Si intitola A passo d’uomo il film di Denis Imbert, in uscita nelle sale italiane dal 19 ottobre. Il film è distribuito da Wanted Cinema, con il patrocinio del Club alpino italiano. A Passo d’uomo (Sur les chemins noirs) di Denis Imbert è stato presentato in anteprima alla 71esima edizione del Trento Film Festival come film d’apertura della manifestazione. Tratto dall’omonimo libro autobiografico best seller dello scrittore-esploratore francese Sylvain Tesson, A passo d’uomo è diretto, come detto, da Denis Imbert (Vicky, Mystère) e alla sua uscita in sala in Francia a marzo ha ottenuto il plauso della critica e incassato numeri da capogiro al box office d’Oltralpe.
Nel cast, insieme a Jean Dujardin, troviamo Izia Higelin, Josephine Japy e Jonathan Zaccai.
Al regista Denis Imbert abbiamo fatto alcune domande sul film.
– Foto di copertina: Photo-Thomas-Goisque© –
A passo d’uomo di Denis Imbert
Com’è nata l’idea del film e come sei entrato in contatto con il libro dal quale è tratta la storia?
L’idea del film è venuta dalla lettura del libro. Io leggo Sylvain Tesson da tanto tempo, da L’axe du loup a Dans les forêts de Sibérie. Sono un lettore di lunga data di Tesson e quando ho avuto il libro tra le mani ho avuto fin da subito la sensazione che sarebbe stato un grande film. E in effetti penso che lo sia, poi è anche autobiografico, parla della sua vita, sia dell’incidente che della scomparsa di sua madre e del conseguente dolore. E ci sono poche storie così, è quasi un manuale scolastico, sociale, sulla Francia.
A passo d’uomo è un viaggio quasi in solitaria. Quasi perché sarebbe un errore dire che Pierre è l’unico protagonista. Il paesaggio è un altro importante elemento che va di pari passo con il protagonista. Anzi, sembrano addirittura due fidanzati, quindi si potrebbe dire che il film è il viaggio di una coppia, formata da Pierre e dal paesaggio circostante.
Sì, è proprio così. Pensa che quando ho domandato all’autore di riassumere la storia in due frasi, lui mi ha detto che è la conversazione tra un viso e un paesaggio. Il viso che parla con il paesaggio. Non è una passeggiata, ma è uno scambio, un viaggio interiore e un viaggio con il paesaggio. Ed è un paesaggio che non tutti i francesi conoscono. Sono delle zone abbastanza deserte dove non vanno molte persone e solitamente non camminano in questi sentieri.
L’importanza della scrittura
Come hai detto, oltre che un viaggio, è una conversazione anche perché lui parla e scrive nel suo diario. Scrive tutto quello che vede, che vive e che fa. Ogni spostamento è accompagnato da una riflessione e da degli appunti che lui scrive sul suo diario.
Sì, lui è uno scrittore e solitamente uno scrittore è qualcuno che ha un rapporto con la letteratura e la scrittura, quindi tutto quello che vive lo scrive. Il viaggio, quindi, è l’essenza della scrittura, si traduce attraverso la scrittura.
Photo Thomas Goisque©2021-Radar Films-La Production Dujardin-TF1 Studio-Apollo Films Distribution-France 3 Cinéma-Auvergne Rhône Alpe Cinéma_783
Le frasi che Pierre pronuncia e che scrive sul suo diario sono tratte dal libro?
Sì, quello che lui dice è nel libro; le frasi vengono dal libro. Sono partito dal libro per scrivere il film. Anche perché, per me, le parole dell’autore sono veramente cinema.
Il rapporto che il personaggio può avere con il cammino è un rapporto di letteratura ed è un aspetto importante. Mi sono servito del libro per scrivere la sceneggiatura anche perché, secondo me, la letteratura di Tesson è cinema.
Speranza e natura
Ritengo che A passo d’uomo si possa definire un film di speranza e sopravvivenza. E Pierre ne è la dimostrazione, riuscendo dalle piccole cose come il non avere l’acqua all’incidente che lo porta in coma, a rialzarsi sempre. Non si arrende mai.
Sono d’accordo e quello che è importante per me è che la speranza è sempre a disposizione, non importa come. Se si soffre per la fine di un amore, per un dolore, per la scomparsa di una persona cara, quello che il film ci insegna è che bisogna prendere qualcosa (uno zaino, un cesto o altro) e partire. E questo è come una medicina. L’animo, in questo modo, si ripara e il corpo lo segue. Quello che amo di questo fatto è che non si tratta di qualcosa di straordinario, ma di qualcosa di normale, possibile: è un’avventura umana. Quello che è formidabile è che è qualcosa di semplice.
Infatti a lui basta che ci sia la natura e poi tutto sembra perfetto.
Esatto.
