Presentato ad Alice nella città e adesso al 33esimo Festival del Cinema Africano Asia e America Latina, Lonely è il nuovo documentario di Michele Pennetta. Una coproduzione Italia – Svizzera Close Up Films Indyca con Rai Cinema in coproduzione con RSI Radiotelevisione svizzera SRG SSR con la partecipazione di ARTE G.E.I.E. – LA LUCARNE. Il documentario mostra le vite di due giovani coetanei, Precious e Federico. A proposito di Lonely abbiamo fatto alcune domande al regista Michele Pennetta.
La partenza di Michele Pennetta per Lonely
Volevo partire con il chiederti come hai avuto l’idea di raccontare questa storia. Una storia che, a mio avviso, ha tre protagonisti. Non ci sono solo Precious e Federico, ma c’è anche la musica, in maniera preponderante.
Premetto che ho fatto recentemente tre film in Sicilia. L’ultimo, Il mio corpo, era sugli stessi temi (ed era stato presentato sempre ad Alice nella città qualche anno fa).
Poi il tema dell’adolescenza, e soprattutto del passaggio all’adolescenza, il tema degli adolescenti invisibili, che apparentemente vivono al margine, mi sono sempre interessati perché trovo che rappresentino molto bene quello che è la società. Per questo film avevo voglia di fare qualcosa dopo la pandemia e su un altro territorio. Di solito parto sempre da un territorio prima di trovare i personaggi e quello che mi interessava era spostarmi nel luogo dove sono nato (tra Varese e Como, nelle valli al confine con la Svizzera). Visto che tra non molto inizierò il mio primo film di finzione, avevo voglia di raccontare un po’ quella parte del nord Italia.

Poi c’è da dire che nessuno ha calcolato la pandemia, periodo nel quale il nostro modo di comunicare è cambiato molto (un modo che già era ai minimi termini prima). Ora è peggiorato, soprattutto per i giovani e, quindi, avevo voglia di fare anche una sorta di ritratto dell’adolescenza post pandemica, della generazione Z. Ho preso, quindi, il pretesto che volevo raccontare quel territorio e sono andato lì a cercare i personaggi. Prima ho iniziato a interessarmi al paese di Federico (Schignano), che sta proprio sulla frontiera con la Svizzera, con delle ricerche. Anche perché all’inizio non ho un’idea precisa, ho solo una voglia, un’intenzione, quindi parto da dei sopralluoghi molto lunghi per poi farmi ispirare dal territorio. Solo dopo è arrivato il legame con la musica, che in realtà non ho (nei film precedenti non c’è neanche una canzone). Mi sono lasciato trasportare da quello che trovavo.
Il contesto
A proposito del fatto che parti dal paese volevo chiederti qualcosa sulla scena finale (senza fare spoiler). Nel contesto del film sembra quasi qualcosa di poetico, ma credo richiami alle tradizioni del luogo in cui è ambientato il film.
Sì, ho iniziato dal paese e lì mi ha colpito molto il carnevale (che è inserito nel film, ma non è contestualizzato). Si tratta di qualcosa di ancestrale, di qualcosa di proprio delle montagne, sempre più in via di sparizione. Nonostante questo è una cosa che rimane nel tempo o almeno là è rimasta ed è molto sentita. Di fatto è un rito di passaggio. Tra tutti i ragazzini che in quell’anno compiono 18 anni se ne sceglie uno, che di solito è quello più alto, che deve indossare questa maschera e bruciare perché è il momento di diventare adulti. Sono partito da lì e quell’anno casualmente è stato scelto Federico che era stato scelto per interpretare questo personaggio che diventerà adulto e poi dovrà vegliare sulla sua generazione. Quello non era il tema del film, ma è stato il pretesto per entrare in contatto con loro.
Il legame con i protagonisti
Quindi come sei entrato in contatto con i due protagonisti? Sono due personaggi molto particolari e molto silenziosi.
Bisogna partire dalla premessa che questo film è stato fatto, come detto, dopo il covid. Quindi loro, già isolati di normale, hanno vissuto molto male quella situazione. Ma io non volevo fare un film sul covid, mi interessava fare un ritratto di questa generazione. Il covid si percepisce (c’è solo una scena con le mascherine), ma non è il protagonista.

Un covid che comunque ha avuto ripercussioni sulle loro vite. Per esempio il problema al cuore di Federico è dovuto proprio al covid, a delle complicanze. Come lui anche la sorella.
Quindi ho iniziato a frequentare gli adolescenti di quella valle, tra cui, appunto, Federico che però parlava poco, non riuscivo a fargli dire le cose. Ma grazie a questa passione per la musica, anche se non parlava, attraverso i suoi testi riusciva a esternare quello che provava, i suoi sentimenti, le sue paure. La musica è diventata la base per questo motivo.
Poi, in un secondo tempo, siccome mi ha sempre affascinato mettere in parallelo due realtà lontane, ho cercato Precious perché volevo mettere qualcuno accanto a Federico. Non si conoscevano prima e, per questo, definirei il film un documentario sperimentale. Lei l’ho cercata spostandomi nella città vicina, a un’ora dalla valle, cercando nelle periferie, e sono capitato in una piccola comunità nigeriana che vive lì. L’ho conosciuta, ha la stessa età di Federico, anche lei super timida e non riusciva mai ad aprirsi. Il suo sogno era quello di diventare una cantante. Da lì è nata questa cosa. Ho trovato prima i due protagonisti, ho iniziato a seguirli nelle loro vite separatamente per un paio di mesi, poi li ho messi insieme dandogli come missione quella di provare a scrivere qualcosa insieme.
Il film è, quindi, un ritratto di questa generazione, ma anche una sorta di esperienza di un processo creativo. Io li ho solo messi in una stanza insieme.
Tra l’altro la canzone non verrà mai finita perché nella realtà le loro vite si sono separate.
Solitudine e silenzio in Lonely di Michele Pennetta
Parlando del covid, anche se non è protagonista e non è presente, fatta eccezione per la sola scena alla quale facevi riferimento, mi viene da dire che questa sensazione di solitudine aleggia per tutta la durata del film.
Il tema del film è la solitudine. Il titolo parla da solo. Trovo che questa generazione sia sempre più sola. Almeno nel loro caso, però, la musica gli ha fornito, per quel breve periodo delle loro vite, una via di fuga.
A proposito del discorso sulla solitudine loro due sembrano esserne l’incarnazione. Due ragazzi così giovani con il mondo davanti eppure così soli, contro tutto e contro tutti. Una cosa che ho apprezzato in questo senso è il fatto che non si vedono quasi mai persone adulte. Vengono solo menzionati o visti davvero poco.
Quella del film è una solitudine marcata proprio dall’assenza degli adulti. Li ho eliminati, ho cercato di rappresentarli come gli adolescenti e i giovani li percepiscono, cioè come figure vaghe e lontane dalla loro realtà, prive di sogni, di vitalità. Anche perché non ci sono più sogni negli adulti.

Il rapporto tra i due protagonisti
Alla luce di quello che mi hai detto non so se è corretta questa riflessione sul rapporto tra i due o se quello che vediamo accade perché i due non si conoscevano prima e quindi si tratta di qualcosa di spontaneo. Dal punto di vista visivo Precious e Federico sono uguali, ma anche diversi ed è una cosa che si percepisce grazie anche al modo che utilizzi per riprenderli. Spesso sono in contrasto. Quando, per esempio, sono sdraiati sono con la testa vicino e il corpo in direzioni opposte, hanno spesso colori contrastanti, etc. Questo per dirci quanto può essere universale questo malessere e questa malinconia? O per sottolineare qual è il loro rapporto? Perché, per esempio, non si capisce (e non si vuole nemmeno andare a capire) se i due sono fidanzati, amici o entrambe le cose.
In realtà loro hanno vissuto mesi intensi insieme a noi. Il film voleva assistere a quei momenti in cui tra due conoscenze nasce qualcosa di più forte. Ed è una cosa ancora più difficile da fare in un documentario. L’unico modo per poterlo fare e che fosse vero era mettere due estranei che sono diversi ma uguali con lo stesso appiglio. Questo ha fatto sì che la relazione fosse una vera relazione di amicizia che poi è diventata qualcos’altro.
Quello che si vede nel film è quello che è successo nella realtà: Precious si è invaghita di Federico anche perché lei è quella che ha anche più problemi ed è quella che cerca di trovarsi. In qualche modo si sta cercando. Questa vicinanza con Federico le ha fatto nascere qualcosa.
Quindi, per rispondere alla tua domanda, non è questione di conoscersi o meno. Parliamo più che altro dell’impossibilità di comunicare. Un aspetto che coinvolge davvero tante persone e, da questo punto di vista, c’è stata una sorta di involuzione. Realizzando questo film mi viene da dire meno male la musica, per quanto ancestrale, esiste ancora soprattutto nell’adolescenza come strumento di esprimere un qualcosa che non sia il social, il post, la storia.
La musica alla base di Lonely di Michele Pennetta
Loro parlano di musica, ma c’è anche tanto silenzio nel film. Tra loro non parlano e si rivelano le cose attraverso la musica: è un po’ il sostituto dei social.
La musica è sempre più portatrice di senso di qualsiasi film nel mondo. Anche perché le scene più emotive di un film sono sempre accompagnate dalla musica. Quella è l’ultima cosa che è rimasta che dà forse un po’ di speranza.

