Festival di Roma
‘C’è ancora domani’ di Paola Cortellesi, la conferenza stampa
Published
1 anno agoon
Presentato ieri in anteprima alla Festa del Cinema di Roma il film C’è ancora domani, sorprendente esordio alla regia di Paola Cortellesi. Un film politico e femminista che grazie ad un doppio registro passa con leggerezza dal dramma alla commedia. In sala dal 26 ottobre grazie a Vision Distribution.
Paola Cortellesi, insieme a tutto il cast e agli sceneggiatori, si è aperta durante una lunga ed interessante conferenza stampa.
C’è ancora domani, la conferenza stampa
Mod: Da dove nasce questa storia?
Paola Cortellesi: Con questo film volevo parlare di quelle donne che nessuno ha mai celebrato. Sto parlando delle nostre nonne e bisnonne. Queste donne sono quelle che che mi hanno raccontato storie incredibili che riguardano l’epoca di cui parlo nel film. Storie che si consumavano nel cortile dei palazzi dove tutti stavano seduti l’uno davanti davanti all’altro e si parlavano. Queste donne hanno costruito il tessuto sociale del nostro paese crescendo figli, avendo mariti che andavano e venivano dal fronte, ma sono sempre state considerate delle nullità […]
Non raccontiamo donne come ce ne sono e ce ne sono state in quel periodo, quelle grandi che hanno anche scritto la nostra Costituzione e che hanno combattuto per i diritti che abbiamo ora. Nel film trattiamo altre donne, che nessuno celebra e nessuno ricorda. Loro non erano portatrici di istanze, non avevano la consapevolezza, non si rendevano nemmeno conto di quale fossero le discriminazioni e le violenze che subivano. […]
Non si ponevano domande, perché era sempre stato così, ed era stato insegnato loro che non contavano niente. La mia cara nonna, che è stata una donna eccezionale, non erudita, ma eccezionale, mi dava sempre ottimi consigli, perché io glieli chiedevo e come me tutti gli altri in famiglia, però chiosava sempre dicendo “… Però, che ne capisco io….”, come a dire che sicuramente il parere di un uomo era più autorevole.
Desideravo celebrare queste donne, e insieme a Furio e a Giulia abbiamo pensato di attingere ai nostri racconti personali che riguardavano vari ceti sociali. Ci siamo avvalsi della consulenza di Teresa Bertotti, perché il mio è un film che che si inserisce in un momento storico italiano molto preciso”.
Mod: É stato difficile trovare equilibrio tra le parti drammatiche e quelle di commedia? Poi una seconda domanda, se ritornerà dietro la macchina da presa dopo questa sua prima esperienza registica…
Paola Cortellesi: Rispondo subito alla seconda domanda per fugare ogni dubbio… sì! sì! Guai se non continuassi! Dirigere un film è stato un lavoro che mi ha portato ad una crescita bellissima, non perché è un ruolo più importante rispetto al recitare. Dirigere prevede molte cose a cui badare, perché mi permette di avere una visione più ampia dell’insieme e della storia che si va a costruire. […]
Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, il doppio registro, cioè avere contemporaneamente commedia e dramma, era una cosa su cui su cui io, Giulia e Furio ci siamo interrogati molto, però è l’unico linguaggio che conosciamo. Abbiamo già lavorato insieme scrivendo Come un gatto in tangenziale e Scusate se esisto, e abbiamo sempre parlato di storie che hanno una base drammatica. La storia di questo film è più spostata verso il dramma e ci siamo domandati quanto potessimo spingerci sul linguaggio ironico, a tratti anche cinico, all’interno di una storia così dura come la violenza domestica.
Allo stesso tempo, abbiamo riflettuto sul fatto che all’epoca quello non era nemmeno un argomento; la violenza domestica era un dato di fatto, e come tale lo abbiamo trattato, come qualcosa che capita ogni giorno. Le cose che capitano ogni giorno non hanno un colore solo. Non hanno, come accade nel cinema, solo il colore drammatico o quello comico. Nella vita di tutti i giorni non è così, non possono accaderci solo cose buffe o drammatiche nell’arco di una giornata. Nella realtà ci sono entrambe le cose, come nei racconti di cui parlavo prima.
Mi raccontavano cose incredibilmente drammatiche, che venivano tra l’altro raccontate a una ragazzina, e se ci penso adesso mi chiedo perché i miei nonni mi dovevano raccontare queste cose così orribili, dove c’erano quelli che si menavano e che poi morivano, c’erano sempre molte morti, però lo facevano anche con un tono scanzonato, sorridendo di situazioni dure e, se vuoi, surreali.
Mod: Nel film ci sono tre generazioni di uomini che si comportano allo stesso modo, a proposito di violenza perpetrata negli anni…
Valerio Mastandrea: Nel film si vedono tre generazioni che si intersecano e da questo film si possono tirare fuori un sacco di opinioni e di convinzioni. L’unica differenza tra ieri e oggi sta nel fatto che le donne hanno oggi una maggior consapevolezza e trovano più coraggio a ribellarsi a queste dinamiche. La cosa che non è cambiata è quello che trovano fuori, perché credo che le leggi non bastino. Credo che serva un lavoro, che possiamo banalizzare come lavoro culturale… bisogna affrontare la tematica in maniera profonda e generazionale.
Negli anni trenta, negli anni venti, la resistenza lo ha raccontato, c’erano donne ribelli che si autodeterminavano, che uscivano dagli schemi, che probabilmente erano cresciute in contesti sociali diversi; penso alle varie regioni d’Italia, dove ci sono regioni più moderne e altre più arretrate. La differenza è questa.
Nell’uomo non vedo differenza, da ieri e oggi. Non perché una volta c’era il delitto d’onore che era punito con pochi anni di galera, oggi per la gente venti anni di carcere non spaventa, se uno vede sfuggirgli delle dinamiche a cui è stato abituato dal padre e dal nonno, ma non deve neppure essere un alibi. Non gli interessa uccidere una donna e poi togliersi la vita, quindi penso che le generazioni che Paola ha raccontato, le ha raccontate anche per capire di quanti alibi ha bisogno un uomo, per fare del male alla donna.
“Ho fatto due guerre, sono nervoso, tuo padre che ti dice menala una volta ma menala bene…”, in questo film l’uomo viene fuori per quello che è e per quello che ancora purtroppo fa. Credo che sia il compito del cinema, raccontare anche l’uomo più debole e non per questo perdente, in modo che chi ci si vede non abbia paura di riconoscersi debole, fragile e non si metta una maschera per fare quello che fa.
di Giovanni Battaglia
C’è ancora domani, il trailer
Clicca qui per scoprire gli altri incontri al Festival di Roma.