A un certo punto, infatti, lui dice che può finalmente incontrare la sua fidanzata che è la natura e la libertà perché sono legate. Nello specifico la frase che pronuncia è: Avevo recuperato ciò che contava: il diritto di andarmene da qui e incontrare la fidanzata che non delude mai: la libertà. Stare all’aria aperta era il mio destino. Quindi si tratta effettivamente di semplicità.
È tutto molto semplice.
La visione di Denis Imbert
Prima hai detto che sei partito dal libro e quindi volevo chiederti se anche il libro è costruito come il film oppure no. All’inizio non sappiamo perché Pierre fa questo viaggio, lo capiamo dopo, attraverso i dialoghi, quello che scrive, e i suoi ricordi.
No, il libro non è costruito così e Tesson, in generale, è un autore che non racconta mai. Tutti i flashback, le scene con la fidanzata sono poco descritte nel libro; c’è solo qualche frase. Sono io con la mia immaginazione che ho creato questi momenti.
Photo Thomas Goisque©2021-Radar Films-La Production Dujardin-TF1 Studio-Apollo Films Distribution-France 3 Cinéma-Auvergne Rhône Alpe Cinéma_783
Credo sia stata una scelta saggia e utile perché aiuta lo spettatore a capire, ma al tempo stesso anche a fantasticare perché all’inizio ognuno può immaginare quello che vuole.
Sì, è proprio così e credo sia rassicurante. Volevo che ci fosse uno spazio per lo spettatore, che questo potesse avere la libertà di creare il proprio film. Ci sono molti spazi da vedere, paesaggi che alimentano questo aspetto.
E poi c’è la musica che, però, accompagna il cammino del protagonista solo in alcuni momenti. A un certo punto ad accompagnare Pierre è il suo stesso respiro, i suoi passi, la natura (vento, acqua, foglie). Penso che sia legato a questo discorso di lasciare spazio allo spettatore.
Sì, perché il cinema si basa su immagini e suoni ed è qualcosa di sensoriale. Ho provato a riportare questo sullo schermo, a trascrivere con il cinema quello che si sente e si prova quando si cammina. Si ha il tempo di ascoltare, vedere, riflettere e (ri)sentire. Volevo che lo spettatore facesse lo stesso per il film.
I contrasti e le contrapposizioni
Si nota in maniera abbastanza evidente una differenza nella vita di Pierre tra prima e dopo l’incidente. Differenza sottolineata dal silenzio e dalla musica che si alternano, e da contrapposizioni in generale.
È esattamente questo. Volevo evidenziare questa ricerca e questo coraggio di trovarsi da solo e fare una specie di constatazione interiore. E poi in parallelo si ricostruisce una Francia poco abitata che nessuno va a vedere.
Un’altra contrapposizione è anche l’artificialità in contrasto con la natura. Nei villaggi e nei rapporti umani c’è solo negatività, mentre con la natura e il contatto con essa tutto diventa bello.
Sì, perché si parla per opposizioni tra il mondo moderno in cui ci ritroviamo tutti oggi credendo di avere accesso a qualsiasi cosa, alla libertà, e quello naturale di cui abbiamo bisogno. Ci accorgiamo che abbiamo bisogno di una vera e propria riconnessione con la natura. Lui cerca di fare proprio questo. La solitudine non gli fa paura.
Photo Thomas Goisque©2021-Radar Films-La Production Dujardin-TF1 Studio-Apollo Films Distribution-France 3 Cinéma-Auvergne Rhône Alpe Cinéma_783
E proprio per questo fa riflettere il fatto che l’unico momento in cui piange è quello nel quale legge la lettera della madre scomparsa. Nonostante tutto quello che gli è accaduto, la sua ricerca della libertà e il fatto di non aver paura di essere solo, piange perché ha perso la madre.
È come una specie di pudore. Ha bisogno di essere solo e di condividere questo momento con sé stesso: è lo spazio della natura che lo conforta e lo protegge e gli permette di sopravvivere e dare l’ultimo addio a sua madre.
L’incontro tra Denis Imbert e Jean Dujardin
Come hai scelto Jean Dujardin? Indubbiamente è un attore bravo, ma al tempo stesso è conosciuto soprattutto per dei ruoli più comici. Nonostante ciò è perfetto per essere Pierre.
È stato molto strano perché prima di tutto devo dire che ci sono state tantissime difficoltà nel realizzare questo film che è stato difficile. Nessuno credeva in questo film. Poi un giorno Jean Dujardin ha postato la copertina del libro su Instagram e io l’ho contattato subito per dirgli che stavo scrivendo l’adattamento. Lui mi ha chiamato subito per leggere la sceneggiatura che ha amato. E mi ha detto che voleva farlo. Grazie a lui ho trovato i soldi per realizzarlo.
Quello che mi è piaciuto è che ci siamo incontrati intorno al libro. Il libro ci ha riuniti. Jean è molto bravo nei ruoli comici, ma è capace di molte cose e qui lo dimostra ancora una volta: è il destino che ci ha uniti.
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli