Si è tenuta, presso Casa Alice, la conferenza stampa di Eravamo bambini, in concorso nella sezione Panorama Italia e basato su un monologo teatrale di Massimiliano Bruno. Proprio da qui il regista, Marco Martani, ha preso ispirazione per il suo terzo lungometraggio.
Eravamo bambini | La conferenza stampa
«L’idea nasce 15 anni fa; Massimiliano Bruno interpretava tutti i ruoli. Ci siamo sempre detti che poteva essere un film interessante e finalmente siamo riusciti a pensare come trasformare l’opera teatrale in opera cinematografica.
Secondo me è una storia molto attuale oggi.
Mi piaceva raccontare la contrapposizione tra la generazione dei 25-30enni e quella precedente. E la struttura su tre piani temporali non è banale.»
Gli attori raccontano i loro personaggi
Giancarlo Commare è il primo a prendere parola: «Marco ci ha dato il là per metterci la nostra pasta. Nel mio caso è stato difficile lavorare sulla grande ambiguità di Peppino, sia interna che esterna.
A suo modo, il film ti racconta anche che le scelte possono influire sulle vite degli altri.
Ho preso come riferimento alcune cose mie per cercare di capire la sensazione di vivere dentro un altro vestito.»
Lucrezia Guidone spiega il suo amore per la «possibilità di provare, di approfondire il materiale. Questo dualismo che porta in campo mi ha permesso di fare un viaggio dentro la rottura di Margherita. Quando ho letto la sceneggiatura, avevo in mente persone realmente esistenti a cui fare riferimento.
Cerco sempre di darmi un obiettivo, anche lontano.
Ognuno di noi ha a che fare con il trauma e reagisce in una determinata maniera. Ho lavorato sul senso di colpa e di responsabilità. E ho avvertito molto il senso di maternità del personaggio.»
Alessio Lapice invece sottolinea che c’è un «elemento importante che accomuna i personaggi ed è l’assenza degli affetti. Questa radice profonda di esigenza li accomuna in un dolore irrisolto. Mi affascinava l’idea di affrontare i demoni insieme al mio Gianluca. E ho cercato di fare un lavoro sul mio corpo.»
Romano Reggiani definisce il suo Andrea «l’occhio del pubblico, il punto chiave per arrivare al finale. Mi è stato proposto un ruolo estremamente lontano da me, ma a me piace affrontare personaggi così. Ho cercato di lavorare sul vuoto, è un personaggio che meno sa e meno ricorda.»
Francesco Russo conclude il giro: «Tecnicamente ho lavorato sul dialetto. Il mio personaggio, Cacasotto, è l’unico che rimane nel paese e ho potuto così raccontare la provincia. Insieme all’attaccamento alla vendetta. Ho lavorato sulla solitudine, che porta anche al narcisismo.»
Marco Martani svela i suoi riferimenti per Eravamo bambini in conferenza stampa
Conclude il discorso Martani, a cui preme sottolineare che «quando hai antiagonisti vivi, la voglia di vendetta prende il sopravvento, anche se in maniera cosciente sai che non è la soluzione. Io sono un appassionato dei film anni Settanta e Ottanta, come per esempio Rusty il selvaggio e I ragazzi della 56esima strada.
Ognuno nel proprio lavoro ci mette qualcosa di suo, della sua cultura.
C’è una disposizione che porta a un finale inevitabile. Si tratta di una tragedia che racconta, all’interno del genere noir, una parte oscura che ognuno dei personaggi ha.»
Salve sono Sabrina Colangeli, se volete leggere altri miei articoli cliccate qui.