Ed è la musica il punto forte. Loro, come hai detto, raccontano la verità attraverso la musica. Federico si racconta e mette le sue paure nella musica. Allo stesso modo Precious capisce tante cose grazie alla musica. All’apparenza sembrano sfogare le proprie frustrazioni in altri interessi (la moto, la palestra), ma in realtà l’unica e sola valvola di sfogo è la musica.
Sì, certo. Per Federico, per la valle, la moto è qualcosa di culturale (ogni abitante della valle ha una moto). Per lei il lancio del martello poteva essere un’altra scappatoia, aveva pensato che forse l’atletica poteva diventare un modo per scappare dalla sua realtà, dalla sua famiglia, da sua madre. Poi il sogno si è scontrato con la realtà dei fatti e a 18 anni ha capito che doveva mollare tutto e andare via da Como. Adesso è in Sicilia.
Un documentario sperimentale
Prima hai detto che stai lavorando al tuo primo film di finzione. In realtà mi verrebbe da dire che già con questo film c’è un primo slancio verso il film di finzione.
Ho sempre indagato il modo di filmare il documentario diversamente che, di fatto, è un punto di vista. C’è in me la voglia di fare un documentario che non è solo un documentario ed esplorare altri limiti tra documentario e finzione.
In questo Precious e Federico non sono attori e quello che ho raccontato è la loro vita. L’obiettivo che ho dato loro era solo quello di scrivere una canzone insieme. Il mio lavoro lì è stato metterli in situazione, costruire le situazioni più che costruire una scena. Poi, avendo vissuto con loro quasi due mesi prima di girare, sapevo qual era la loro vita e quali erano le cose che mi interessavano su cui mettere il focus. Quello che è stato fatto è stato creare delle situazioni. In maniera finzionale.

E poi c’è da dire che ho lavorato con Paolo Ferrari, un cameraman molto bravo nel cinema del reale. Una persona molto sensibile che capisce quando una situazione sta cambiando e ha aiutato a dare uno stile più particolare, al limite tra documentario e finzione.
L’altro film che ho fatto aveva sempre due personaggi che seguivamo in parallelo e poi alla fine si incontravano. Qui ho deciso di iniziare con l’incontro e poi seguire il cammino.
Visto che lo hai citato, puoi anticipare qualcosa sul tuo prossimo film?
Si tratta di un progetto che ho iniziato a scrivere durante il covid. In quel periodo ho iniziato a lavorare con Giulia Morigi, una sceneggiatrice che ha lavorato anche per Sole di Carlo Sironi.
Il film è sulla tratta dei minori tra l’Albania e l’Italia ed è la storia di queste due persone albanesi che tentano la loro fortuna andando in Italia, ma durante il cammino saranno prese in contropiede dal contesto geopolitico di quella zona d’Europa. Un film girato a Trieste ed è una produzione Svizzera e Italiana, con Indyca e Nefertiti (Nadia Trevisan), e Slovenia. Le riprese inizieranno a febbraio. E il protagonista sarà Luka Zunic con il resto del cast misto.
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli