego al centro di tutto. Questo lungometraggio, il cui stato del mondo sembra lontano dall’essere finzione, ci ricorda quanto le nostre azioni influenzino l’ambiente e le persone attorno a noi. Ci spinge a riflettere sui nostri limiti morali: qual è la linea sottile che equilibra individualismo e collettività? Una questione che, oggi, è più viva che mai.

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